L’Ora di Spampinato

PINOBERTELLI

L’Ora di Spampinato (2012), di Vincenzo Cascone e Daniele Schininà

a Franco Leggio

maestro e amico in anarchia… è stato lui farmi comprendere

che il profumo delle rose di campo può mutare il corso delle costellazioni…

Ci sono più libertà nel fucile di un brigante che nella testa di un democratico”,

tuonava l’anarchico nel film di Mauro Bolognini, Libera, amore mio (1973),

massacrato dalla critica di destra, di sinistra e dalla censura del mercato.

I. La provincia babba

Dire la verità è un atto rivoluzionario (Gorge Orwell), sempre. Ecco perché ci sono tanti gazzettieri a libro paga del potere e pochi giornalisti che hanno l’ardire di scrivere, denunciare la politica del malaffare e le sue connivenze con mafie e fascismi d’ogni tempo. È la stampa [libera] bellezza, e tu non ci puoi fare niente, Humphrey Bogart, diceva (L’ultima minaccia, 1952, di Richard Brooks, c’erano anche Lauren Bacall e Marilyn Monroe). L’industria dei partiti alimenta il naufragio dei diritti più elementari e i governi si succedono nell’espropriazione della sovranità popolare. “Le organizzazioni dei partiti sono macchine per fabbricare voti… Il successo dei partiti politici dipende essenzialmente dall’efficienza della loro macchina, e l’efficienza della macchina dipende essenzialmente dai quattrini disponibili. E per trovare i quattrini abbandonano tutti i principi morali” (Ernesto Rossi). Tutto vero. Una casta di profittatori feroci (sinistra inclusa) si abbevera alla tirannide finanziaria che alza gli indici dei dividendi sull’impoverimento della vita pubblica e le reticolazioni con il crimine organizzato sono celate, difese, deposte nella cloaca sepolcrale del parlamento. I partiti politici sono una lebbra sparsa ovunque e le istituzioni un male incurabile, e vanno destituiti del loro autoritarismo poliziesco. “Lo spirito del partito acceca, rende sordi alla giustizia, spinge anche le persone oneste all’accecamento più crudele contro gli innocenti” (Simone Weil), i “quasi adatti”, gli esclusi, gli ultimi, chi non sta al giogo della farsa elettorale ed è per questo che i partiti vanno soppressi.

La politica dello spettacolo è il luogo dove la libertà, la dignità, la fratellanza tra uomini viene calpestata, violentata, derisa… tutto un arcipelago di ramificazioni con giornalisti, sindacalisti, artisti, faccendieri sostiene l’ordine costituito… la democrazia partecipata, diretta o consiliare non è un dono del cielo… è la partecipazione collettiva che, in azioni finalizzate ad abbattere le barriere dell’economia politica neoliberista, apre il cammino egualitario della società che viene.

Per non dimenticare. “Ogni tipo di resistenza è possibile e, come nel passato, può produrre dei risultati… Le idee più evolute che gli attivisti e i pensatori anarchici hanno elaborato sono quelle di una società altamente organizzata — altamente strutturata e organizzata —, che sia però fondata sulla partecipazione libera e volontaria” (Noam Chomsky). E non importa essere degli strateghi dell’alta finanza o demiurghi della politica per comprendere che c’è bisogno di una rivoluzione significativa — c’è bisogno di una rilevante maggioranza della popolazione — per mettere fine alla concentrazione della ricchezza in poche mani… chi detiene il potere non rinuncia ai propri privilegi, occorre che cresca un movimento di disobbedienza attiva (come l’esplosione libertaria del Sessantotto, quando anche i vini e le marmellate vennero più buoni) che inceppi i pubblici orologi, renda più vergognosa la vergogna della politica e passi al dispregio dei palazzi nell’ora de tè.

L’Ora di Spampinato di Vincenzo Cascone e Daniele Schininà, è un esempio di cinema affabulato sull’insurrezione delle coscienze, in questo caso quella di un giornalista de L’Ora di Palermo — Giovanni Spampinato —… nella provincia babba di Ragusa il giovane apprendista-giornalista ha scritto su affari sporchi, colpi di Stato e fascismi montanti dell’italietta del restauro catto-demo-comunista… dopo il suo assassinio gli viene “data” la tessera dell’ordine dei giornalisti e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (un uomo sinistro, buono per tutte le stagioni dei poteri forti), gli conferisce il premio “Saint Vincent” per il giornalismo alla memoria.

Alcuni anni dopo la morte di Spampinato, le indagini dei magistrati troveranno nei suoi scritti le tracce della collusione tra neofascisti, criminali comuni e servizi segreti deviati, conosciuti come “Gladio”. Peccato che in vita i suoi articoli contro il fascismo, ”cosa nostra” e la corruzione dei politici non abbiano scosso la sensibilità né l’intervento dovuti, nemmeno dal partito di riferimento del giornalista (PCI). Non ci stupisce. Le “mosche cocchiere” del PCI sono sempre state dalla parte dell’ideologia repressiva e i loro eredi (stavo per dire escrementi) di adesso (PD) sono a guinzaglio dell’oligarchia finanziaria.

