Rivolta laica in Medio Oriente

Lo scontro in atto in Egitto fa emergere la resistenza delle forze laiche alla controrivoluzione islamista impadronitasi del potere e protagonista di un colpo di stato istituzionale teso a trasformare la repubblica in uno Stato totalitario di tipo religioso. Quella parte di popolazione e di forze sociali ribellatesi nel 2011 al regime di Mubarak, per ottenere maggiore libertà e giustizia sociale, non è disposta a finire nella gabbia dei Fratelli Musulmani, e ha ricominciato la rivoluzione interrotta sotto le false garanzie democratiche e la supervisione dell’esercito. Adesso in Egitto lo scontro tra forze retrograde, bigotte, integraliste, che vogliono mettere il bavaglio alle donne, alle conquiste sociali, a tutti gli aneliti di libertà emersi dal sottosuolo di una società mai abbastanza laica, e chi vuole emanciparsi dai condizionamenti della casta clericale per incamminarsi verso una libertà concreta, – questo sconto è alla luce del sole. Ed è un bene, perché esso può stimolare, come già avvenne l’anno scorso, le popolazioni del Medio Oriente e del Nord Africa, specialmente giovanili, a mettere in atto una seconda rivoluzione, più ambiziosa della prima.
In Tunisia, nel silenzio generalizzato di media ammaestrati che tentano di avallare le politiche filoccidentali dal forte impatto negativo sulla società, svariati movimenti, giovanili e non, adottano strategie di resistenza e di lotta in chiave antiautoritaria, autogestionaria, libertaria, cercando di smarcarsi dalle ipoteche partitiche e religiose; si tratta di realtà coniatesi durante gli scontri insurrezionali del dicembre 2010 e gennaio 2011, che non si sono fatte cooptare dalle organizzazioni partitiche della vetero-sinistra maghrebina o dalle aggregazioni integraliste islamiche, dalle quali, anzi, si sono chiaramente smarcate e alle quali sono contrapposte.
In Libia regna il caos, ed è guerriglia tra le milizie e tra i clan. I pescatori siciliani tornati a casa dopo mesi di sequestro hanno descritto una situazione allucinante, concludendo con un’affermazione sintomatica: “oggi è molto peggio di quando c’era Gheddafi”.
La resistenza siriana al regime di Assad è ormai fortemente inquinata da elementi del radicalismo islamico, longa manus dell’Iran, e gli sbocchi ad una eventuale caduta del regime sono prevedibili: dalla padella alla brace. Questo non vuol dire preferire l’attuale regime, ma riflettere su due cose: nel Medio Oriente e nel Maghreb la situazione è tutt’altro che pacificata; ma la lotta per la libertà, che sta costando cara alle popolazioni, rischia di essere vanificata da forze controrivoluzionarie integraliste che sfruttano il malcontento per accreditarsi come alternativa a regimi fatiscenti e corrotti.
Dalla Palestina ci è giunto l’ennesimo grido disperato dei dimenticati, i quali, periodicamente devono provocare una “crisi” per poter conquistarsi il diritto alla visibilità e denunciare le assurde condizioni di apartheid in cui vive un intero popolo; il processo di annientamento del popolo palestinese, perseguito dallo Stato di Israele, non subisce interruzioni, nonostante le periodiche e vane deliberazioni dell’Assemblea dell’ONU; Gaza è una sorta di campo di concentramento a cielo aperto, mentre tutti i territori palestinesi sono erosi quotidianamente dalle politiche di annessione perseguite dal governo israeliano. I palestinesi da soli non potranno mai farcela, e i limiti della leadership di Hamas sono ormai evidenti a tutti; la questione si gioca sul piano internazionale.
Il quadro mediorientale è in crescente fermento; l’Europa e gli Stati Uniti temono che la situazione possa sfuggirgli di mano, come nel 2011, quando hanno dovuto rincorrere gli eventi per assumerne – con le buone con le cattive – un certo controllo, ancora del tutto instabile. Gli USA, in particolare, sono costretti a tenere sempre il dito sul grilletto, e la Sicilia è la loro principale base, con Sigonella e i suoi droni, con Niscemi e la sua stazione di comunicazioni, adesso in via di ampliamento con l’installazione della base satellitare del MUOS.
La lotta dei siciliani contro il MUOS e contro la militarizzazione del territorio è pertanto un contributo internazionalista concreto nei confronti dei popoli mediorientali in lotta per la libertà e l’autodeterminazione.

Pippo Gurrieri

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