Verso Sud

Nella sola Sicilia ogni anno un paese di 50.000 abitanti si svuota e sparisce. Sono i 50.000 emigrati censiti ufficialmente che lasciano l’Isola verso il Nord in cerca di maggiori possibilità di lavoro e di realizzazione delle loro aspirazioni. Sono ragazzi, neodiplomati, che scelgono università del Nord, sono precari e disoccupati che non trovano sbocchi occupazionali nella loro terra. I giovani abbandonano le città e soprattutto i paesi, per tornare a varcare i sentieri dei loro padri e dei loro nonni. Molti non si sa se torneranno.
L’antico dilemma: servi, emigrati o ribelli torna a riproporsi, con la seconda opzione che si fa strada prepotentemente.
L’emigrazione è una sconfitta figlia di altre sconfitte; è spesso la prospettiva più ovvia dopo i fallimenti delle tante lotte che hanno animato i territori nel tentativo di spezzare le ipoteche che gravavano e gravano su di essi. La sconfitta delle lotte per il lavoro, naufragate nel disastro dell’industrializzazione forzata e devastante, nel clientelismo più umiliante, nella crisi delle campagne; la sconfitta dell’impegno antimafioso, scivolato sulla trappola della legalità; la sconfitta dei giovani, della loro cultura del cambiamento, affondata nelle sabbie mobili della modernità mercificante; la sconfitta delle speranze di un’esistenza civile in ambienti urbani a misura d’uomo ed efficienti. Le partenze non fanno altro che acuire queste sconfitte, allargare il gap tra piccoli e grandi centri, tra nord e sud. In più: indeboliscono le lotte, rendendole sempre più residuali e testimoniali; l’impoverimento politico, culturale e materiale che ne consegue, rappresenta il terreno adatto ove si conficca il chiodo della corruzione, dell’accanimento distruttivo, dello sfruttamento delle persone e dell’ambiente; le capacità resistenziali vengono spezzate nella loro continuità, nell’incisività, nella possibilità di farsi opportunità di riscatto.
Nel mentre i progetti di militarizzazione acquisiscono sempre più forza; inquinanti ideologicamente e impattanti materialmente, rappresentano i poli del nuovo sottosviluppo, modelli incontrastati delle storiche strategie di occupazione dei territori e di trasformazione dell’Isola in una grande base militare al servizio delle guerre tecnologiche.
Partire dai territori, costruire barricate culturali e materiali contro i progetti del dominio capitalistico, organizzare le resistenze in maniera autogestita, orizzontale, è la sola prospettiva per chi rimane. Ma chi è che rimane? i servi e i ribelli; servi moltissimi, ribelli pochi.
Per questo è giusto che chi ha deciso di porre una parentesi nella propria vita – l’emigrazione – tra le due opzioni incompatibili, oggi cominci a riflettere sulla possibilità di pianificare, a breve, medio o anche lungo termine, il ritorno. E’ fondamentale che si cominci a pensare alla possibilità di desiderare una Sicilia, un Sud, non più schiavi delle infami leggi di mercato. Un ritorno per far rivivere i paesi e per rilanciare le battaglie per la giustizia sociale negata, calpestata, umiliata. Un ritorno per riprendere il posto di lotta, per la rivincita da tutti i fallimenti e le sconfitte, perché non si emigri più. Non è una scelta facile, non è mai facile rientrare in un baratro, rituffarsi nelle difficoltà, tornare a quel bivio lasciato quando si scelse la scorciatoia di una fuga diversamente nominata, definita e vissuta, ma che di fatto, è tale: una fuga. Basta rifletterci bene, interrogare la propria coscienza.
Non si tratta di sentimentalismo, di sicilitudine o sudditudine, non si tratta di abbandonarsi alla nostalgia verso la luce e i colori di una terra bellissima ma disgraziata perché colonizzata, schiavizzata anche culturalmente, corrotta dalla mafia e dalla politica, svenduta alle multinazionali e all’imperialismo americano. Si tratta, invece, di contribuire a costruire ciò che manca, negli ambiti sociali, culturali, economici; di rimboccarsi le maniche e gettare le basi per la liberazione, attraverso una cultura antagonista al potere in tutte le sue sfaccettature.

Il Sud ha bisogno di tutte le sue energie per risollevarsi, per trasformare i servi in ribelli, per cominciare a fare la sua rivoluzione, per percorrere la via alla sua indipendenza.

Pippo Gurrieri

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