GARIBALDI FU FERITO…

GARIBALDI FU FERITO ….
Marsala-Aspromonte 1862
Pubblichiamo alcuni estratti della mostra storico-documentaria “Garibaldi fu ferito …”, che si può visitare presso la Biblioteca Comunale di Marsala fino al 31 dicembre 2012. Curata da Natale Musarra e realizzata graficamente da Antonio Squeo, la mostra, attraverso l’esposizione di documenti in gran parte inediti ed una interpretazione storiografica innovativa, registra la nascita dell’opposizione rivoluzionaria al nuovo Stato italiano.
IL SIGNIFICATO DI “ASPROMONTE”
Il 28 giugno 1862, inaspettato, Giuseppe Garibaldi sbarcava a Palermo. Erano passati due anni da quando aveva lasciato la capitale dell’Isola, strappata ai Borboni, per portarsi nel continente a completare l’impresa dei Mille. I Borboni non c’erano più, ma il malessere del popolo siciliano non era affatto cessato, come dimostravano le rivolte divampate nell’inverno precedente, a macchia di leopardo, in diverse località dell’Isola, e specialmente nel trapanese: a Castellammare del Golfo (con circa trenta morti), Alcamo (due morti), Calatafimi (un morto), Salemi, Mazzara e Castelvetrano. In quella estate, la situazione rimaneva allarmante, come confermava il prefetto di Palermo, Giorgio Pallavicino, con continui rapporti inviati al Ministero dell’Interno.
Sotto accusa erano la leva militare di cinque anni, in vigore dal 1° settembre 1861, le nuove imposizioni fiscali per coprire l’ingente debito dello Stato italiano, le mancate riforme agricole e sociali, e la rinnovata arroganza e impunità dei possidenti locali e della camorra siciliana (nota più tardi come mafia).
Garibaldi sostenne d’essere venuto in Sicilia per far cessare il malcontento, indirizzando le energie e le speranze dei siciliani verso la conquista di Roma. Solo in tal modo si sarebbe realizzato il voto del Plebiscito del 21 ottobre 1860, ovvero di una Italia rifondata nelle sue leggi fondamentali, rispettosa delle autonomie regionali e municipali, e garante dell’eguaglianza di diritto tra i cittadini delle varie classi sociali.
A questa visione, che suscitava ampio consenso tra le forze politiche isolane, si aggiunse l’impegno del Generale per un maggior coinvolgimento delle masse popolari nel processo di rinnovamento della società. Come testimonia Enrico Guastalla, un ufficiale del suo seguito, in alcune pagine del suo diario inedito, l’interesse del Generale per la questione sociale gli fece assumere dei toni, sempre più ispirati, che influenzarono grandemente gli operai di Palermo. Questi difatti parteciparono massicciamente e, per la prima volta da protagonisti, alla spedizione di Aspromonte. Alcuni di loro ricorderanno trent’anni dopo, inaugurando l’esaltante stagione dei Fasci socialisti dei Lavoratori, l’esempio che Garibaldi aveva fatto nella chiesa di San Domenico a Palermo, il 9 luglio 1862, del fascio d’erba che, unito, non si può spezzare.
L’ASSOCIAZIONE EMANCIPATRICE
Le nuove concezioni garibaldine permeavano le circolari dell’Associazione Emancipatrice Italiana, sorta a Genova il 10 marzo 1862, con Garibaldi presidente, per ricomporre le divisioni nel campo democratico e rilanciarne l’iniziativa a più ampio raggio. L’ultima, del 10 agosto 1862, apparve clandestinamente e fu pubblicata dal giornale proto-socialista “La Nuova Europa” di Firenze, immediatamente sequestrato. Il suo tono di aperta sfida al governo porterà allo scioglimento dell’Associazione a livello nazionale.
Fin dal nome, scelto appositamente da Garibaldi, l’Associazione intendeva dare una svolta in senso sociale alla politica italiana. Ai primi due punti del suo statuto (“Attuazione del Plebiscito” e “Roma Capitale”) ne seguiva un terzo (“Uguaglianza de’ diritti politici di tutte le classi”) che, traslato nel Memorandum presentato dai deputati di Sinistra al Parlamento il 23 aprile 1862, prevedeva l’incentivazione dell’istruzione pubblica e popolare, ampie franchigie regionali, l’incameramento dei beni ecclesiastici e un vasto programma di lavori pubblici, stradali e ferroviari. In particolare, vi si parlava di innalzamento delle mercedi per gli operai, di divisione dei beni demaniali comunali e concessione dei beni demaniali dello Stato ai contadini che, trasformati in piccoli proprietari, sarebbero stati assistiti da apposite casse rurali (un programma ripreso solo cinquant’anni dopo). Il Memorandum si concludeva con la proposta al governo (che non
l’accolse) di inviare Garibaldi nel Mezzogiorno per realizzare quel programma e ricondurre all’ordine le popolazioni.
