Il Conte bis

Governo. Liberismo dal volto (dis)umano

Il governo che sta per nascere (e probabilmente sarà già nato quando questo giornale verrà stampato)  tra Pd e 5 Stelle è chiaramente, come qualcuno efficacemente ha osservato,  un governo delle convenienze, del calcolo spicciolo di forze partitiche che non hanno altra scelta. Da questo punto di vista si tratta dell’ennesima conferma di come le dinamiche istituzionali prevalgano sulle reali questioni da affrontare e dell’assoluta autoreferenzialità della politica professionista. Tuttavia quanto accaduto con l’apertura della crisi di governo da parte di un improvvido, ancorché temuto, Matteo Salvini apre a delle considerazioni che possono mettere in luce il coacervo di situazioni e di aspettative anche contraddittorie che travagliano il momento che stiamo vivendo.
Una prima osservazione riguarda la reazione di quel mondo che genericamente si autodefinisce di sinistra alla boutade del ministro dell’interno che vaneggiava di pieni poteri. Lo spettro di una deriva neofascista o neoautoritaria sembrava in quei caldi giorni di agosto potesse prendere corpo e si imponesse una decisa risposta dalla società e dalla politica. Tuttavia questa risposta veniva affidata in prima battuta al Pd, ritenuto principale argine e garante dei valori costituzionali e democratici. Tanto che da più parti si invitava a smettere ogni critica al partito di Zingaretti e a spingere per una coalizione di tutte le forze democratiche per contrastare il pericolo salviniano. Posizione certo legittima, ma che dovrebbe almeno interrogarsi sue due questioni. Primo esiste veramente il pericolo dell’imminente instaurazione di un regime autoritario e dittatoriale? Certo spaventa il clima di conformismo, di sospetto, di odio, di razzismo strisciante ed esplicito che la propaganda leghista ha instillato perfidamente negli ultimi mesi, così come preoccuperebbe un eventuale governo compattamente di destra con dentro Fratelli d’Italia ed altre frange eversive. Ma la risposta al quesito deve tenere conto delle tendenze in atto nelle cosiddette democrazie rappresentative e di conseguenza elaborare le strategie adeguate. E’oramai riconosciuto che le democrazie si sono svuotate (semmai in qualche tempo della loro recente storia abbiano veramente funzionato) e prevalgono il decisionismo e l’intraprendenza dei governi, o di chi per loro impone determinate scelte. In Italia abbiamo parecchi esempi negli ultimi decenni di tutto quel riformismo al contrario che ha prodotto perdita di diritti, di tutele e peggioramento delle condizioni generali di vita in nome di un presunto interesse della nazione o di una sua salvaguardia nel contesto internazionale. Se non si tiene conto di questo fatto si rischia di pensare che basta eliminare un Salvini (il quale al momento ci ha pensato da sé) o una Meloni per ristabilire le sorti della democrazia. Siamo poi proprio sicuri di non vivere già in una forma di fascismo attenuato,  in cui gli strumenti del controllo sociale si affinano e si  propagano sempre più, in cui l’assenza di una significativa lotta di classe tiene lo stato entro i limiti di una repressione socialmente tollerata? Non si vuole certo dire che fascismo e democrazia realizzata siano la stessa cosa, tuttavia siamo purtroppo ancora lontani da una adeguata realizzazione dei principi fondanti e imprescindibili di  una vera democrazia: libertà e uguaglianza. Inoltre non bisogna dimenticare che il fascismo storico è stata una reazione alla lotta di classe in corso, che oggi non c’è. Per gli industriali, per i padroni, per il capitale, o per i mercati, come si ama dire, un Salvini, un Di Maio, uno Zingaretti o un Renzi o un Berlusconi di turno sono assolutamente intercambiabili. E qui si dovrebbe porre la seconda questione: che cosa è stato e che cos’è questo Partito Democratico cui oggi molti affidano le sorti della democrazia italiana? Quanta responsabilità ha avuto questo partito nella deriva di perdita di diritti che ha caratterizzato la recente storia italiana? Ha o no assunto questo partito l’orizzonte di un capitalismo mercantile, concorrenziale, competitivo? Se un’idea politica attraversa oggi il Pd è quella di un neocorporativismo interclassista, pragmatico che pone in primo piano le sorti dell’economia nazionale e il mito della crescita.
Una seconda osservazione attiene al modo in cui viene vissuta tutta questa vicenda da una grande fetta di opinione pubblica che non ha un preciso orientamento politico. L’impressione è che prevalgano indifferenza e rassegnazione. Una sfiducia nei confronti di governi, istituzioni e apparati politici che vengono visti come assolutamente lontani e chiusi nei loro interessi. Del resto i dati sull’astensionismo elettorale lo dimostrano da anni. Si può forse aggiungere che rispetto alle aspettative che avevano in qualche misura caratterizzato le elezioni del marzo 2018, la disillusione oggi appare marcata. Il governo gialloverde che tanto ha strombazzato in questi mesi in fondo ha concluso poco e alla lunga la polemica contro i migranti, in mancanza di reali cambiamenti nella vita delle persone, finisce per stancare. Che cosa può comportare questo atteggiamento in relazione alla ripresa della lotta sociale e della riconquista dei diritti non è facile prevedere, ma è imprescindibile cercare di trovare proprio in quest’ambito spazi, energie, idee per un progetto di cambiamento sociale.
Infine che cosa ci dobbiamo aspettare da questo nascente governo che già i media hanno battezzato giallo-rosso? I protagonisti sostengono che sta nascendo sotto il segno della discontinuità. A leggere i 20 punti programmatici Cinque stelle, i 15 del programma del Pd, al di là della genericità, si coglie una perfetta continuità con la politica dell’ultimo decennio. Se veramente questi due partiti  e questo nuovo governo volessero rimarcare una reale discontinuità dovrebbero cominciare col rinnegare il loro passato, piuttosto che rivendicarlo come fanno; dovrebbero iniziare una precisa opera di demolizione di tutte quelle leggi che hanno devastato la società italiana in questi anni: Jobs act, Fornero, Buona scuola, decreti sicurezza, norme sui migranti recenti e passate e via discorrendo. Ma non pare proprio ne abbiano intenzione.
Purtroppo il convincimento che in date condizioni, come quella cui ci troviamo di fronte, bisogna accontentarsi del male minore sorvola sul fatto che sempre di male stiamo parlando e sorvola sul fatto che nella lotta politica e sociale quel male interesserà qualcuno (i più) e si tradurrà in bene per altri (i pochi). E se invece tutte quelle energie che impieghiamo (o non impieghiamo) perché il male minore si affermi, le impiegassimo per il “bene” della collettività, per una trasformazione sociale che ci renda tutti realmente liberi ed uguali?

Angelo Barberi

 

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