Cu vincìu?

L’euforia regna sovrana ancor più della sovranità ritrovata, come alcuni entusiasti continuano a definire il risultato referendario del 4 dicembre: “il popolo sovrano stoppa la manovra reazionaria; si apre una prospettiva di nuova unità a sinistra; è il momento di attuare la costituzione, una volta salvata dalla sciagurata riforma Renzi”. In realtà la palla torna a centro campo e possiamo tranquillamente proseguire con i frutti amari di questa repubblica democratica antifascista con la più bella costituzione: militarizzazione e guerra, lavoro infame e non lavoro, emigrazione, razzismo, femminicidio, clericalismo…
Sul piano nazionale un’astensione al 31,52% ci indica che i No sono stati il 41% dei votanti e i Si il 27%; al Sud le cifre cambiano; in Sicilia, ad esempio, con l’astensione al 44%, il No corrisponde al 39% dei votanti mentre il Si al 15%. Peccato che, come al solito, nessuno azzardi un’analisi seria di queste cifre, scoprirebbe che i giovani, i precari, i pensionati, in gran parte si sono posti fuori dalla diatriba politica e dalla sceneggiata in atto.
Chi si avvantaggerà della caduta del governo Renzi? sicuramente qualcuno tra la destra e il Movimento 5 Stelle, non certo i proletari e i movimenti che, o si sono astenuti o hanno sognato di poter ripartire dalla costituzione inapplicata. La caduta di Renzi può anche far piacere, ma solo se ci si limita ad uno sguardo superficiale; appena si scava più in profondità quel che ne emerge è solo la squallida continuità che ci aspetta. Non è il frutto della spallata di un movimento popolare di lotta, ma di un mix di malcontento, convergenza reazionaria, nazional-qualunquismno, con un tocco appena visibile di No sociale e movimentista; quest’ultima componente, ora completamente fuori dai giochi dell’improbabile post renzismo, magari prepara il passaggio successivo: un fronte elettorale di sinistra, dai No TAV all’USB passando per i duri della post-autonomia mai così legalitaristi e costituzionalisti; un cartello di forze convinte di dover portare le istanze sociali nelle aule parlamentari, godendo dei benefici di un governo dei 5 Stelle. Un film già visto tante volte.
Quando i duri di mille cortei votano No come quel Salvini che hanno contestato tenacemente; quando i No Tav votano NO come il capo della Procura di Torino che li condanna, non dovrebbe sfiorarli il dubbio che qualcosa non vada per il verso giusto? Una cosa preoccupante è, invece, l’iniezione di fiducia nella democrazia borghese e truffaldina emersa proprio in diverse aree del celodurismo di estrema sinistra.
E quando destra vera e destra PD, con i rivali grillini, si contendevano ancora la vittoria, e mentre ora si discute sulla gestione del risultato emerso, l’ISTAT (ma c’era bisogno dell’Istituto di Statistica?) ci ricorda che l’Italia è a pezzi, la popolazione scivola verso una povertà sempre più nera e i ricchi sono sempre più ricchi. I politici, e chi li scimmiotta, se la cantano e ce la cantano, ma la società è sempre più piegata allo sfruttamento liberista (egualmente voluto e gestito dai maggiori assertori del Si e del No). E meno male che abbiamo salvato la costituzione, altrimenti…
Poi arriva anche Manlio Dinucci (ma c’era bisogno di Dinucci?) a ricordarci che durante il tran tran referendario, gli USA hanno annunciato l’operatività del MUOS a Niscemi, e come nessun referendum e nessuna vittoria incida e condizioni la politica estera, ovvero le scelte militariste dei vari governi, e che in Italia 55 milioni di euro al giorno vanno a finire nella voragine militarista (cifre ufficiali, quindi da alzare).
Occorre rispolverare il gattopardiano “cambiare tutto per non cambiare nulla”? veramente alcuni hanno creduto nell’illusione del cambiamento? Veramente alcuni hanno dimenticato chi ha in mano le scelte importanti in materia economico-finanziaria, militare sia nazionali che internazionali? E’ stata una febbre talmente alta da far svanire anni e anni di analisi sul capitale, sulle multinazionali, sui vari FMI, BCE, NATO, CIA e tutti gli i club semi-clandestini ad essi collegati?
Ripartire, oggi, sarà ancora più difficile, dopo la sbornia costituzionalista e istituzionalista; per noi vuol dire mantenere una serena e coerente critica della democrazia borghese, del ruolo delle consorterie che chiamano partiti, del neo qualunquismo giustizialista che si annida nel grillismo.
Ripartire è continuare quella costruzione di forme di resistenza popolare dal basso alle strategie politiche del potere di qualsiasi livello esse siano, sforzandosi di metterle in rete tra di loro, con mutualismo, solidarietà e complicità; praticare percorsi di autogestione fuori e contro le logiche istituzionali, perché è da qui e solo da qui che può nascere non un cambiamento qualsiasi, ma IL cambiamento sociale in senso autogestionario e libertario, ecologista e femminista per cui val la pena spendersi.
Noi siamo orgogliosi di essere stati tra le poche realtà politiche ad essersi sottratte a questo gioco macabro del salvare la patria. In compagnia di alcuni milioni di persone che non sono andate alle urne.

Pippo Gurrieri

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