SURRISCALDIAMO LE RIVOLTE

CATASTROFE AMBIENTALE. Una rottura è urgente

L’imminenza di una catastrofe climatica senza precedenti, ritenuta certa da un crescente (ancorché minoritario) numero di persone, corre il rischio di alimentare nuovi millenarismi da fine del mondo, con presumibili apparizioni, nel breve periodo, di salvatori e venditori di false medicine. A contrapporvisi non ci sono solo negazionisti e menefreghisti (la maggior parte), ma anche propugnatori di soluzioni anemiche quanto funzionali al perpetuarsi del dis-ordine corrente delle cose.
Se è un fatto che sia in atto un “cambiamento” climatico (ecco quel senso negativo di cambiamento che abbiamo imparato ad apprezzare nelle gesta dell’attuale compagine governativa italiota), meno chiaro è quanto incida in questo peggioramento l’influenza dell’attività umana, che poi sarebbe meglio definire come “modo di produzione capitalistico” per evitare un comodo genericismo tanto amato dai signori succhiasangue dell’umanità e del Pianeta Terra. Quanto incida, non se incida.
Una regia pericolosa fornisce una lettura dei fenomeni meteorologici in atto staccata dalla realtà, dalle cause, dalle responsabilità e quindi dalle possibilità, come anche dall’urgenza, di intervenire subito, mettendoci nella speranzosa attesa che gli esperti, la scienza, i politici trovino le soluzioni adeguate a impedire la catastrofe annunciata. Ma gli anni passano, e se ci si guarda attorno, non si vede proprio da dove dovrebbe cominciare la riduzione di quel CO2 che sta contribuendo al veloce riscaldamento del Pianeta. Tema alquanto immenso e pressoché sconosciuto nei suoi risvolti scientifici, all’interno del quale però qualcosa di concreto e molto legato alle nostre vite quotidiane, sussiste. Qualcosa che ha origini certe nello sviluppo industriale iniziato nell’800 e incrementatosi a ritmi irrefrenabili fino ad oggi, producendo un mondo di ingiustizie, di differenze sempre più larghe tra ricchissimi e poverissimi, di guerre, di furti di risorse di desertificazioni e fughe “bibliche”, di sacche estreme di invivibilità, di piani di aggiustamento di stampo liberista, di ricatti economici.
Se ci soffermiamo su ognuno di questi aspetti, tutti strettamente concatenati fra loro, possiamo vedere quanto l’assetto sociale vigente nella stragrande parte della Terra influisca sulle possibilità dell’umanità di poter vivere in maniera felice: in discussione c’è quindi la mancanza di libertà e di giustizia sociale, il modo con cui si produce a detrimento della possibilità della terra e dell’ambiente nel suo complesso di rigenerarsi.
Non può essere un Al Gore, quindi, a indicare una soluzione; ne la piccola Greta (e gli abili registi che ne hanno fatto un brand) a guidare una risposta globale; occorre invece concretizzare un percorso di risposte non addomesticabili alle logiche bastarde del sistema dello sfruttamento globalizzato. I signori che detengono il potere finanziario ed economico, e quindi anche quello politico, mediatico e militare, sono stati costretti a inserire la tematica ambientale nella loro agenda, ma continuano a perseguire la ricerca del profitto giorno per giorno, senza badare alle nefaste e letali conseguenze sulle persone e sull’ambiente, perché questa è e continuerà ad essere la filosofia di questa gente, cioè del capitalismo. Non a caso le sue conseguenze ricadono immediatamente sui popoli più poveri (quelli che non hanno la minimissima responsabilità), colpiscono in maniera forte le condizioni di vita delle classi oppresse, dimostrando di avere un carattere essenzialmente classista. Anche ammesso che si vada incontro ad un nuovo“diluvio universale” una cosa è certa: non saremo tutti sulla stessa barca! Anzi, probabilmente la minoranza ricca sarà sulle barche e tutto il resto si agiterà nelle acque senza salvagenti e gommoni cui aggrapparsi.
Ammettiamolo però: viviamo immersi in una fantapolitica quotidiana in cui soprav-viviamo: la favola del “tutto s’aggiusta”, della fede assoluta nella scienza che tutto risolve, e dell’impegno minimale, quello utile a lavarci la coscienza, che si manifesta nei piccoli gesti quotidiani: mangiare sano, consumare intelligente, differenziare i rifiuti, ecc.. Una favola che non intacca il metodo predatorio capitalistico, anzi lo alimenta con nuove illusioni che ci paralizzano e nuovi sbocchi di mercato.
Per ridurre di qualche mezzo grado il CO2 bisognerebbe bloccare tutto ciò che ruota attorno al fossile: giacimenti, miniere, centrali, mezzi di trasporto, industrie; ma si può pensare di bloccare tutto ciò senza uno stop definitivo al sistema capitalistico? Oppure dobbiamo lasciare che sia il sistema stesso a fingere di rigenerarsi con un nuovo grande inganno e a colpi di ricatti che riguardano abitudini e comodità di quella parte più ricca del Pianeta dove giustamente agogna di approdare l’altra parte più povera?
Il compito degli anarchici, degli ecologisti radicali, degli anticapitalismo coerenti, dei veri amici della vita, rimane quello di riuscire ad innescare anche nelle battaglie più modeste e negli obiettivi più immediati il germe di una visione più globale, combattendo l’attitudine di chi continuerà a crogiolarsi all’interno del proprio piccolo mondo, dimenticando o fingendo di dimenticare che invece il Mondo è uno, ed è malato, e che la cura risiede per gran parte nelle mani degli oppressi, ovunque essi risiedano.
Urgente è pertanto una rottura con tutto ciò che ha contribuito al disastro: capitalismo, industrialismo, ricerca del profitto, sfruttamento della natura e dell’ambiente, degli animali e degli esseri umani. Urgente una lotta senza quartiere con tutto quanto si richiama a questo sistema: stati, banche, governi, organismi economici e finanziari, e con tutto quanto contribuisce alla vita di questo sistema: eserciti e basi militari, partiti, chiese e religioni, strumenti di condizionamento di massa, scuole, organi di informazione tradizionali e moderni, ecc. Urgente una rottura con le idee portanti di questo sistema: autoritarismo, patriarcato, razzismo, mistificazione democratica, culto (e trappola) di una tecnologia sempre più ingestibile.
Gli Stati, il capitalismo, gli eserciti, lo sviluppo indiscriminato volto solo a produrre profitti per pochi privilegiati, e tutti i loro sacerdoti comunque camuffati e ovunque posizionati, hanno prodotto quella  che per molti popoli è già una catastrofe. Per avere ancora una chance, per poter desiderare un mondo migliore, bisogna immediatamente fare a meno di costoro, attivare nuovi processi organizzativi dal basso, egualitari e autogestiti, forme di autogoverno e nuovi modi di produrre rispettosi della terra, delle acque, dell’aria e sopratutto del futuro, di quelli a cui lasceremo ogni nostro piccolo angolo di questo Pianeta.
Il sogno di un Mondo libero dagli sfruttamenti, dalle oppressioni e dai parassiti sociali, e la rivoluzione necessaria a realizzarlo, potrà guidarci e potrà salvarci, ma dovremmo anche assumere lo spirito a cui Errico Malatesta nel lontano 1913 ci richiamava: “Oggi, domani e sempre, noi dobbiamo agire, pensare e comportarci come se la rivoluzione possa essere da un momento all’altro possibile. E’ l’unico modo per renderla possibile davvero”.

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