La carota 5 stelle e il bastone leghista

Manovra. Poniamo la sfiducia ad ogni governo

La sceneggiata della manovra economica si è finalmente chiusa a fine anno con tanto di voto di fiducia. Lasciamo perdere l’opposizione da talk-show messa in atto da PD e Forza Italia, davvero ingrata visto che la Legge di Bilancio è in perfetta continuità con le precedenti varate dai governi Renzi e Gentiloni.
Il ricorso al voto di fiducia su questo provvedimento (come sul Decreto Sicurezza e altri ancora) la dice lunga sul metodo di questo governo; dai banchi dell’opposizione i partiti dell’attuale maggioranza tuonavano contro il bavaglio e la dittatura di Renzi e compagnia ad ogni voto di fiducia; ora questo è diventato il loro modo di spegnere la dissidenza interna e di bloccare sul nascere ogni discussione su articoli di legge. Come prima e peggio di prima.
Marco Travaglio, dalle colonne de “Il Fatto Quotidiano” distribuisce attenuanti al governo Conte spiegando come i predecessori abbiano fatto le stesse cose o anche peggio; elenca le malefatte su pensioni, su RAI e informazione, sull’ordine pubblico, sul salvataggio delle banche, di cui si sono resi responsabili uomini e partiti che ora si stracciano le vesti contro la Legge di Bilancio. Ed ha ragione, ma dimostra solo come la politica di questo governo sia in continuità con le precedenti; se chi governava prima dovrebbe starsene zitto, oggi a non dover stare zitte dovrebbero essere tutte le persone che subiranno l’ennesima mazzata economica e fiscale, e che già stanno subendo i colpi della stretta alle libertà fondamentali impresse da questo esecutivo.
La Manovra appena varata lascia il deficit sostanzialmente invariato, rimette a rischio università e ricerca, tallone d’Achille della società italiana ormai da moltissimi anni, punta sull’aumento delle tasse piuttosto che su un rilancio dell’economia, cioè dell’occupazione e del Mezzogiorno; sposa le logiche liberiste, salva i redditi alti, le speculazioni finanziarie, l’evasione fiscale e finanziaria. E’ il famoso cambiamento per non cambiare niente, ammantato di fumose dichiarazioni buone a far sopravvivere la mistificazione almeno fino alle elezioni europee.
Taglia i fondi ai comuni, però gli sblocca l’aumento delle tasse locali sui servizi e sulle abitazioni. Vengono rinviati al futuro i contributi per gli investimenti produttivi, che avrebbero permesso al Sud un ossigeno occupazionale ma anche un processo di infrastrutturazione, a partire da asili, trasporti, sanità, viabilità, e viene tolto l’obbligo di gara (per un anno) per appalti sotto i 150.000 euro: ulteriore stimolo al clientelismo e alla corruzione. Vengono bloccate le assunzioni per quasi tutto il 2019, e comunque ne vengono previste alcune migliaia rispetto alla grande carenza di posti (nei prossimi anni andranno in pensione 400.000 statali) in molti settori, in testa la sanità, che va incontro al rischio collasso. Fra i beneficiati l’incremento più grosso è per le forze di polizia: 6.150 posti, quasi la metà dell’intera manovra. Per il contratto degli statali viene stanziata una somma che porterà ad aumenti mensili di appena 20 euro. La nota marcia indietro dell’aliquota Ires per il terzo settore, che risparmia alcune attività di volontariato ed assistenza, messe in parte già in crisi dalle Legge Salvini sulla sicurezza, si rivela il solito favore alla Chiesa, che ha anche beneficiato dell’ennesimo colpo di spugna sul pagamento dell’IMU.
Il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia pentastellato, non solo si va sgonfiando progressivamente per quantità e contenuto, ma la stessa platea dei beneficiari si restringe vertiginosamente; alla fine si va rivelando più come un ulteriore incentivo alle assunzioni. Per fare un favore alla Lega si stabilisce un taglio delle tasse sulle partite IVA individuali, e lo stralcio delle cartelle non pagate a partire dal 2000 per chi può provare di essere stato in difficoltà economica. Così facendo si fornisce una sponda ai padroni, che spingeranno i dipendenti verso l’angolo dei contratti individuali a partita Iva. Un altro favore c’è anche per chi non ha pagato tasse e contributi Inps, compresi i finti poveri. Così come un altro si fa alle imprese in tema d flessibilità, con la “concessione” alle donne incinte di poter lavorare fino alla vigilia del parto.
In materia di pensioni, la tanto sbandierata abolizione della Legge Fornero si è trasformata in un mini intervento riguardante appena 315.000 persone, diluito nel tempo, che esclude categorie truffate dalla Fornero (ad esempio i macchinisti delle ferrovie), le donne, le attività precarie, mentre la conferma del blocco dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni oltre i 1.522 euro lordi al mese (che secondo gli accordi presi dal governo Gentiloni doveva cessare a gennaio 2019) colpirà le pensioni dei lavoratori, che sono oltre il 58% del totale, provocando una ulteriore perdita di circa 200 euro l’anno, che si sommano a quella che va avanti dal 2011.
Al termine della sceneggiata si rifanno vedere i sindacati, che annunciano manifestazioni per gennaio; dopo mesi di silenzio, che vuol dire anche complicità, capiscono che anche la loro base sociale rischia di rimanere erosa dalle strategie governative di inquinamento ideologico in favore di soluzioni razziste e xenofobe. Fattore messo bene in vista dall’unica opposizione di tipo sindacale, quella dei sindacalismo di base dello scorso mese di ottobre, oltre che dalle tante realtà di opposizione, dai movimenti contro le grandi opere a quelli antirazzisti, da quelli antimilitaristi a quelli attivi nel sociale su alloggi, accoglienza ai migranti, che hanno messo bene in chiaro come non si debba credere alle promesse dei politicanti vecchi e nuovi, sempre pronti a svenderle una volta saliti al potere, come è accaduto per il TAP, per le Trivellazioni, per le Grandi Navi a Venezia, per la TAV Terzo valico (su quella Valsusina prendono solo tempo), per il MUOS ecc..
La politica del fumo non potrà durare a lungo; prima o poi le masse ubriacate dal salvinismo rampante e dagli strilloni a 5 Stelle esigeranno anche un po’ di arrosto, e quando si accorgeranno che l’arrosto se lo pappano sempre gli stessi gruppi privilegiati, che il nemico non può essere chi sta peggio di te, sol perché proviene da un’altra terra ed ha un altro colore della pelle, le cose cominceranno a cambiare. Non ci interessa se cambieranno a livello elettorale: se Berlusconi o Renzi recupereranno, se alle europee Potere al popolo prenderà gli agognati 4 deputati. L’urgenza è un’altra e risiede tutta nella possibilità di ritornare al conflitto sociale, di rilanciare la consapevolezza che non ci sono governi amici, ma che solo la lotta paga, e che la lotta si costruisce giorno dopo giorno, a partire dai bisogni più semplici delle persone, senza perdere di vista il contesto generale, cioè l’aggressività del capitalismo e dello Stato, strutture irriformabili, che vanno abolite dalla forza crescente e rivoluzionaria degli oppressi.

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