Le inchieste di Spampinato (non sempre bene accette nell’ambiente dei corrispondenti in Sicilia…) insinuavano che Catania, Siracusa, Ragusa… erano crocevia di attività clandestine tra l’estrema destra, la mafia e le istituzioni, all’interno di un piano eversivo nazionale e internazionale. Nel 1972 il giornalista avrà modo di incontrare anche gli anarchici ragusani e su L’Unità e L’Ora denuncerà il tentativo d’infiltrazione nel movimento anarchico di Vittorio Quintavalle, figlio di un militante del fascismo romano, vicino a Junio Valerio Borghese (comandante della “X Mas” nella Repubblica di Salò). Il marcio del colpo di Stato nero era nell’aria e i politici razzolavano — sempre più maleodoranti di menzogne — come ratti su un cumulo di spazzatura.

L’Ora di Spampinato racconta la vita corta di un giovane che voleva fare il giornalista vero… c’è dentro, anche, la parte grande, migliore del popolo siciliano, quello di Ragusa, forse. Spampinato aveva compreso che la “notizia” va colta sul fatto e non attraverso le veline delle agenzie di stampa, come si usa ai nostri giorni… il giornale non è né deve essere il megafono dei padroni dell’immaginario ma lo spazio dove le idee delle persone diventano accuse al volere predominante e il rovesciamento dell’inganno, la seminagione del bene comune. Non c’è diavoli che tengono. Il liberalismo economico che succede alle ideologie è esso stesso un’ideologia fallimentare e poggia i propri consensi e successi sulle macerie della verità negata.

In un’epoca di mutamenti sociali, nel crescente smarrimento della politica, della cultura, della scienza, dell’arte… questo film singolare va a scrostare la benevolenza della comunicazione e mostra che l’alienazione (la disumanità) imperante fuoriesce da anni di falsità e sottomissione all’ordine istituito.

II. L’Ora di Spampinato

L’Ora di Spampinato assembla ricostruzioni storiche, materiali d’epoca, articoli del giornalista, interviste appassionate e uno splendido fumetto di Guglielmo Manenti, per raccontare un omicidio di Mafia, quello di Giovanni Spampinato, corrispondente ragusano dell’Ora di Palermo. Spampinato lavora sul neofascismo in Sicilia… scopre collegamenti del traffico d’armi, opere d’arte, reperti archeologici, contrabbando di sigarette, droga… con i colonnelli greci ascesi al potere con un colpo di Stato, elementi neofascisti del ragusano ed eversori neri nel continente. Il giornalista scrive che il territorio ibleo non è sonnolento o pacificato, come si vuol far credere sui giornali… ma una zona grigia nelle mani invisibili (tutti sanno, nessuno parla) del potere mafioso che conduce alla “pista nera” delle stragi (di Stato) rimaste impunite.

Prologo. L’uccisione dell’ingegnere Tumino, ex-missino, ex-costruttore della Ragusa moderna, trafficante di arte antica, imprenditore in odore di mafia… porta Spampinato a cercare la verità sulla vicenda, nella quale sono indiziati (ci sono dei testimoni) Giovanni Cutrone, un truffatore legato agli ambienti di estrema destra a Roma, fondatore al suo paese di nascita (Chiaromonte) di una sezione dell’Uomo qualunque… e il figlio (dandy) del capo del tribunale di Ragusa, Roberto Campria. Solo l’Ora pubblica la notizia e l’articolo è firmato da Spampinato. La magistratura ragusana si occupa del caso con disinvoltura e seppellisce la verità tra le carte della burocrazia. Cutrone si rende irreperibile e Campria continua a fare il play boy nella città muta. La sera del 27 ottobre 1972, Campria uccide Spampinato nella cinquecento bianca del giornalista… gli spara a bruciapelo (con due pistole) davanti alle carceri di Ragusa e si costituisce alle guardie. Al processo i giudici lo riconoscono seminfermo di mente e gli danno 14 anni di reclusione, ne sconterà solo nove nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), dove muore. L’omicidio di Tumino resterà ufficialmente senza autori.

Il docu-film di Vincenzo Cascone e Daniele Schininà si apre con uno spezzone documentario sulla gente festante di Ragusa, scesa in piazza in onore di Benito Mussolini… il Duce degli italiani tutti inaugura un fabbricato piuttosto brutto — la Casa del Balilla, costruita nella piazza dell’Impero — e insieme alla Casa del Fascio, il palazzo provinciale delle Corporazioni, sono magnificati dal giornalista del film Luce come “un complesso architettonico armonioso”… bandiere nere, fazzoletti bianchi, applausi scroscianti, sorrisi di una folla in delirio osannano il Duce e riempiono lo schermo di stupidità.

