Trinakria

Torniamo su un argomento che ci sta a cuore, quella della liberazione della Sicilia, cui ci richiamiamo come testata e come simbologia, avendo inserito nel nostro drappo rosso-nero la Trinacria simbolo antico dell’isola a tre punte. E ci torniamo volentieri perché di recente tanti giovani e giovanissimi si sono affacciati alla rivendicazione di una Sicilia emancipata dal dominio coloniale, portando aria nuova nello stantio, ambiguo e compromesso ambiente indipendentista siciliano.
In occasione della manifestazione contro il vertice del G7 a Taormina ci siamo trovati a sfilare a fianco di questi giovani, che sventolavano bandiere giallo-rosse. (Piccolo appunto: sembravano quelle che si vendono nei negozi di souvenirs, con la Trinacria con le tre spighe, aggiunte dai colonizzatori romani che esaltavano il ruolo di granaio dell’impero affidato alla Sicilia, e non la storica Gòrgone con solo le ali: il trascorrere del tempo, l’aria; e la chioma di serpenti: la saggezza, la terra).
Su una cosa concordiamo con questi indipendentisti che potremmo definire “di sinistra”: la Sicilia è una colonia; senza andare indietro alle fasi storiche che hanno determinato questa condizione di subalternità, limitiamoci ad analizzare il concetto/obiettivo di tutti gli anticolonialisti: l’indipendenza del popolo siciliano. Questa dovrebbe coincidere con una fase di decolonizzazione, alla stregua di quanto è avvenuto in tutte le colonie dei vari imperi recenti, a partire dalla vicinissima Africa. Tutti conosciamo gli esiti di questi processi a volte rivoluzionari, altre volte semplici trasformazioni dei rapporti coloniali in subalternità economiche: in entrambi i casi sono prevalsi gli interessi di vecchie o nuove borghesie locali nazionali, che si sono semplicemente sostituite ai vecchi dominatori, o sono state insediate dagli stessi. I risultati nel continente africano, in America Latina, in Asia, in Medio Oriente, sono sotto gli occhi di tutti. I pochi tentativi seri di rendere effettiva l’indipendenza, coniugandola con l’affermazione della giustizia sociale, sono stati stroncati nel sangue.
L’indipendenza siciliana – obiettivo oggi poco sentito o male interpretato, se non avversato dopo l’esperienza di un’autonomia regionale gestita dalle emanazioni politiche del capitale nordico, della mafia imprenditrice, della chiesa – avrebbe poche possibilità di sfuggire a questo destino. Vecchi tromboni democristiani e usurati separatisti, nicchie vagamente socialiste e frange di autonomi territorializzati, notabili nostalgici sentimentali e vittimisti qualunquisti, convivono sotto il vessillo giallo-rosso inneggiando a un’indipendenza in cui ognuno, però, vede una cosa diversa.
E noi? Come abbiamo sempre ribadito, e come riportiamo anche nel sottotitolo della testata, non concepiamo nessuna indipendenza senza la liberazione sociale e senza l’internazionalismo. Non ci sentiamo in sintonia con nessun “siciliano” che viva di privilegi, di sfruttamento, di corruzione, di eredità nobiliari, di inganno religioso, di terrorismo mafioso, di leccaculismo cronico, di razzismo, di maschilismo; la loro “Sicilia libera” non è la nostra, e, forte della mistificazione nazionalista e sicilianista, sarebbe un incubo forse peggiore di quella attuale, occupata dagli USA e dalla NATO, stuprata dalle multinazionali, mutilata delle sue giovani generazioni, umiliata e affondata nel pozzo senza fondo del sottosviluppo provocato da una supremazia settentrionale, capitalista e liberista, sorretta dallo Stato.
Quella che auspichiamo noi è una Sicilia libertaria, perché nei contenuti della sua affermazione non vi potrà essere posto per privilegiati e governanti, per patriarcati e neofascismi, per parassiti e per padroni comunque chiamati e posizionati. Libertaria perché antiautoritaria, ovvero federalista, sia nelle forme interne del coniugare l’autogoverno, sia nelle relazioni esterne, a partire dall’area mediterranea di cui hanno voluto fossimo il Nord, la frontiera armata, e non una parte del tutto, un ponte naturale.
La nostra è la Sicilia degli oppressi, degli sfruttati, degli ultimi, che non intendono sostituirsi agli oppressori per esercitare un impossibile governo del popolo o potere popolare, bensì creare autogestione, autosufficienza, cioè abbassamento drastico dei livelli di consumismo, inquinamento, aggressione all’ambiente e alla vita stessa. Un’idea antigerarchica per creare gli anticorpi alle degenerazioni autoritarie stataliste, per ciò differente dagli indipendentismi interclassisti, a partire dai metodi di azione odierni, altrettanto chiari e differenti.

Pippo Gurrieri

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