Giustizia e libertà

Grande clamore hanno suscitato una serie di sentenze “sorprendenti”, come quella sul caso Cucchi (assolti i suoi aguzzini) o sul caso Eternit (assolto per reato prescritto il magnate svizzero della multinazionale dall’accusa di strage ambientale). Opinione pubblica, familiari, associazioni, enti e perfino pezzi dello Stato si sono ribellati a tali decisioni chiedendo che fosse fatta giustizia, innescando mobilitazioni che potrebbero permettere l’apertura di nuovi iter giudiziari.
E’ proprio questo il punto: la giustizia.
La Giustizia con la G maiuscola, amministrata dallo Stato attraverso suoi servitori fedeli, i magistrati, corrisponde alla giustizia con la g minuscola rivendicata da sempre da oppressi e vittime? Credo proprio di no.
La Giustizia è emanazione di uno Stato che è, in quanto tale, detentore della legittimità ad usare la violenza, è organismo tentacolare e piramidale in mano alle classi dominanti, cui assicura privilegi (l’accumulazione capitalistica); è essenzialmente interessato ad assicurare lo “status quo” (ovvero, la continuazione di se stesso nei propri ruoli). La sua Giustizia quindi è strumento atto a garantire il perseguimento di detti fini, attraverso l’emanazione di apposite leggi che poi i magistrati e gli organi giudiziari devono fare applicare.
Può accadere che a volte si emanino sentenze ritenute giuste e rispondenti alle aspettative dei più; ma questo avviene quando queste non sconvolgono lo “status quo”, o quando, per opportunità, sia preferibile accontentare l’opinione pubblica (magari un po’ incazzata e mobilitata) per placare gli animi. Insomma, al di là delle eccezioni, la Giustizia rimane sempre una Giustizia di classe, cioè protesa ad assicurare gli interessi della classe al potere (ai vertici dello Stato, della finanza, dell’economia e dell’industria, della Chiesa ecc.).
Va da sé che la giustizia rivendicata dalle classi oppresse contiene sempre un di più di rivendicazione a sua volta classista: una sentenza di condanna a responsabili di stragi come nel caso Eternit, ad esempio, non rappresenterebbe solo il “giusto” prezzo che Stephan Schmidheiny, padrone della multinazionale, dovrebbe pagare, ma anche – soprattutto – un fatto simbolico riguardante tutti i responsabili dello sfruttamento verso lavoratori e semplici cittadini.
Anche perché quale giusto prezzo potrebbe mai applicarsi alla morte di oltre 260 persone, alle migliaia di ammalati, alla devastazione ambientale, ecc.? Anche 30 ergastoli al magnate svizzero non ripagherebbero i familiari delle vittime, senza contare che Schmidheiny al massimo ne potrebbe scontare solo uno (ma probabilmente non pagherà un bel nulla).
La frase: “la legge è uguale per tutti” impressa dentro le aule dei tribunali, è un vero ossimoro: legge e uguaglianza sono in forte e palese contraddizione. Le leggi vengono emanate da una èlite, (oggi persino priva anche della maschera della legittimazione democratica, rappresentando i partiti pochi elettori rispetto alla massa che si astiene o che non li ha votati), sono il prodotto di caste di privilegiati e rispondono a interessi di parte, negando i diritti che pomposamente si propongono di garantire. Uguaglianza vuole significare il mettere tutti sullo stesso piano, eguali diritti e doveri per tutti, cosa che nessuna società capitalista, nessuno Stato, hanno mai assicurato, al di là delle dichiarazioni di principio.
Allora che fare? Ammainare la bandiera della giustizia e alzare quella dello lotta contro lo Stato e per la libertà? Certamente questo è il solco entro cui condurre battaglie e rivendicare diritti; un percorso che può avere anche momenti di intersecazione con la Giustizia borghese, di classe, di Stato, spesso – tra l’altro – non per nostra scelta, poiché repressione e accanimenti verso chi lotta per un mondo migliore sono all’ordine del giorno e fanno parte del proprio “curriculum vitae”. E’ un problema di atteggiamento: nessuna illusione sulle velleità di far giustizia da parte degli organi giudiziari; utilizzare questi momenti come fasi di propaganda e come grimaldelli per fare esplodere contraddizioni; cercare di strappare sentenze assolutorie per le vittime della repressione autoritaria e condanne per i malvessatori privati o di Stato, ma solo per strappare compagni alla galera e per poter dire: la lotta paga. Perchè quando non si è in grado di organizzare una lotta adeguata, allora la forza del più forte si abbatte con tutta la sua violenza sul più debole.

Pippo Gurrieri

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