Il 9 luglio 1862, a Palermo, il Generale invitò le società operaie siciliane ad aderire all’Emancipatrice perché, com’egli diceva, “gli operai devono occuparsi di politica per sostenere i loro interessi”. Grazie all’opera di raccordo e di mediazione svolta dalla Massoneria dell’Isola, ben presto, non soltanto le società operaie ma anche quelle democratiche, i comitati di provvedimento, i circoli garibaldini e universitari, e persino alcuni gruppi autonomisti e moderati, si fusero in un’unica forza politico-sociale, inedita nella storia d’Italia, superando di un colpo le resistenze che l’Associazione Emancipatrice incontrava ancora nel resto del Paese.
Fu questa forza, dove l’elemento popolare andava assumendo gradualmente coscienza dei propri diritti, ad organizzare la spedizione di Aspromonte, che partì dalla Ficuzza, presso Corleone, il 4 agosto 1862. Man mano che Garibaldi avanzava, l’Emancipatrice si estendeva, coinvolgendo le società operaie di Messina, poi di Caltanissetta, infine di Catania.
IL PROGETTO DELL’INSURREZIONE SICILIANA
Il punto culminante della spedizione fu la presa della città etnea, avvenuta all’alba del 19 agosto. In realtà i catanesi insorsero, forzarono i cordoni militari e raggiunsero Misterbianco, a qualche chilometro di distanza dove, usando i corpi come scudo umano, protessero i garibaldini conducendoli dentro la città. Dell’atmosfera che si respirava a Catania prima e dopo l‘entrata di Garibaldi sono testimonianza le lettere che il generale Corrao inviò a Rosario Bagnasco a Palermo. Giovanni Corrao, figlio di un calafato, amico di Rosalino Pilo e come lui assertore di una repubblica democratico sociale, è l’esponente di punta del garibaldinismo siciliano. Durante la campagna di Aspromonte fu sempre vicino a Garibaldi, ne raccolse gli umori e gli riportò quelli della sua gente.
Nelle sue lettere incitava i compagni rimasti a Palermo a onorare la propria fama, insorgendo e sbaragliando l’esigua guarnigione militare. Garibaldi allora sarebbe ritornato sui suoi passi, e come auspicato dai giornali di parte democratica, prima del loro scioglimento, avrebbe assunto il controllo del’Isola, installato un governo provvisorio (a Palermo conservavano un buon ricordo della dittatura del ’60) e ricontrattato i patti d’unione all’Italia.
É questa la prima enunciazione di un programma politico alternativo a quello unitario e sovversivo dell’ordine imposto dal governo di Torino. Lo ritroveremo perfezionato negli anni seguenti dai gruppi che organizzeranno la rivolta del sette e mezzo (16-22 settembre 1866).
Palermo, in realtà, si trovava sotto un ferreo tallone militare (lo stesso Bagnasco sarà arrestato e deportato in Piemonte) e la Guardia nazionale, controllata da un ex fedelissimo di Garibaldi, il generale Medici, che pure aveva minacciato di dimettersi, rimarrà ligia al governo di Torino. Inoltre, lo stesso Garibaldi non manifestava alcuna propensione per un programma che sapeva di separatismo e, prima di abbandonare Catania, in un manifesto materialmente redatto da Antonio Mordini, ribadiva la sua fede unitaria.
Quel manifesto rivelava la caduta di alcune illusioni. Non si era avverata la massiccia diserzione o la connivenza di quadri e soldati dell’Esercito regolare e della Marina, né la caduta del governo Rattazzi, sulle quali Garibaldi confidava, e neppure, una volta messo alle strette, l’insorgenza delle popolazioni delle altre due principali città dell’Isola. E, col blocco navale, diventava improbabile l’imbarco per Civitavecchia o per la Lucania, temuto dalle autorità, e il ricevere armi, puntualmente intercettate. Il ventaglio d’ipotesi su cui era costruita la sua strategia, nella speranza d’innescare, com’era avvenuto due anni prima, pronunciamenti sempre più netti del re e del governo a favore della presa di Roma (anche in contropartita di un futuro intervento armato in Grecia), si andava ora esaurendo.