Va detto. Il fascismo è stato di massa anche in Sicilia e i vessilli neri, il libro e il moschetto sono stati — senza equivoci — gli emblemi del fascista perfetto. Tuttavia, la meglio gioventù italiana prenderà le armi contro il dispotismo e la guerra di resistenza — al prezzo di sessantamila morti — riporterà dignità e fraternità là dove erano state calpestate, carcerate o uccise. La barbarie a venire della teocrazia finanziaria e della corruzione della politica emergevano già nella periferia ragusana… gli scherani della mafia proteggevano i loro mandanti e macinavano la vita di dissidenti o spiriti “curiosi” che incrinavano i loro misfatti, come Spampinato. C’è da dire che il padre di Spampinato aveva fatto la resistenza in Dalmazia (si dice col grado di maggiore) ed era stato tra i fondatori del PCI locale. Il figlio però preferisce le rivendicazioni generazionali del sessantotto, legge Marx, Sartre, Gramsci e non accetta i torpori di una provincia dormiente. Va in aiuto ai terremotati del Belice, si avvicina all’Arci, alla Fuci, alla chiesa di base, collabora ai giornali L’opposizione di sinistra e il Dialogo. Entra nel movimento Nuova Resistenza. La festa libertaria dell’immaginazione al potere (per meglio distruggerlo) del sessantotto infiamma il mondo e anche Ragusa.

A ridosso degli studi di Carlo Ruta sull’affare Spampinato (che mettono a fuoco le omissioni della procura di Ragusa sul caso Tumino e l’omicidio del giornalista che aveva portato all’attenzione pubblica le trame del neofascismo — non solo — nel territorio ragusano)… il docu-film di Cascone e Schininà riporta alla memoria quei fatti di sangue e il “nobilitato” locale (sostenuto da uomini d’”onore” e politici di taglio nazionale) è indicato tra i fiancheggiatori dell’omicidio di Spampinato. Il discorso filmico si avvale della ricostruzione attoriale intrecciata a interviste di storici, giornalisti, amici e il figlio di Tumino… giustamente la vita privata di Spampinato è lasciata in disparte… lo sguardo fermo, radicale, poetico degli autori s’addossa alle crepe istituzionali, colpevoli della vita spezzata del giovane giornalista e quel che più conta, mostra che il servilismo, le compromissioni, le convenienze sono parte di una burocrazia politica che (al culmine della propria indecenza mafiosa) fabbrica morti, sempre.

I contributi/testimonianze di Giuseppe Baglieri, Gianni Bonina, Giuseppe Casarrubea, Michele Duchi, Pippo Gurrieri, Renzo Lo Presti, Giovanni Meli, Luciano Mirone, Franco Nicastro, Riccardo Orioles, Chiara Ottaviano, Giovanni Pluchino, Carlo Ruta, Marcello Sorgi, Marco Tumino… entrano nella tessitura cinetica (di grande pregio) e le loro parole, sovente svincolate da timori o prudenze occasionali, assumono lo splendore del vero nelle facce, posture, corpi di Giovanni Arezzo, Federica Bisegna, Massimo Leggio, Davide Migliorisi che emergono nell’interpretazione estraniante, atonale, perfino guittesca, propria alla commedia dell’arte.

Le immagini di Cascone e Schininà non dimenticano nulla… ricordano i costumi dell’epoca in “pezzi” tratti dal cinema, televisione, cinegiornali… come le sequenze del film di Germi, Divorzio all’italiana (girato nel ragusano), dove il prete, dal pulpito, invita i fedeli a votare un partito che sia democratico e cristiano o la festa in una cellula del PCI, dove gli uomini ballano tra uomini sotto lo sguardo moralista (d’accatto) del compagno-segretario. C’è il festival di San Remo, i ragusani vestiti alla medesima maniera, seduti su seggiole di paglia al sole della piazza centrale… l’eccidio di Avola (1968), la strage di Piazza Fontana (1969), la rivolta di destra a Reggio Calabra (1970)… il sequestro e la morte di Mauro De Mauro, il fallito colpo di Stato del “principe nero” (Junio Valerio Borghese)… la strategia della tensione (manovrata dai servizi segreti italiani, massoneria, borghesia industriale, si saprà poi) fuoriesce dalle fotografie dei neofascisti (Stefano Delle Chiaie, Quintavalle), articoli, lettere di Spampinato… singolare è la voce fuori campo che accompagna l’intera architettura filmica e bene si fonde con le riflessioni, i dubbi, le inquietudini di Spampinato che “parla” in prima persona.

