Verso il collasso

Deriva. Capitalismo e Stati uccidono la Terra.

C’è bisogno che ce lo dica l’ONU che il Pianeta è malato? C’è bisogno che un’agenzia internazionale intestatale come la WMO ci faccia sapere che nel 2016 il livello di anidride carbonica è stato il più alto degli ultimi 800mila anni? e che la qualità odierna dell’aria sulla terra somiglia a quella del Pliocene, cioè 3/5 milioni di anni fa, quando la temperatura era più alta di 3/5 gradi e il livello del mare di 10/20 metri rispetto ad ora? Ci basta concretizzare quel luogo comune che recita “non ci sono più le mezze stagioni”, osservare quanti uragani e sempre più forti si abbattano sulle coste dei continenti, o riflettere sullo smog nella pianura Padana, sugli incendi per la siccità e i venti, sulle cattive annate in agricoltura, sulle estati sempre più calde, sugli allagamenti e le inondazioni, le malattie, le migrazioni da terre sempre più invivibili, per avere un quadro più che esauriente della situazione. Ma una volta acquisito il dato: viviamo in un Mondo sempre più ridotto male, afflitto da sintomi pericolosi per la sua stessa vita, e aver tradotto questa constatazione in numeri: temperatura più alta di 2 gradi verso il 2020 (fra due anni!), con disastri sempre più regolari e irreversibili, e probabile collasso attorno al 2050 (fra soli 30 anni!), a quali conclusioni perveniamo? Ci giriamo dall’altra parte? chiudiamo gli occhi e spegniamo il cervello? tuffiamo la testa dentro la terra come gli struzzi? In buona parte è quello che facciamo, come se i problemi di cui si parla non ci riguardassero che in minima parte, come se fossero talmente grandi da non poter essere risolti da ognuno di noi, piccoli individui impotenti. Di conseguenza, aspettiamo che siano Grandi a fornire soluzioni, a prendere de- cisioni drastiche, perché solo se ci impongono un altro stile di vita, allora, forse, ci adatteremo. I Grandi. Ma chi sono i Grandi? Sono gli Stati, sono i poteri dell’economia mondiale, sono l’1% ricco che detiene il 50% delle ricchezze mondiali, sono i Signori della guerra, sono le Istituzioni Mondiali: ONU, WTO, FMI… Ci aspettiamo una soluzione da quelli che sono invece parte del problema? Che ne sono la causa? O ci accontenteremo del fatto che il loro filantropismo ci regali un qualche 0,001 di riduzione del CO2? O forse ci aspettiamo che diano ordine immediato di smettere di produrre e consumare plastica, di fermare i pozzi petroliferi, di tagliare lo sfruttamento intensivo delle terre fertili, di bloccare la deforestazione, di puntare alle energie pulite e rinnovabili? Probabilmente pochi pensano che questo potrebbe essere un percorso valido, ma, purtroppo, si comportano come se invece lo fosse, a causa delle loro passività e della loro delega ai governi delle possibilità di cambiare lo stato delle cose. L’accelerazione della malattia ambientale del Pianeta ha un nome: capitalismo; le sue basi risiedono magari in periodi precedenti allo sviluppo del capitalismo stesso, come nella nascita e sviluppo dell’agricoltura, nell’organizzazione statale delle società, ma è un fatto che il capitalismo ha rappresentato e rappresenta il sistema globale di sfruttamento delle risorse e degli esseri viventi più impattante nella storia dell’umanità; un sistema non solo economico, ma anche culturale, morale, così profondo da aver forgiato in suo favore le teste pensanti di miliardi di persone sparse in ogni angolo del Pianeta. Un sistema che conosce solo pochi valori assoluti: profitto, mercato, merci, e ad essi conforma tutto l’esistente. Un sistema che non guarda al futuro perché la sua voracità ha bisogno di realizzarsi oggi, e domani, sempre. Un sistema che si serve degli Stati, in quanto entità garanti del monopolio della violenza, per reggersi, e che, quindi, è in grado di omogeneizzare alle sue finalità ogni organizzazione statale, a prescindere dai colori politici, nazionalistici e dalla posizione geografica. Stato e Capitale sono la Causa di questa sorta di corsa accelerata contro un muro, che rappresenta la minaccia all’esistenza del