ASPRO MONTE
Il governo Rattazzi, vanificato ogni tentativo di mediazione e anzi venendo beffato da Garibaldi – al quale aveva offerto un salvacondotto per lasciare l’Italia -, impartì l’ordine di strappare con la forza Catania ai garibaldini. Intercettata la corrispondenza telegrafica tra il generale Ricotti, che assediava la città etnea, e le unità dell’Esercito regolare comandate dal colonnello Pallavicini, inviate ad Acireale per tagliargli la strada di Messina, Garibaldi venne a conoscere il progetto di bombardare Catania all’alba del 25 agosto. Il giorno prima, ad evitare tale eventualità, che avrebbe rinverdito gli orrori dei bombardamenti borbonici di Palermo e di Messina, Garibaldi fece assaltare due bastimenti presenti nel porto di Catania, il Dispaccio che apparteneva ai Florio, con cui era in segrete intelligenze, e il francese Général Abatucci, trattato come una preda di guerra, e vi fece imbarcare due terzi della sua Legione.
Allontanatesi le navi della Regia Marina che bloccavano il porto (si disse per evitare un abbordaggio), il piccolo esercito garibaldino approdò indisturbato a Mèlito, in Calabria. Nei tre giorni seguenti, però, costretto ad inoltrarsi sui contrafforti dell’Aspromonte, senza viveri, sfamandosi solo di pane e formaggio, con appena qualche esile speranza di raggiungere le bande armate, organizzate da Nicotera, che l’attendevano in Basilicata e nel napoletano, esso si disuniva e gradualmente si sfaldava. Il 29 agosto, i bersaglieri del colonnello Pallavicini, spedito in Calabria a “braccare” Garibaldi, entravano in contatto con le avanguardie garibaldine e, dopo una breve sparatoria alla quale risposero gli uomini di Menotti e di Corrao, ferirono il Generale, che si era esposto nel tentativo di far cessare il fuoco, al collo del piede destro.
LA CORRENTE RIVOLUZIONARIA
Quella fucilata (si sospettò che la pallottola, sparata dal basso in alto, fosse indirizzata al cuore) portò alla rottura dell’incantesimo unitario e favorì la nascita di una forte opposizione di sinistra, non più solo politica ma anche sociale, che si riannodava ad una tradizione risalente, in Sicilia, alla rivoluzione del ’48.
Le utopie socialiste e libertarie tornarono a calcare la scena, trovando nuova linfa nelle disastrose condizioni politiche e sociali dell’Isola e nell’incapacità di porvi rimedio da parte delle classi dirigenti. Con un percorso precoce rispetto al resto d’Italia, i “democratico-sociali” di Sicilia si appellarono alla forza dirimente dell’insurrezione di popolo, sperimentata nei mesi della rivoluzione garibaldina del ’60 e invocata invano nella torrida estate del ’62, per rivendicare la necessità e l’urgenza di ampie e risolutive riforme sociali.
Se Garibaldi nutrì ancora delle illusioni nei confronti di re Vittorio, almeno fino al disastro di Mentana nel 1867, non così gran parte dei garibaldini dell’Isola, che sulla spedizione di Aspromonte avevano riposto speranze deluse di riscatto sociale e che in alcune zone, di lì a poco, cominceranno a organizzarsi in bande armate per scacciare i “piemontesi”.
Lo “svelamento” di Aspromonte, ovvero il riconoscimento dell’impossibilità di operare un cambiamento radicale all’interno del quadro istituzionale piemontese, produsse i suoi primi effetti già al rientro dei regi a Catania. Il prefetto della città, Tholosano, commentando allarmato i disordini che vi scoppiarono, culminati nell’assalto al Casino dei civili, telegrafava al Ministero dell’Interno che “Catania è un vulcano. Garibaldi e Padre Pantaleo lasciarono partendo un vero odio delle classi infime contro i Signori. Sono designate le vittime e le case da ardersi. Non è più guerra politica ma sociale”.
Il protagonista indiscusso della nuova fase storica fu Giovanni Corrao, che i rapporti dei questori davano ormai come scatenato organizzatore di rivoluzioni, la prima delle quali fissata per la ricorrenza del 4 aprile 1860. Corrao rivelò a Crispi di avere speso ventimila lire, dopo Aspromonte, per armare 400 suoi ex commilitoni allo scopo di scatenare un’insurrezione, qualora Garibaldi fosse stato processato dai Tribunali militari. Quegli stessi uomini sarebbero passati all’azione nel primo anniversario dello scontro di Aspromonte se Corrao non fosse stato assassinato, il 4 agosto 1863, prima vittima eccellente della mafia, su ordinazione, disse la voce pubblica, del governo di Torino. Si inaugurava così il filone dei Misteri d’Italia.
Natale Musarra

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