Il mercato è sovrano

Nello psicodramma, che tendeva un po’ alla comica finale, della formazione del nuovo governo dopo le elezioni del 4 marzo scorso i protagonisti sono potuti apparire di volta in volta come freddi calcolatori, ingenui idealisti o sprovveduti allo sbaraglio. In questi mesi si è assistito a continui ribaltamenti di situazioni che hanno raggiunto il loro apice nella settimana tra maggio e giugno con il primo incarico dato al professore Conte, la rinuncia, l’incarico a Cottarelli e infine la richiamata di Conte e il varo definitivo del governo Lega-Cinque stelle. Sul carattere moderato e neoautoritario di questo governo non ci sono molti dubbi. Lega e Cinque stelle in questi ultimi anni hanno saputo cogliere non solo gli umori, ma anche le reali esigenze di quanti soffrono le imposizioni delle politiche di austerità e la perdita dei diritti. Tuttavia la ricetta che propongono per sollevare le sorti di chi ha subito più di tutti lo stabilizzarsi della crisi è inadatta a segnare un vera rottura rispetto al recente passato. Come e con quali risultati il nuovo governo tenterà di dare delle risposte alla soluzione dei concreti problemi della disoccupazione, della precarietà, dell’incertezza come chiede, seppure confusamente, ambiguamente e contraddittoriamente, la stragrande maggioranza di coloro che sono andati a votare, si vedrà nei prossimi mesi. E si potranno misurare le velleità di un’impostazione politica che si regge su affermazioni di principio frutto di una lettura superficiale della realtà e anche le involuzioni securitarie che nascono da un’idea di società rigida, gerarchica, chiusa in sé.
Ma provando a dare una lettura di quanto è avvenuto in questi mesi e segnatamente nell’ultima fase della nascita del governo meritano una qualche riflessione il tentativo del presidente Mattarella di bloccarlo, con il veto posto sulla figura del professor Savona, e il messaggio che infine è stato veicolato dopo tutta la bagarre.
La decisione di Mattarella di far saltare il primo tentativo di quello che è adesso il presidente del Consiglio ha veramente strappato “il cielo di carta” della finzione della democrazia rappresentativa, per cui il “volgo disperso” – altro che popolo sovrano -, già vilipeso durante le parate elettoralistiche, è ridotto a finto strumento di legittimazione. Lo sottolineava nel momento più aspro dello scontro Di Maio quando sosteneva, ma più come una sorta di giaculatoria autoassolutoria ed autolegittimante, che le elezioni sono inutili tanto poi decidono i mercati e lo spread, mentre Salvini lo declinava secondo i suoi convincimenti, annunciando che sarebbe meglio passare ad una repubblica presidenziale, se così stanno le cose.
Certo subito dopo tutti si sono messi all’opera per ricucire lo strappo, per nascondere il buco, con molta ipocrisia e una buona dose di sudditanza. Ma è stato anche simpatico assistere a  paradossali, ma solo apparentemente, ribaltamenti di posizioni, per cui gli antidemocratici e autoritari –Salvini, Le Pen e compagnia– hanno fatto appello al rispetto delle regole democratiche e costituzionali; mentre i finti democratici –Pd, grandi media, ecc.– si sono inventati una Costituzione tutta loro, perché è noto, lo sanno anche gli studenti di diritto costituzionale perché sta scritto in tutti i manuali, che la nomina dei ministri da parte del Presidente della Repubblica è un atto formalmente presidenziale e sostanzialmente governativo, trattandosi di un atto politico. Ma la questione non è per niente formale. Il nodo del contendere si è giocato su tre aspetti fortemente ideologizzati: debito pubblico, risparmio, Europa. Si tratta di veri e propri tabù che non ammettono alcuna discussione. L’enormità del debito pubblico che va tenuto sotto controllo, la tutela dei risparmiatori e la fedeltà all’Unione europea sono aspetti imprescindibili di ogni politica di qualsiasi governo. Lega e Cinque stelle hanno avuto la furbizia di puntare il dito, sebbene ambiguamente, sui diktat europei, sullo strapotere dei mercati, che veramente sono all’origine della disastrata condizione in cui ci troviamo, e per questo hanno vinto le elezioni. Ma mettere in discussione questi pilastri delle politiche neoliberiste non è consentito e per questo era necessario mettere in chiaro questo punto, fare passare il messaggio che non si possono scardinare queste scelte, tanto più per via istituzionale. Ecco da dove è nata la pantomima a cui abbiamo assistito, che tuttavia è stata rivelatrice, per chi volesse vederlo, della profonda crisi della democrazia rappresentativa. Perché al contrario, in una vera democrazia, questa avrebbe potuto essere l’occasione di una discussione pubblica su debito, risparmio ed euro, che avrebbe anche potuto mettere in luce l’approccio strumentale su questi temi di Lega e Cinque stelle.
Infatti per chi volesse avere un’idea più precisa di cosa stiamo parlando quando parliamo di debito pubblico è utile vedere su youtube una video intervista a Marco Bersani, uno dei fondatori di Attac, dal significativo titolo: Perché non ti fanno ripagare il debito. Bersani dice: le cose che il creditore teme di più sono la morte del debitore e l’estinzione del debito. Il debito pubblico italiano  ammonta a circa 2.200 mila miliardi, di interessi sono già stati pagati 3.300 mila miliardi: continuare la catena del debito è essenziale per chi possiede i titoli del debito, ma soprattutto per proseguire nelle politiche di austerità che sono il fulcro dell’attuale sistema capitalistico.
Mattarella nel giustificare la sua presa di posizione contro l’ipotesi del cosiddetto governo giallo-verde si è appellato alla difesa del risparmiatore, lasciando intendere di voler tutelare i più deboli, anche di fronte alle brame delle grandi banche e degli speculatori. Da rappresentante di tutto il popolo italiano certo avrebbe fatto meglio a spiegare che i risparmiatori che detengono i titoli del debito pubblico sono rappresentati per il 6% da famiglie e per il 94% da banche, fondi d’investimento, e così via. Che si trattava comunque di un diversivo è venuto fuori nel prosieguo della crisi istituzionale, quando il “risparmio” è stato lasciato in pasto agli speculatori. Quanto poi all’Europa, non si comprende mai bene di cosa si stia parlando. Per renderla qualcosa di familiare e accettabile spesso si ricorre all’espressione Europa dei popoli. Ma l’Europa reale è un’istituzione conflittuale al suo interno, preposta alla difesa di mercati e capitali e anche quella mitica delle origini, immaginata dai vari Monnet, Adenauer, ecc, e additata come esempio da concretizzare, era concepita come un blocco politico in competizione per il potere e l’egemonia mondiali. Se il punto è la fratellanza dei popoli perché limitarsi alla sola Europa?
Ma alla fine di tutta la vicenda era necessario che passasse un preciso messaggio – che politici, istituzioni, media più o meno di regime hanno provveduto a far diventare verità – forse così sintetizzabile: tutti hanno voluto fare solo il bene degli italiani –da Mattarella a Cottarelli, da Di Maio a Salvini– e hanno dovuto constatare che gli interessi degli italiani coincidono con quelli dei mercati, perché solo assecondando i cosiddetti mercati si può evitare la bancarotta e non peggiorare la nostra già miserevole condizione.

Angelo Barberi

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