Il testo e l’adattamento di Flora Monello è avvincente, asciutto, teso a scoperchiare la verità e restituire il percorso del giornalista, senza mai dimenticare nomi e complici coinvolti nel suo omicidio. La trattazione visuale di Cascone e Schininà è di grande forza espressiva e porge la catenaria dei fatti con notevole lucidità… un dispositivo avvincente, non proprio comune al documentarismo attuale, sempre teso a coniugare la cosa trattata e le necessità del palinsesto commerciale televisivo. Gli autori fanno anche delle citazioni colte. Quando Campria gioca con le pistole (Smith & Wesson e Erma Werke)davanti allo specchio, il rimando a Robert De Niro di Taxi Driver (Martin Scorsese, 1976) è preciso. Di più. La chiusa è coinvolgente. Degna del miglior cinema francese, quello che ha espresso il reale magico delle periferie degli anni ’40/’50 (Marcel Carné, per intenderci). Il giornalista alle prime armi, studente di filosofia che leggeva Marcuse, Pasolini, gli esistenzialisti, viene ammazzato nella sua cinquecento davanti al carcere di Ragusa da Campria, l’assassino getta una pistola sul sedile e con l’altra in pugno si consegna alla “legge” che, — come sappiamo —, dice che ha commesso l’omicidio in preda ad una forma di mania depressiva e lo relega in un comodo manicomio dell’isola, e lì è la sua tomba.

In un articolo di notevole fattura, il giornalista del Corriere della sera, Paolo di Paolo di Stefano (1 giugno 2008), descrive quello che i carabinieri trovano nella cinquecento imbrattata di sangue: “Spampinato aveva una grave miopia, i suoi occhiali da vista, con lenti affumicate e montatura metallica bianca, sono finiti sotto il sedile del passeggero. Sul sedile posteriore sono rimasti il sacchetto vuoto di una macelleria, un libro dell’antropologo Antonino Uccello e una borsa in pelle nera. Nel cassetto del cruscotto c’è di tutto: tre bobine per mangianastri (Rapsodia in blu di Gershwin, il Capriccio italiano e la Patetica di Tchajkovskij, un Canzoniere siciliano)… Ci sono anche due mini-bottiglie di Vecchia Romagna e Petrus, dei bicchieri di plastica, un bloc notes, dei bulloni, otto Muratti, un fischietto di canna di bambù, un pettine di plastica, un rullino Kodak a colori, una biro, una lametta da barba usata, una medaglia di bronzo del campionato di calcio studentesco 1967. Dietro la spalliera, una serie di vecchi ritagli. In caserma, dopo qualche minuto arriva il maresciallo Pietro Nocera, che vede il Campria ancora con la testa tra le mani seduto sullo stesso scalino: «Cosa ho fatto, cosa ho fatto ». Lo aiuta a sollevarsi, lo interroga nel suo ufficio: «Mi ha tormentato per otto mesi, ero morto per otto mesi e l’ho dovuto ammazzare”. Al funerale di Spampinato c’è tutta Ragusa in lacrime, un po’ tardi però. L’ingiustizia (della politica e della mafia) ha fatto il suo corso.

Il montaggio (curato da Cascone e Schininà) è austero, nulla concede all’intrattenimento e come una partitura musicale eseguita alla rovescia (a ritroso), lascia leggere il film in una pregnante bellezza estetica/etica. La fotografia di Marcello Bocchieri accorpa brani di cinegiornale a sequenze girate con sapienza, senza mai scadere nel romanzo o nella cronaca edulcorata. La musica di Stefano Meli fa da contrappunto all’intero progetto e sottolinea con abilità metaforica, l’epica del buono, del bello, del vero espressa fino in fondo in L’ora di Spampinato.

Il docu-film di Cascone e Schininà va a violare le pareti traballanti dell’edificio della giustizia, le infamie della politica e denuncia non solo la rapacità della mafia, ma anche il silenzio di un’intera città che, in qualche modo, è stata complice dell’omicidio di Spampinato. Il cattivo uso della libertà è parte di un sistema di lupi che obbedisce non tanto alla propria necessità o sopravvivenza, ma al potere che lo usa per i propri servigi, anche i più turpi. La clemenza, l’asservimento, la genuflessione assicurano il profitto ai crimini dei potentati. Un assassinio di Stato è un assassinio di troppo! “Il diritto di vivere non si mendica, si prende”, diceva il ladro galantuomo Alexander Marius Jacob. Dove regnano l’impostura e la violenza, la fatalità dei rassegnati è complicità con il potere… la volontà di vivere senza inginocchiati s’insinua là dove i regimi si credono più sicuri (nei valori, nella morale, nella fede) ma poco a poco anche le pietre del conformismo diventano sabbia e crollano… è il desiderio di vivere tra liberi e uguali che apre le porte al possibile magico (che qualcuno chiama dolce anarchia) che si fa storia.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 11 volte dicembre 2012.

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