Mattarella presidente. Non cambia nulla, come da copione

Capo dello Stato. Capo, ovvero il comando, il potere; e Stato, l’organizzazione gerarchica, militare, autoritaria della società. Due termini che nessun anarchico potrà mai amare. Ma questo non basta a liquidare frettolosamente l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Con l’avvento di Sergio Mattarella il centrismo moderato cattolico conferma e rafforza il proprio predominio politico, all’insegna di una continuità fatta di politiche di destra e politiche di sinistra, dosate a secondo delle circostanze, ma sempre con l’obiettivo di preservare il sistema capitalista.

Sergio Mattarella è, in più, il primo presidente siciliano della storia; questo sta facendo gioire molta gente sicula, ma è la gioia effimera di un momento, come la vittoria della squadra di calcio; alla gente non resta nulla. Anzi, se dovessimo andare indietro negli anni, tutte le volte che un siciliano ha assunto ruoli di governo, sono più i danni che i siciliani ne hanno ricevuto, che i benefici, da Francesco Crispi a Mario Scelba a Bettino Craxi.

Il nome Mattarella in Sicilia ricorda in primo luogo il padre Bernardo, fra i principali esponenti di quella Democrazia Cristiana (di cui fu anche fondatore) che nel ventennio 45-65 assicurò la piena penetrazione di Cosa nostra nelle istituzioni, nell’economia e nella politica dell’isola, in una perfetta assonanza di interessi e di metodi con la Chiesa e con gli Stati Uniti d’America. Bernardo Mattarella era sposato con la sorella del boss mafioso di Catellammare del Golfo Nino Buccellato. Gaspare Pisciotta lo accusò di essere tra i mandanti della strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947. Danilo Dolci non esitò a denunciarne sulle piazze e nei tribunali le collusioni con la mafia, subendo la condanna giudiziaria.

I figli non devono certo pagare le colpe dei padri, anche se il neo presidente di oggi, in quella DC ebbe a muovere i primi passi politici; fu il fratello a ricoprire con Calogero Mannino e altri noti esponenti “di sinistra” il ruolo di restauratore della Democrazia Cristiana, tentando di ridimensionare l’ormai ingestibile componente andreottiana dei luogotenenti Lima e Ciacimino; la gestione del potere non poteva più tollerare una tale legittimazione mafiosa; il sistema capitalistico italiano desiderava che la situazione siciliana tornasse sotto controllo, prima che la metastasi mafiosa avanzasse e investisse tutto il corpo economico e politico del Paese. Si sa come andò a finire: Piersanti Mattarella venne ucciso nel 1982; fallì il suo tentativo di utilizzare frange dell’economia mafiosa (Cassina & c.) per mettere all’angolo gli andreottiani; fallirono i suoi tentativi di mettere mano alle norme sugli appalti; la DC si “rinnovò” lo stesso, i nomi sono noti: De Mita, Mannino, Zaccagnini…, prima che tangentopoli si mangiasse il partito con tutto il suo rinnovamento. Ma questo non fece morire i democristiani, spalmatisi come marmellata in tutto l’arco costituzionale, adottando la miglior tattica che si potesse immaginare, pronti a coalizzarsi e a dividersi, senza mai mettere in discussione la sacra trimurti: dio-patria-capitale. E in quanto alla mafia: prese egualmente il treno del Nord e si posizionò nel cuore dell’economia legale e illegale dell’Italia delle cosiddette “prima” e “seconda” Repubblica, contribuendo alla fortuna di imperi economici e di partiti politici da cui ricavò enormi vantaggi.

Di quest’ultima fase è figlio Sergio Mattarella; legato ai gesuiti a Palermo come a Roma, artefice dell’orlandismo palermitano, fu attivo nel guidare la parabola della sinistra DC fondando il PPI, la Margherita e il PD, aiutando i comunisti a democristianizzarsi pur di perseguire il sogno del potere.

Il suo grigio curriculum ci dice comunque alcune cose che ne possono caratterizzare la figura politica semisconosciuta: da ministro cattolico della pubblica istruzione nel 1989 difese come giusto il provvedimento di una preside che vietò alle proprie alunne di venire a scuola in minigonna; ebbe un sussulto antiberlusconiano dimettendosi da ministro nel luglio del ’90 contro l’approvazione della legge Mammì che formalizzava lo strapotere di Mediaset rimpinguandola di finanziamenti.

Nel processo a carico dell’on. Culicchia, della sua stessa corrente, sindaco di Partanna dal 62 al 92, accusato da Rita Atria dell’omicidio del vicesindaco Stefanino Nastasi, Mattarella testimoniò a favore della sua integrità morale, contribuendo all’assoluzione. La Camera aveva votato l’autorizzazione a procedere per l’arresto del Culicchia, ma la giustizia lo restituì “pulito” e pronto a cavalcare il potere. Come scrisse sul suo diario Rita Atria “Credo proprio che mai Culicchia andrà in galera. Ha ucciso, rubato, truffato ma mai nessuno riuscirà a trovare le prove che lo accusano e provino che dico la verità. Sono sicura che mai riuscirò a farmi credere dai giudici, vorrei che ci fosse papà, lui riuscirebbe a trovare le prove che lo facciano apparire per quello che veramente è, cioè Culicchia è solo un assassino truffatore, ma naturalmente le parole di una diciassettenne non valgono nulla. Io sono solo una ragazzina che vuol fare giustizia e lui un uomo che interpreta benissimo la parte del bravo e onesto onorevole. Io non potrò più vivere, ma lui continuerà a rubare, e a nascondere che è stato lui a far uccidere Stefano Nastasi. Già come sempre vince chi è più bravo a truffare la vita”. La povera Rita si suicidò una settimana dopo la strage di via D’Amelio in cui venne ucciso il giudice Borsellino (quello che lei chiama “papà”).

Nel ’94 fu artefice della riforma elettorale che introdusse il sistema maggioritario, usata in seguito come base per rafforzare il potere degli esecutivi; nel governo D’Alema 2000-2001 rivestì la carica di vicepresidente del consiglio e di ministro della Difesa, in un momento cruciale per le forzature politico-militari internazionali che condussero l’Italia a partecipare ai bombardamenti della ex Yugoslavia per imporre a suon di bombe l’autonomia del Kosovo, che ha trasformato il piccolo territorio kosovaro in uno stato narcomafioso nel cuore dell’Europa. In quella veste di fedele esecutore degli ordini del padrone americano, dichiarò di sconoscere se ci fosse relazione di causa ed effetto tra l’uranio impoverito usato nei proiettili della coalizione occidentale, e le morti per tumore dei militari reduci e di civili dislocati lungo le sponde dell’Adriatico, secondo una radicata tradizione servilistica dei governi italiani verso gli USA, che nella sua Sicilia ci ha regalato la militarizzazione più infame dal 1943 a oggi. Poi abolì il servizio di leva, mettendo in pratica quel cerchiobottismo democristiano che tuttavia, mentre liberava milioni di ragazzi dall’abominio del servizio militare, proiettava l’esercito italiano verso la modernizzazione mercenaria e la partecipazione a tutti i conflitti USA-NATO sotto forme ipocritamente umanitarie.

Sergio Mattarella è oggi il 12° Presidente della Repubblica Italiana. Non cambia nulla, come da copione.

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