Il Concordato e l’articolo 7

Gli anniversari, anche quando sono nefasti, hanno il merito di costringerci a considerare gli avvenimenti, sempre più distanti nel tempo, in modo più ponderato e meditato. Il matrimonio tra il regime fascista e la chiesa cattolica, celebrato l’11 febbraio 1929, aveva un valore riparatore, nel senso che si poneva l’obiettivo di ricucire la lacerazione che l’ideologia liberale e democratica del risorgimento aveva arrecato alla tradizione teocratica e medievale con la presa di Porta Pia (20 settembre 1870). Il 13 febbraio 1929 Pio XI definiva Mussolini “l’uomo che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare”, un incontro veramente provvidenziale, se si pensa che al neonato Stato della Città del Vaticano venivano riconosciute esenzioni fiscali e concessioni finanziarie pari a circa sette miliardi di euro attuali. Il riconoscimento della religione cattolica come sola religione dello Stato, l’introduzione del matrimonio concordatario e dell’insegnamento della religione nelle scuole, per citare solo i provvedimenti più importanti, accordavano inoltre alla Chiesa una posizione di monopolio incontrastato nella sfera morale e pedagogica. Altrettanto rilevanti erano i vantaggi per il regime fascista, che poteva adesso disporre di monache, frati, conventi, preti e parrocchie, sicuramente la più vasta e capillare rete per l’organizzazione e la gestione del consenso. Con questo retroscena alle spalle, la vittoria contro il nazifascismo del 25 aprile del ‘45 avrebbe potuto aprire nuove prospettive anche per i rapporti con la Chiesa. Gli accordi di Yalta del febbraio del 1944 avevano sancito la spartizione del mondo tra le potenze vincitrici, assegnando a ciascuna la propria zona. All’Italia era toccata l’influenza angloamericana, con un ruolo delicatissimo di cerniera con la zona orientale, che dalla Yugoslavia del maresciallo Tito si estendeva fino ed oltre Mosca, territorio dell’incontrastato dominio di Stalin. A poco più di un mese dal vertice tra Stalin, Roosvelt e Churchill, il capo dei comunisti italiani, Palmiro Togliatti, annuncia a Salerno la svolta. Si tratta di un’importante scelta politica che determinerà il futuro istituzionale dell’Italia repubblicana. A partire da questo momento, per i comunisti nostrani, esempio di coerenza politica ed ideale, i monarchici ed il maresciallo Badoglio non costituiscono più il nemico da battere ma il punto di riferimento di un’unità nazionale nella quale devono confluire pacificamente le componenti ideali della società italiana: quella cattolica, quella laico-liberale e quella socialcomunista. Coerentemente con la svolta di Salerno, Togliatti, che è anche ministro della giustizia, dopo essersi adoperato con tutti i mezzi per disarmare le formazioni partigiane, nel giugno del ‘46 proclama l’amnistia a favore dei fascisti. Intanto, all’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno del ’46, si discute dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, e se è il caso di inserirli nella nuova Costituzione. Socialisti, esponenti del Partito d’Azione e buona parte dei liberali sono contrari. Che senso ha, infatti, scrivere, come nel primo comma dell’articolo 7, “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”? Lo stesso che avrebbe se, invece della Chiesa cattolica, ci fosse scritto Malta, Svizzera oppure Honduras. Lo sanno tutti che gli Stati possono dirsi tali se il loro ordinamento è sovrano; se, cioè, non ne riconoscono un altro superiore. Ad ogni modo i cattolici, De Gasperi in testa, ne chiedono l’inserimento. Togliatti non è d’accordo ma poi, per obbedire alla logica politica dettata da Mosca, aderisce alla richiesta. I cattolici, però, insistono perché nella Costituzione vengano esplicitamente richiamati i Patti Lateranensi. Togliatti, indiscusso leader del grande partito comunista, si oppone fermamente come solo un leader comunista sa fare, e, fino alla vigilia del voto, difende il principio di uno Stato in cui non ci sia una religione di Stato. Ma poi, con un voltafaccia che sorprende gli alleati, i suoi compagni e gli stessi cattolici, Togliatti annuncia il voto a favore dell’articolo 7, che al secondo comma recita: “I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. La rivista dei gesuiti, Civiltà Cattolica, plaude al nobile gesto. Quali siano state le motivazioni, i comunisti sapevano bene che l’articolo 7 era in contraddizione con i principi di uguaglianza (art. 3) e di libertà religiosa (art. 8). L’articolo 7, inoltre, attribuisce valore costituzionale ad un semplice trattato tra Stati ed è congegnato in modo tale da non potere essere abrogato né con un referendum (lo impedisce espressamente l’art. 75), né unilateralmente con una legge ordinaria (richiedendo invece il procedimento di modifica costituzionale previsto dall’art. 138). Non può neppure, infine, essere oggetto di modifica per iniziativa legislativa popolare (art. 80). Se sul piano politico è un inciucio, su quello giuridico è una trappola. Quarantacinque anni dopo l’ex socialista Mussolini, toccava al socialista Craxi, il 18 febbraio 1984, il compito di aggiornare i rapporti tra Stato e Chiesa. Con il nuovo Concordato scompariva il riferimento alla religione di Stato, eliminando così uno dei due puntelli – l’altro è il riconoscimento della sovranità della Santa Sede – dei Patti Lateranensi. Si è arrivati, quindi, all’assurdo, come ha rilevato il filosofo Emanuele Severino, di un articolo della Costituzione che è fondato su di un presupposto inesistente. La perdita della qualifica di “sola religione dello Stato” e della obbligatorietà dell’ora di religione nelle scuole veniva ricompensata con l’introduzione dell’ora di religione nelle scuole materne e, soprattutto, sostituendo il vecchio sistema della congrua col meccanismo dell’8 per mille, molto, molto più vantaggioso per la Chiesa. In particolare grazie al meccanismo truffaldino che ripartisce le scelte non espresse con la stessa proporzione di quelle espresse, trasferendo alla Chiesa, con uno scippo legale, i soldi di chi non ha avuto alcuna intenzione di darglieli. Ecco allora, dietro l’elegante e promettente paravento della Costituzione, l’eterna ed immutabile logica del potere. Dall’intreccio tra l’aspersorio ed il manganello si è passati a sempre più arditi connubi, a dimostrazione che, fino a quando esisteranno seggi parlamentari e sedie gestatorie, i diritti e le libertà saranno solo abili giochi di parole per nascondere una realtà di sottomissione e sfruttamento.

Aesse

Questa voce è stata pubblicata in Articoli e contrassegnata con , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.