La prova del No

23 Marzo. Non nel mio cortile (il Mondo)

Roma, 23 marzo: non è una semplice grande manifestazione anche se di per sé rappresenta un obiettivo importante, perché strutturato dal basso, costruito attraverso decine e decine di assemblee territoriali e diversi appuntamenti nazionali; un percorso durato mesi che è già un risultato politico acquisito per le energie, le idee, i processi in atto e le prospettive che ha fatto emergere.
L’essere riusciti a mettere insieme resistenze su tematiche differenti, ma tutte figlie della stessa necessità di reagire a progetti e strategie negatrici della volontà delle persone di poter essere protagoniste della propria vita, portatori di devastazione, corruzione sia materiale che morale, violenza sia fisica che psicologica, è un fatto concreto, indiscutibilmente positivo, senza che per questo si debba sorvolare sulle differenze, le sensibilità diverse, le caratteristiche specifiche di ogni battaglia e di ogni vicenda, di ogni movimento che ne è protagonista. Ci troviamo di fronte ad una ricomposizione generale delle tante vertenze che le rafforza tutte ma che tende a divenire progettualità contro il sistema neoliberista.
Chi ha provato ad imporre logiche di dominio e di sopraffazione, con la violenza, l’imbroglio, la mafia e la legge, ed anche con il tentativo di tenere isolate le singole lotte, confinandole nei territori, salvo poi accusarle di essere affette da sindrome di nimby, sa che nella percezione di quanti si sono autoconvocati a Roma, l’intero Paese è un cortile, anzi, l’intero Pianeta lo è, e in questo cortile-Mondo non c’è spazio per profittatori, speculatori, oppressori e sfruttatori.

Questo uno dei principali valori che si riversano a Roma il 23 marzo. Ma ci sono altri significati, altrettanto importanti, che costituiscono l’ossatura di questa grande prova di forza:

  • I tanti No provenienti da tutte le regioni prendono atto che la forza di ognuno risiede nella forza di tutti, e che ogni singola mobilitazione nasce e si sviluppa attorno ad un aspetto specifico del più vasto progetto capitalistico di dominare le persone e l’ambiente per trarne profitti, ad ogni costo e con qualsiasi mezzo. Un No alla Tav o alle Trivellazioni, al Muos o alle Grandi Navi, alle discariche o ai gasdotti è un No al Capitalismo predatore e distruttore, è un No al neoliberismo calato come un’ombra mortale sulle popolazioni del Pianeta per favorire le minoranze di ricchi che lo governano e lo stanno portando alla distruzione. Perché il processo di veloce degradazione del clima e delle possibilità di vita su sulla terra non va religiosamente assunto a senso di colpa collettivo: esso ha un solo responsabile, ed è il Capitalismo, con la sua voracità infinita, mentre lo Stato è il modello-forma-strumento perché le aspirazioni delle persona a una vita diversa e migliore possano essere ingabbiate in logiche di obbedienza di varia natura e mantenute con vari strumenti coercitivi, dal terrorismo statale al potere burocratico, dal fanatismo religioso o nazionalistico alla droga consumistica e tecnologica.
  • I movimenti territoriali vanno acquisendo sempre più la coscienza che l’unica forma di opposizione al capitale può svilupparsi solo a partire dagli individui e dai loro luoghi di vita e di lavoro, e che essa non deve delegare a forme “superiori” della politica le proprie prerogative, ma deve farsi essa stessa forza d’urto, di opposizione e di proposta. Nessuna delega a personaggi, leaders, partiti e nessuna fiducia a governi e istituzioni. Questo atteggiamento ha fino ad ora permesso alle lotte di svilupparsi e rafforzarsi, di superare momenti di sbandamento e debolezze varie, di disincagliarsi dalle pratiche ricattatorie che hanno fatto soccombere la tutela della salute e dell’ambiente alle esigenze del capitale e del mercato, e deve proseguire la sua marcia unificando (ma non omologando) tutti i No in un grande Si a un’idea diversa di vita, di relazioni umane, di condizioni sociali, di gestione del lavoro, dell’istruzione, dell’ambiente, di rilancio effettivo del Mezzogiorno, un’idea improntata all’eguaglianza, alla giustizia e alla libertà e alla solidarietà, tutti valori incompatibili col capitalismo, le sue leggi, i suoi bisogni.

Nelle innumerevoli occasioni di confronto è emersa una progettualità del cambiamento, che passa attraverso la riappropriazione da parte dei soggetti sociali della facoltà di poter decidere in prima persona e collettivamente della propria esistenza e del proprio futuro. Una progettualità che contempla un’idea diversa di mobilità, di lavoro, di città, di energia, di ambiente, ma anche un’idea precisa su antisessismo e antipatriarcato, antirazzismo e antifascismo, anticapitalismo e antimperialismo, dove non hanno più spazio alcuno le follie capitaliste su velocità alte e imprescindibili, su aggressioni ai sottosuoli e ai mari con progetti devastanti resi possibili nel corso dei tempi solo da guerre feroci di conquista, a loro volta produttrici di mostruose macchine di morte e di altre montagne di profitti accumulatesi su genocidi, schiavitù, esodi, fabbricazione, commercio e utilizzo di armament. Non c’è più posto per l’interesse privato che scavalca quello pubblico, per l’interesse di Stato a servizio dei potenti, imposto con la violenza in divisa.
Capitalismo e liberismo sono solo voracità, distruzione, culto del dio denaro, e mafia, militarizzazione dei territori, guerre, repressione dei soggetti in rivolta (ora, in Italia, ancora più aspra con la legge Salvini). Ne hanno fatto le spese i diritti umani, le conquiste sociali, la libertà delle persone di poter decidere, come ne hanno fatto le spese l’agricoltura, l’ambiente, interi territori vasti e piccoli divenuti invivibili per l’avvelenamento, il clima modificato, le moltitudini sottoposte a ricatti: occupazionali, economici, razziali, militari, religiosi.
E’ giunto il tempo di dire No a un sistema iniquo e pericoloso, la cui crescita, ma anche la cui sola esistenza, è una minaccia per l’umanità tutta. Ed oggi, dall’ultimo paese della Val di Susa, all’ultimo paese della Sicilia, passando per le mille contrade in rivolta, sono segmenti crescenti di questa umanità insofferente che si ribellano. La protesta, la resistenza, il conflitto sociale che confluisce a Roma è oggettivamente lo stesso che anima le popolazioni curde nella loro conquista di una possibilità di rigenerazione sociale antiautoritaria, lo stesso che arma lo spirito delle popolazioni del Chiapas o che riempie le strade del Nicaragua; lo stesso che nega la segregazione razziale nei lager degli stati e i muri alle frontiere o nei mari; lo stesso che fa da diga al dilagante neofascismo aizzato dai governi, in Italia come in altri paesi. O si vince tutti, o si perde tutti: non c’è via di mezzo.

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