FORCONI IN CULO AI FORCHETTONI

(Volantino trovato ai blocchi – 19-1-2012)

FORCONI IN CULO AI FORCHETTONI

 

Il popolo dei tartassati, degli umiliati, dei rapinati dallo Stato, alza la testa.

Agricoltori, autotrasportatori, pescatori, piccoli commercianti, artigiani, operai, lavoratori precari e disoccupati, pensionati, siamo tutti vittime di un sistema che ha elevato a suo unico dio il LIBERISMO ECONOMICO, cioè le privatizzazioni, le deregolamentazioni, il profitto quale unico obiettivo da perseguire, davanti al quale si devono piegare i diritti, la dignità, le conquiste di tutto un popolo.

Tasse e caro vita, licenziamenti, contratti di lavoro stracciati, fallimenti di piccole imprese: è così che questi signori promuovono la crescita? Questa è la crescita delle banche, dei profittatori, degli affamapopolo. Ci parlano di debito da sanare, ma con chi? Il debito non lo ha certo fatto chi si è spaccato le reni a lavorare per tutta la vita!

Sono loro in debito con noi: sono i grandi padroni, le multinazionali, le società finanziarie, le banche, le congreghe politiche e burocratiche a essere in debito con noi: ci devono vite e vite di lavoro ridotte sul lastrico; ci devono il futuro che hanno scippato ai nostri figli; ci devono le montagne di sacrifici che hanno vanificato!

Ormai non si tratta più di un comparto agricolo che affonda, di attività divenute non più sostenibili a causa dell’eccessivo peso fiscale e del caro carburanti; non si tratta più di posti di lavoro che si perdono, di piccoli esercizi commerciali che chiudono, di servizi che vengono smantellati (la sanità, la scuola, le ferrovie, …). Ormai siamo nel pieno di un naufragio sociale causato da una classe di politici abbuffini e mai sazi; da una casta di banchieri e finanzieri che hanno prosciugato le risorse del paese e ipotecato i redditi di chi lavora; di una setta di sindacalisti venduti e mantenuti dal sistema per pompierare la rabbia dei lavoratori.

La lotta di questi giorni non deve accontentarsi di contentini; deve esigere un cambiamento sostanziale delle politiche governative, ma soprattutto deve innescare un processo di cambiamento del modo di gestire la società. Le elezioni sono una farsa in cui vince chi ha più soldi, più clientele, più potere ricattatorio; sempre più persone non credono a questo modo di governare. Se dalle piazze e dai blocchi stradali si grida che questi politici se ne devono andare; che i sorci devono uscire dai palazzi, tutto ciò va tramutato in un discorso nuovo: dal governo all’autogoverno; dalla delega ai politici alla partecipazione popolare dal basso.

Chi lavora, chi soffre, chi suda, deve poter decidere sulla propria vita.

L’economia di un paese si è sempre basata sul lavoro e la produzione viva della terra, dell’industria, dell’artigianato, non sugli imbrogli dello spread e della finanza predatrice. Questa deve essere la nostra base di partenza, anche a costo di ritornare al baratto: sarebbe più dignitoso.

Stiamo attenti alle alleanze dei ricchi con i poveri: abbiamo interessi diversi e contrapposti.

La battaglia potrà fermarsi, ma la guerra deve continuare. Cominciamo a boicottare i Centri Commerciali che stanno divorando la produzione locale, non acquistando da loro; non compriamo più prodotti provenienti da paesi dove la manodopera viene sfruttata, anche se sono più convenienti; solo così usciranno dal mercato. Cominciamo a far fuori i sindacati, che difendono solo i loro interessi e privilegi, ritirando le deleghe sindacali. Ricordiamoci di non votare alle prossime elezioni. Cominciamo a parlare di federalismo dal basso; di una Sicilia che si autogoverna, in cui il popolo siciliano, attraverso le assemblee e gli organismi di base diffusi per città, paesi, quartieri, posti di lavoro, instaura la democrazia diretta, facendo fuori la casta dei politici e di tutti i privilegiati.

 

SICILIANI INCAZZATI

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