Sarà un autunno caldo o freddo?

Il governo in questi ultimi scampoli di estate è alle prese coi dati Istat sul Pil dell’ultimo trimestre che certificano una crescita pari a zero, mentre si sta per aprire il confronto con i sindacati per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici e il G 20 cinese si è chiuso con la presa d’atto di una crescita mondiale rallentata e con l’auspicio di riuscire ad attivare una crescita globale che sia “inclusiva, robusta, sostenibile”. Il governo naturalmente fa buon uso di tali conclusioni sollevandosi da una qualche responsabilità nella pervicacia della crisi e a proposito della battuta d’arresto del Pil il ministro Padoan ha potuto dichiarare che “crescita, competitività e produttività” rappresentano gli strumenti per battere la crisi. Peccato che tutto questo viene ripetuto oramai da più di un decennio senza che i risultati cambino o si facciano passi avanti, e tuttavia la favola della ripresa economica continua a irretire la maggioranza e la riattivazione di un “virtuoso” circuito produzione-consumi continua a rappresentare l’orizzonte più auspicato. Nel frattempo disuguaglianze, guerre, ingiustizie, autoritarismo crescono, il conflitto sociale langue e il governo impone provvedimenti che sottraggono diritti e incrementano le disparità, infischiandosene della modesta opposizione istituzionale o sociale che si riesce a produrre. In questo quadro l’autunno italiano si prepara a mettere al centro dell’attenzione quasi esclusivamente il voto sul referendum costituzionale. Che soggetti politici istituzionali puntino le loro carte sul risultato del referendum è piuttosto naturale. Lo stesso governo aveva già nei mesi scorsi polarizzato lo scontro politico parlamentare sull’esito referendario con la boutade di Renzi sulle sue dimissioni in caso di sconfitta. Questa prospettiva – seppure nelle ultime settimane minimizzata dallo stesso giovane capo del governo – ha fatto convergere tutta l’opposizione antigovernativa sulle posizioni del No, creando naturalmente confusione e ambiguità. Si sta così delineando uno scontro politico istituzionale le cui prospettive, anche se potrebbero portare ad un cambio di governo, di certo non compendiano un cambio significativo di politiche.
Ora la fibrillazione che si registra nell’ambito della sinistra extraparlamentare e sociale più o meno radicale sul tema del referendum rischia di venire fagocitata in questo calderone dal quale non può che emergere ulteriore confusione, utile ai processi autoritari in corso.
Non c’è dubbio sul fatto che la riforma renziana della Costituzione segna un ulteriore passaggio verso la tendenza accentratrice del potere, tuttavia è dubbio che il semplice respingere questa riforma possa automaticamente invertire la rotta, tanto più che non si possono escludere manovre di potere dietro le quinte. Insomma per quella galassia di partiti attualmente extraparlamentari, movimenti vari e centri sociali che continua ad enfatizzare il ruolo del referendum quale strumento efficace di opposizione sociale il rischio è quello di percorrere un crinale azzardato e per vari motivi. Innanzitutto, quale Costituzione si difenderebbe? Quella che già prevede il pareggio del bilancio, quella delle enunciazioni di principio che in settant’anni non hanno mai trovato concretezza, quella di una democrazia parlamentare oramai defunta?
In secondo luogo per le forze messe in campo è facile rimanere subalterni ai giochi politico-istituzionali che stanno prendendo corpo. Infine il tentativo di legare la difesa della Costituzione a rilevanti questioni sociali – lavoro, distribuzione della ricchezza, immigrazione, difesa dell’ambiente – è piuttosto astratto e frutto di approssimazione più che di una chiara visione dello scontro sociale in atto, che è debole e non può certo essere rianimato da una diffusa antipatia per Renzi, senza un preliminare percorso dei lotte. E proprio dalle lotte in corso bisogna ripartire, con la consapevolezza che, seppure disperse, settoriali, episodiche, per farle crescere non si debbono sovradeterminare dall’esterno. E’ necessario continuare a proporre e a tentare di mettere in campo pratiche di opposizione che, sebbene minoritarie, diano il senso di una trasformazione complessiva della società, di modalità completamente altre che non si possono limitare a riproporre una maggiore giustizia,una maggiore democrazia, una migliore distribuzione delle risorse con gli strumenti degli stati e dei governi: leve fiscali, spese pubbliche, ecc. La posta in gioco è molto più alta, non si tratta di fare aggiustamenti più o meno incisivi, ma di ribaltare gli assetti attuali. Non è certo semplice, ma si deve continuare a farlo.

Angelo Barberi

Questa voce è stata pubblicata in Editoriale. Contrassegna il permalink.