2014

Tempo di auguri, ma più che altro, tempo di ipocrisia. L’inizio di un nuovo anno è l’occasione per fare dei bilanci, e mai come ora il bilancio per milioni di persone è drammatico.

La crisi economica, di cui si annuncia da tempo l’imminente fine, è lo specchio della società divisa in classi in cui una minoranza si arricchisce sempre di più speculando sulle disgrazie imposte alla maggioranza. La crisi è il trionfo del neoliberismo, l’apoteosi del capitalismo, con le classi subalterne, che aspiravano a un cambiamento radicale, o quantomeno a dei sostanziali miglioramenti delle proprie condizioni, in ginocchio a constatare il ridimensionamento delle proprie aspirazioni e dei propri diritti.

Il 50% dei giovani non ha un lavoro; nel Sud questa percentuale sale vertiginosamente; una società intera è sotto sequestro da parte del clientelismo e della corruzione dilagante, via selvaggia all’arricchimento per pochi e all’abbattimento delle barriere giuridiche, legali e spesso anche morali che regolavano bene o male i rapporti sociali.

Una pletora di caporali, preti, burocrati, politici riciclati, nel ruolo di filantropi e senzali, sguazzano nel pantano puzzolente di una società della sopravvivenza, appena malcelata dietro le vetrine dei centri commerciali e sotto le luminarie delle strade bardate a festa.

E’ vero, tutto questo convive con i nuovi orientamenti sui consumi, e non è raro incontrare il disoccupato con l’i-phone, meschina conquista, nuova droga per sopportare – e magari non vedere – il baratro in cui viene cacciata una intera generazione: la sua.

Dietro la nuova categoria degli “scoraggiati” ci sono quelli che si sono rassegnati e si adagiano sulla passività e la delega, nella speranza che un politico di turno o una vincita miracolosa ad uno dei tantissimi giochi d’azzardo legalizzati, possa cambiare la propria, e solo la propria, vita. Trasformarli in incazzati non è facile.

Prato, con il selvaggio west cinese, non è un’eccezione: c’è il Veneto dell’ex boom economico, c’è tutta l’agricoltura del Mezzogiorno che va avanti con il supersfruttamento di milioni di invisibili che innaffiano con le loro gocce di sudore i carciofi, le arance, le olive che mangiamo. Sempre più donne italiane a fanno le badanti al posto delle rumene; le condizioni di lavoro sono sempre più cinesi anche nelle fabbrichette italiane; la cinesizzazione del lavoro è l’obiettivo di padroni e governo, senza nessuno che debba protestare, senza sindacati che richiedano l’applicazione dei contratti, anzi, senza più contratti che non siano quelli pattuiti a livello personale tra i cani da guardia dei padroni e la massa di sfruttati che bussa alla loro porta.

Quel che non hanno capito i “forconi” è che non è più questione di leggi elettorali, di applicazione della costituzione, di euro, di tasse inique: il problema è il capitalismo, è l’assetto insostenibile di questa società, è quindi la soluzione sta nel riuscire a saldare il malessere diffuso non con chi rimpiange i bei tempi del berlusconismo rampante, dell’evasione possibile perchè i soldi giravano, o addirittura con chi propugna regimi dittatoriali che impongano militarmente l’ordine sociale, ma con i movimenti di lotta territoriali, con le resistenze diffuse, dalla valle Susa alla terra dei fuochi, da Niscemi alla Sardegna, dalle periferie devastate dalla criminalità e dalle speculazioni edilizie, alle campagne divenute il campo di battaglia tra contadini e orchi delle multinazionali, per andare a fondo delle cause del malessere sociale e dello sfruttamento. Per questo hanno fallito.

Andava, e va, innalzato non solo il livello dello scontro – cosa necessaria – ma anche quello degli obiettivi: lavorare meno / lavorare tutti; paghi chi non ha mai pagato; reddito minimo garantito; blocco degli sfratti; espropriazione delle grandi ricchezze; riappropriazione dei bisogni, degli spazi (abitativi, sociali, culturali); istruzione seria e utile per tutti; servizi efficienti e gratuiti sganciati dalle logiche liberiste del profitto…

Il 2014 ricorre un anniversario importante: 200 anni fa, il 30 maggio 1814, nel piccolo villaggio russo di Prjamuchino, presso Tver’, nasceva un bambino di nome Michail Aleksandrovic Bakunin. Quello che questo bimbo, diventato adulto, ci ha lasciato come pensiero e come insegnamento, è ancora oggi di fondamentale aiuto per ritentare di rialzare la testa, senza farsi coinvolgere nei tanti errori del passato, di cui ancora paghiamo le conseguenze.

Pippo Gurrieri

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