Pianeta Terra. Di conseguenza tutte le volte che queste Entità ci dicono di voler affrontare seriamente il problema dell’inquinamento della Terra, dal Club di Roma agli accordi di Kyoto, al COP 2 di Parigi, è una grande messa in scena ad aver luogo, con risultati risibili, mentre la situazione continua a precipitare. Tutte le volte che si inventano operazioni di facciata, sappiamo che le cose rimarranno come sono, anzi peggioreranno. Se parlano di sviluppo sostenibile, se travestono di green l’economia, se riempiono i supermercati di prodotti bio, se trasmettano dai loro canali televisivi e telematici spot ambientalisti persi in mezzo alle pubblicità di cocacole, auto e mille schifezze per il consumo, sappiamo, dobbiamo sapere, che l’inganno è in atto mentre il collasso si avvicina. A questo punto verrebbe da gridare: basta con lo sviluppo! basta con la crescita! questi miti cui veniamo abituati come pecore nell’ovile, sin dalla nascita, hanno perso ogni senso, sono falsi miti, mistificazioni che nascondono solo la ricerca del massimo sviluppo senza cura per le conseguenze e i danni che questo comporta. Veniamo sommersi da tali concetti come verità assolute, quando di assoluto c’è solo lo sfruttamento degli esseri umani e delle risorse: aria, acqua, suolo, sottosuolo. reso possibile grazie a un’organizzazione gerarchica della vita sociale, a una profonda interferenza nella cultura dei popoli, alla militarizzazione del mondo che permette con la violenza il controllo non solo delle aree ricche di risorse, ma anche delle conseguenze di tali politiche quando esplodono nelle forme della ribellione, della sommossa, della giusta distruzione dei fattori dell’oppressione. Stato, capitale, mercato, violenza, guerre rappresentano un tutt’uno, un sistema spacciato come insostituibile, come unica possibilità di gestione della vita umana, quando in realtà è la peggiore delle possibilità, e vanno subito ricercate le altre, meno impattanti, meno violente, ovvero non più impattanti e non più violente, in cui prevalgano altri valori che il denaro, la gerarchia, il profitto, la violenza nelle sue varie declinazioni (guerra, sopraffazione, discriminazione, razzismo, patriarcato, maschilismo, sfruttamento degli esseri umani, degli animali e delle risorse vitali). Vanno cercate altre possibilità, subito, perché a scadenza si avvicina, il termine corsa è dietro le porte; questo non è fare del catastrofismo: la catastrofe fa già parte della vita quotidiana di un miliardo di esseri umani almeno, costretti alla povertà, alla siccità, ai disastri climatici, agli esodi di massa, alle dittature e alle guerre generate da questo assetto criminale del Mondo, e lentamente s’insinua nelle società opulente, colpendo intanto le fasce più deboli, ma sopratutto le condizioni di vita. La possibilità più realistica rimane la libertà: significa abbattere questo sistema che la nega anche quando la ostenta come suo simbolo. Ostenta il Mercato, la mercificazione, l’alienazione, l’annullamento degli individui, in nome di un simulacro di libertà. zarsi, cioè riprendersi la sua parte di responsabilità, pensarsi come un soggetto del cambiamento. Con i suoi gesti quotidiani, con le sue scelte di vita può già essere il cambiamento. Ma non deve illudersi che una dieta vegetariana o vegan, un uso meno sconsiderato dell’auto, un migliore riciclaggio dei rifiuti o una riduzione dei consumi siano la soluzione. Sono solo dei segnali, positivi certo, ma possono trasformarsi anche in trappole ideologiche, in un lavaggio della co- scienza, in una nuova alienazione bio e green, mentre la società va a rotoli. Questi segnali, se non producono rotture evidenti, se non fanno esplodere contraddizioni, se non costruiscono prese di coscienza, se non alimentano desiderio crescente di libertà, di azione, di rivoluzione, e progetti di società ecologiche e libere, dove siano banditi ogni sfruttamento e ogni violenza, rappresentano le nuove prigioni mentali dentro le quali il sistema ci sta cercando di rinchiudere.

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