Sul crollo dell’antico “casino” del quartiere Putìe

Il crollo dell’antico “casino” del quartiere Putìe ha riproposto la questione del centro storico di Ragusa. Cosa è diventato, e perchè? Che sia diventato la nuova periferia della città lo si evince da tutte quelle persone che dicono “il centro è fuori mano”. La città negli ultimi decenni è cresciuta a dismisura verso Sud, dove la speculazione edilizia, favorita e anche incoraggiata dalle varie amministrazioni comunali, ha cementificato milioni di metri quadrati di terreni un tempo agricoli, imponendole un assurdo sviluppo, non solo urbanistico, col trasferimento di decine di migliaia di abitanti presso le cooperative di edilizia economica e popolare.

La nascita di due centri commerciali ha fatto il resto, convogliando fuori città frotte di cittadini-consumatori, spostando ulteriormente il baricentro cittadino, uccidendo il piccolo commercio, l’artigianato, la socialità che rappresentavano l’anima del centro storico e dei quartieri popolari. Spopolato e privato dei suoi tanti punti di riferimento, il centro, parzialmente ripopolato da famiglia di immigrati, è rimasto in balìa di un crescente degrado. E degli speculatori. Sempre gli stessi, quelli che hanno cementificato le periferie.

Ci sarà un motivo se Chiaramonte & C. hanno acquistato interi quartieri abbandonati, pronti ad approfittare di nuove occasioni di investimento per costruire e ristrutturare, una volta esaurite le possibilità di fabbricare nelle campagne. Pronti, come avvoltoi, in attesa che sindaco e amministratori al loro servizio approntino piani particolareggiati, deroghe al prg, e magari liberalizzazioni di licenze di costruzione, in seguito a provvidenziali crolli e a conseguenti necessità di mettere in sicurezza intere aree.

I tre parcheggi voluti da tre amministrazioni differenti per colore politico, ma simili per dabbenaggine e servilismo, completati dall’attuale sindacatura, sono la chiave di queste politiche scellerate: il centro storico come oggetto di speculazione sotto forma di inutili servizi; gli appalti di lavori per la rivitalizzazione (senza neanche riuscire a imporre la manodopera locale), come forma di erogazione di denaro pubblico a privati, con la scusa di rilanciarlo.

Gli stessi personaggi loschi che ne hanno pianificato la desertificazione con l’enorme espansione delle aree fabbricabili – peep e non solo – con la cancellazione di qualsiasi politica di mobilità alternativa e sostenibile, con l’apertura alla grande distribuzione onnivora, ora sperperano altro denaro per “riportare il centro agli antichi lustri”. Non sono riusciti a far funzionare nemmeno un ascensore in via Roma, inaugurato frettolosamente e poi chiuso in giornata già qualche anno fa; hanno potenziato un servizio di trasporto urbano su bus, continuando però a favorire l’uso dell’automobile privata; hanno dimenticato la metropolitana di superficie, il cui progetto giace fermo da 17 anni, che avrebbe collegato centro e periferie in maniera eccellente, grazie anche alla sinergia con i bus urbani e altri mezzi alternativi, evitando lo scempio dei megaparcheggi sotterranei e del traffico insostenibile. E adesso dovrebbero rivitalizzare il centro!…

Il crollo del palazzo, simbolicamente posto a fianco del parcheggio adiacente il tribunale, è sintomatico di una scientifica operazione di demolizione dell’intero centro storico. Come accadde all’Aquila ai tempi del terremoto, chissà se qualcuno avrà riso anche a Ragusa per quel provvidenziale crollo, che adesso farà accelerare i tempi per varare piani costruttivi in centro, magari permettere la demolizione di interi quartieri “pericolanti” (o meglio, resi tali dal mancato intervento e dalla “deportazione” degli abitanti). Quindi, via alla costruzione di residences e alberghi, che assieme alle grandi possibilità offerte dai “parcheggi”, i quali, destinati a sicuro fallimento, potranno essere trasformati in centri commerciali con la giustificazione che “tanto ormai ci sono”, provocheranno la tanto agognata rivitalizzazione del centro storico. Peccato che tutto avverrà ancora una volta alle loro condizioni, al loro servizio, sempre cioè, dagli stessi furbastri travestiti da benefattori che danno lavoro.

Il Gallo che canta di notte

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