I diritti e i beccamorti

Renzusconi spinge sull’acceleratore delle riforme, benedetto da CEI e Confindustria, con un po’ di teatro da parte di CGIL e UIL e il sostegno della CISL.

La parola “riforma” da anni viene spacciata come atto legislativo che apporta migliorie all’esistente; in realtà essa vuol solo significare ridare forma a delle leggi, anche se poi questo può essere migliorativo o peggiorativo. Il governo e suoi leccapiedi, ovviamente, lo spacciano sempre come atto benefico frutto di una volontà moderna e votata al bene collettivo, ma negli ultimi decenni tutte le riforme sono state delle controriforme, dei saccheggi legislativi, degli assalti ai diritti conquistati dai lavoratori o dalla società, a volte con aspre battaglie di piazza, mobilitazioni politiche, sociali e culturali.

E’ compito dei governi massacrare le conquiste popolari, svuotare di significato le leggi che le hanno sancite, sostituirle con norme peggiorative o cancellarle del tutto. Nessun governo si sottrae a tale funzione; anche quando abbiamo avuto governi “riformisti” di centro sinistra o di sinistra, essi erano costretti ad accettare e varare riforme positive per frenare, incasellare e controllare conquiste che la società aveva già da tempo messo in pratica e digerito o che la spinta popolare rendeva non più rinviabili. E subito dopo iniziava il lento lavorìo per il loro annullamento e successiva abolizione.

I governi di sinistra negli ultimi anni sono stati tra i più accaniti massacratori delle conquiste sociali, specie quelle più legate al mondo del lavoro; con l’aureola sinistroide era più semplice ingannare le masse, specie gli elettori, in genere più sospetti nei riguardi di un governo di centro destra.

Ma i tempi non sono più quelli; non solo tra destra e sinistra le sfumature sono diventate imbellettature da operetta, ma è missione di entrambi azzerare i diritti dei più deboli, assicurare privilegi ai più ricchi, procedere verso un livellamento verso il basso delle condizioni di vita e di lavoro.

Ogni annuncio di Renzi e del suo cenacolo ministeriale nasconde e rappresenta una tappa di quest’opera di smantellamento e di restaurazione reazionaria. Cambiano i modi, si usa l’inglese “job act” per parlare di provvedimenti sul lavoro, ma la sostanza è stravecchia e puzza di putridume parlamentare e restauratore. Da bravo allievo di preti, Renzi sa come girare le parole per raggirare la gente; un diritto acquisito diventa un privilegio e automaticamente una discriminazione per chi non ce l’ha, quindi s proceda alla sua cancellazione piuttosto che alla sua estensione! Come se il precariato, la disoccupazione, i ricatti occupazionali li avessero inventati quei milioni di individui privati di un reddito decente e lasciati in balìa di sfruttatori senza scrupolo, agenzie interinali, caporali d’ogni gradazione, e non invece le illustri menti partorite dai centri studi sindacali o dal grande partito PCI-PDS-DS-PD e del suo ex compagno di strada PSI (pacchetto Treu 1997 – legge Biagi 2003), sempre incoraggiati e applauditi dai padroni e dai banchieri italiani ed europei.

L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori è dunque una questione di principio; abolirlo o renderlo ancora più sterile vuol dire aver potuto scardinare un simbolo di lotta e di resistenza, per quanto malridotto e finito sostanzialmente in mano agli avvocati più che ai lavoratori. La sua caduta segnerà la fine di una partita iniziata nel 1968.

Per questo è importante tenere aperta questa partita; dietro il simbolo si nascondono tutti i valori di questa congiuntura politica, che la pratica degli annunci cerca di far passare in secondo piano: politiche di guerra, difesa delle grandi opere come la Tav e riapertura del discorso ponte di Messina, licenziamenti, precarizzazione, repressione delle lotte sociali, tasse e prelievi dalle tasche dei più deboli, protezione dei ceti privilegiati e dei ricchi. E la partita si tiene aperta solo rilanciando le lotte sociali, la conflittualità nei luoghi di lavoro e di vita, contestando ogni scelta non solo a parole ma con azioni e fatti concreti.

Pippo Gurrieri

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