Pozzallo – Afrin

Guerra. Qualcosa che ci riguarda

Due città distanti quasi 2000 km in linea d’aria, eppure mai così vicine. Ad avvicinarle è qualcosa che a noi apparre lontana e asettica: la guerra. Una la vede sbarcare ogni giorno, l’altra la subisce ogni giorno.
Pozzallo, città del Sud Est siciliano, da diversi anni è uno degli approdi dei parìa del continente africano e del Medio Oriente, spinti verso un occidete politico più che geografico, da guerre, carestie, regimi dittatoriali, fame, assenza di futuro; transitati nei deserti, venduti dai clan di criminali, traditi dalle democrazie, imprigionati nel luogi di contenzione in Libia, violentati, stuprati, stipati nei barconi dove in tanti muoiono annegati nel Mediterraneo. A Pozzallo la guerra è negli sguardi, nei corpi, nelle figure di migliaia persone che sbarcano, dopo essere stati salvati dalle navi delle ONG o delle Marine militari.
Afrin, città del Nord della Siria a prevalente popolazione curda, parte integrante della Federazione Democratica della Siria del Nord, è stata sottoposta ad un violentissimo attacco da parte dell’esercito turco, che ha armato (con bombe ed armi di fabbricazione occidentale e NATO) le forze jihadiste, oggi raggruppate nel fantomatico Libero Esercito Siriano, e l’ha occupata, causano centinaia di vittime, specie fra civili, e decine di migliaia di sfollati, per adesso diretti verso i territori siriani limitrofi o nel Rojava. Gli jihadisti si sono distinti nei saccheggi della città. Il dittatore Erdogan ha deciso di porre fine al’autodeterminazione di quest’ultima regione, e con il complice silenzio dei paesi NATO e della Russia (che, abbandonando Afrin ha nei fatti dato il beneplacito alla Turchia), si appresta ad attaccare la regione della Siria del Nord dove si va sperimentando il Confederalismo democratico, considerato una vera minaccia al progetto neo ottomano del dittatore, che prevede di cancellare la questione curda con la violenza e il genocidio.

Che tipo di problemi ci pongono queste due situazioni?
Entrambe la questione della solidarietà. Ma che tipo di solidarietà? Quella fatta di belle e commoventi parole? Quella impregnata di buonismo? Quella buona per tutte le stagioni e i contesti? Quella che aiuta a lavare la cattiva coscienza?
Quale significato può assumere il termine solidarietà di fronte ai drammi che stiamo descrivendo?
E soprattutto quali azioni possono scaturire da un sentimento di solidarietà autentico?
Mentre scriviamo queste righe una nave dell’ONG spagnola ProActiva, la Open Arms, è sotto sequestro nel Porto di Pozzallo per aver salvato sul canale di Sicilia 218 migranti, ed essersi rifiutata di consegnarli alla guardia costiera libica; l’equipaggio è accusato di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Tutti sappiamo cosa accade nei centri di detenzione per migranti in Libia: stupri, torture, compravendita di esseri umani, il tutto con il contributo finanziario dell’Italia e degli altri paesi UE, fieri di un accordo che dovrebbe impedire l’afflusso di migranti nelle coste della fortezza Europa. Tutti sono al corrente delle condizioni proibitive in cui vivono i disgraziati che finiscono il loro viaggio in un lager in Libia, eppure chi ha salvato quei migranti dal rischio di morte nel mare o dalle grinfie di un regime completamente inaffidabile, è oggi indagato come qualsiasi organizzazione mafiosa. Essere solidali, in questo caso, è denunciare lo stato delle cose, ma anche intraprendere azioni di ogni tipo contro le politiche discriminatorie dell’Unione Europea, che militarizza le nostre coste e detiene i migranti in centri dai nomi infami: centri di internamento ed espulsione, centro di accoglienza per richiedenti asilo, carceri a volte a cielo aperto, dove gente rea solo di voler raggiungere l’Europa, o di essere sfuggita a sicura morte per guerra, epidemie, denutrizione, malattie, viene bloccata con la forza, e in gran parte – se ritenuta semplicemente immigrata e non “profuga” – rimpatriata, cioè ricacciata nell’inferno da cui fuggiva. Solidarietà vuol dire agire per la chiusura di questi centro, appoggiare la lotta dei migranti stessi che, come successo ancora di recente a Lampedusa, gli danno fuoco per renderli inagibili.
Combattere il sistema affaristico che si ingrassa sulla pelle dei migranti: altro che “ci tolgono il lavoro”; andate a vedere quanti posti di lavoro hanno creato i migranti, e quanta gente si è arricchita, sia legalmente che illegalmente (ultimo caso a Ragusa: la coop. Il Dono, legata alla Curia, indagata per appropriazione da parte dei suoi vertici di oltre 1 milione e mezzo di euro sottratto all’accoglienza).

Mentre scriviamo, la situazione attorno ad Afrin si è fatta tragica, e Kobane è il nuovo obiettivo dell’esercito turco; sono già in atto importanti mobilitazioni a livello nazionale e internazionale; ma questo può essere insufficiente; rifornire le milizie curde di tutto l’occorrente per poter affrontare una nuova tenace resistenza e passare al contrattacco per liberare Afrin e ampliare il progetto di confederalismo democratico, è oggi urgente; individuare gli interessi turchi nel nostro territorio e colpirli; appoggiare le reti di miliziani internazionali che combattono sul territorio a fianco delle miliziane e dei miliziani curdi, ezidi, arabi, armeni, ecc. . E cercare di esportare la lotta al di fuori della regione, per far si che si prenda atto dei gravi accadimenti in atto e della posta in gioco. La guerra in Siria non è mai terminata, anzi, l’apertura di nuovi fronti e l’entrata in gioco diretto di nuovi soggetti comelo Stato turco, accanti agli imperialismi già presenti, lasciano presagire una recrudescenza che potrà rappresentare la scintilla per (non tanto) futuri scenari bellici internazionali, nei quali il Mediterraneo, e quindi la Sicilia, svolgeranno un ruolo fondamentale.
Pozzallo e Afrin, la guerra e le sue vittime, i complici e noi. Noi abbiamo il dovere morale e politico di praticare la solidarietà internazionalista, la lotta per la smilitarizzazione della Sicilia e del Mediterraneo, senza Guardare in faccia gli avversari: oggi chi si gira dall’altra parte, chi finge sensibilità per carpire consensi, chi aderisce e vota partiti che hanno siglato accordi infami con la Libia o la Turchia, o leggi razzieste e discriminatorie, ha le mani sporche di sangue: il sangue dei migranti morti nel “nostro mare”, il sangue delle popolazioni della Siria del Nord, e di tutte le guerre che gli Stati e il capitalismo conducono per assicurare profitti a pochi clan di miliardari e magnati.
Per citare il nostro vignettista/disegnatore Guglielmo Manenti, in un mondo alla rovescia la solidarietà è un reato; per citare Giordano Bruno: bisogna rovesciare il mondo rovesciato.

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