Vuoto di guerra

La guerra in Libia dura già da 4 mesi. Mentre la sua fine viene annunciata come imminente, la Nato prolunga la sua missione di altri 90 giorni. Bombardamenti, promesse di impunità agli uomini del regime, soldi a palate per comprare tradimenti; trattative con le tribù per ribaltare le alleanze; questo porterà prima poi al tracollo dello Stato libico, ma una cosa è certa: i signori della guerra hanno interesse a far durare il conflitto il più a lungo possibile, per garantirsi altre commesse militari, la produzione di tutti gli armamenti e gli ordigni consumati, e questo comporterà l’innalzamento del PIL nelle rispettive nazioni. La sorte e l’avvenire del popolo libico non interessa a nessuno; i capi del Consiglio Nazionale di Transizione si sono ridotti a fantocci in mano alla Nato e alle potenze petrolifere occidentali, e la vittoria del fronte ribelle assomiglia sempre più alla rioccupazione straniera della Libia. Quello che era nato come un tentativo di liberarsi del dittatore e del suo regime, sia pure con alcuni servizi segreti esteri a soffiare sul fuoco, può considerarsi oramai un focolaio spento, dal cui fumo uscirà una repubblica coloniale con un governo corrotto e venduto alle multinazionali.
In questo quadro l’assenza di una mobilitazione internazionale contro l’intervento militare e di una solidarietà concreta con i ribelli è un fatto grave; anche se minoranze irriducibili non hanno mai smesso di denunciare e protestare, nella stragrande maggioranza coloro che si sono mobilitati negli anni passati contro gli interventi in Iraq o in Afghanistan, in Serbia o in Kosovo, sembra abbiano perso totalmente la parola, anzi, di più: il senno. Per molti pacifisti pentiti, questa sarebbe una guerra diversa: un intervento su esplicita richiesta degli insorti; una missione per eliminare un feroce dittatore. E così si delegano le potenze militari occidentali a liberare un popolo dal suo oppressore; quelle stesse potenze che in tempo di “pace” sottraggono risorse ai servizi, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, alle pensioni, per mantenersi gli arsenali sempre pronti, e in tempi di guerra praticano la politica dei bombardamenti, dei massacri – tutti rigorosamente “umanitari” – per assicurare i profitti al complesso militar-industriale.
La “diversità” di questa guerra è la stessa “diversità” dell’intervento in Yugoslavia contro il feroce Milosevic, in Bosnia contro il massacratore Karazic, in Afghanistan contro l’oppressione talebana, in Iraq contro il sanguinario Saddam Hussein. La Libia non fa eccezione: tutti gli ex amici, finanziatori e venditori di armi del dittatore, adesso si sono coalizzati per “liberare” il popolo dalle sue atrocità. Ipocrisie e disonesti alibi rendono miserabilmente uguali tutte le guerre, e avrebbero dovuto insegnare a diffidare dei capi di stato, dei generali, dei partigiani delle missioni umanitarie.
Ma non vediamo sventolare le bandiere della pace, o rimbombare i “no alla guerra senza se e senza ma”, o l’accalcarsi delle donne in nero, degli antimilitaristi, degli antimperialisti, dei pacifisti, dei nonviolenti, dei cattolici estasiati dalle parole del papa, e nemmeno degli oppositori d’occasione cui interessa solo mettere in crisi il governo di turno. Quante cose sono cambiate in pochi anni; quanto è sprofondata in basso la coscienza dei tanti che si opposero fino alla fine agli interventi armati senza per questo schierarsi con Saddam, con i talebani, con Milosevic.
Questa grande assenza va colmata; questo vuoto va riempito. Bisogna comprendere non solo che siamo in guerra: una guerra atroce, feroce, sanguinaria come ogni altra, ma che il nostro territorio è coinvolto in prima fila; che il nostro governo, come tutti gli altri della coalizione, non ha, e non ha mai avuto, a cuore la sorte di nessun popolo oppresso, ma solo quella del suo prestigio internazionale, dei profitti delle proprie industrie belliche, del suo bottino di guerra, messo in discussione dalla fretta interventista di stati concorrenti come la Francia e la Gran Bretagna. Comprendere e agire.

Pippo Gurrieri

Questa voce è stata pubblicata in Editoriale e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.