La voce del cannone

I venti di guerra sono tornati a soffiare, riportando l’attenzione su un Medio Oriente dove la guerra non è mai cessata, e non solo per la vicinanza di Afghanistan, Iraq e Yemen, ma per il genocidio del popolo palestinese, che procede nel silenzio più assordante. Di Siria si parla da molti mesi; il clichè è il solito: dittatori che hanno fatto affari con tutti, che sono stati amici e garanti anche delle potenze occidentali, ora vengono additati come sanguinari assassini. Fin quando ciò lo sostenevano gli oppositori o le vittime, era solo un vociare insignificante; ma quando è la più grande potenza mondiale ad alzare i toni, tutti devono allinearsi.
La guerra civile siriana non è, da tempo, uno scontro fra regime e popolo resistente; si è trasformata rapidamente in un campo di battaglia tra un regime militare totalitario e spietato e gruppi di varia provenienza anche estera, in gran parte fondamentalisti, interessati a far divampare quell’incendio da cui potranno scaturire nuovi regimi integralisti e militaristi. Da qui le difficoltà degli USA ad entrare direttamente nel conflitto, mascherate dall’attesa di prove o da passaggi democratici. Ma c’è anche il contesto: Israele da un lato e Iran dall’altro, a non fornire nessuna certezza sulle conseguenze di un’esplosione.
Nonostante il martellamento, è difficile trovare tifosi per questa guerra. Sembra di assistere al solito braccio di ferro tra grandi potenze; quella dialettica del terrore utile a definire o consolidare le gerarchie internazionali.
Quando mai gli americani hanno avuto bisogno di prove? Quando lo hanno voluto, se ne sono inventate di false per tuffarsi in guerre infinite, da dove ora hanno difficoltà a tirarsi fuori, lasciando più macerie (materiali, economiche, culturali e morali) di quante ne abbiano trovate. Il regime siriano possiede armi chimiche, come le possiedono gli USA, la Russia o la Cina; chi ha aiutato gli Assad a costruirsele sono stati un po’ tutti, dalla Cina alla Corea del Nord, dalla Russia alla Francia alla Germania. I ribelli stessi ne hanno usate, portandosele da Afghanistan o Cecenia, o recuperandole all’esercito siriano, e a dichiararlo è stato il giudice Carla Del Ponte (maggio 2013), o il sito di opposizione nonviolenta Syriatruth.
Ma la guerra innalza il PIL; le principali industrie occidentali produttrici di armamenti premono per il loro utilizzo; le forze armate, addestrate a uccidere, fremono ovunque, stanche di troppe pause. Ecco che una prova di forza in Siria potrebbe partire da un giorno all’altro, magari dalla durata breve, salvo scenari di incontrollabilità, comunque evitando di rovesciare un regime che – a modo suo – assicura stabilità nell’area.
L’Italia non è da meno in queste logiche, nonostante gli equilibrismi della Bonino; Letta con l’elmetto in Afghanistan ci dice proprio questo. E non solo: pensiamo all’incremento delle spese militari, mentre l’argomento tasse è all’ordine del giorno; quest’anno alla Difesa andranno 14,4 miliardi, contro i 13,6 dello scorso anno; fondi destinati allo sviluppo economico, stanno confluendo copiosi nelle spese militari; persino fondi destinati all’università e alla ricerca; tutti guardiamo l’assurdo acquisto degli F-35 (circa 9 miliardi), mentre si acquistano gli intercettori supersonici Eurofighter Typhoon per oltre 21 miliardi; tutti i settori delle forze armate sono in preda a spese folli.
La Sicilia, con le sue basi USA-Nato di Sigonella, Trapani Birgi (con i loro droni), Augusta e Niscemi è già allo stato di massima allerta e farà da prima linea, con le basi cipriote e turche, in questa nuova aggressione. Ogni guerra americana è per noi un salto verso una maggiore militarizzazione.
Purtroppo il clima non è quello dei tempi dell’intervento nel golfo; troppe distrazioni affliggono i movimenti; solo la ripresa della mobilitazione, assieme al movimento NO MUOS che sta crescendo rapidamente, può recuperare il gap esistente e ridare spinta a una forte opposizione alla guerra, alle spese militari, alla presenza di basi Nato-miricane sul nostro territorio.

Pippo Gurrieri

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