Strategia e dibattito per il rilancio libertario

Se dobbiamo considerare i punti salienti su cui è nato questo giornale nel gennaio del 1977, essi si possono riassumere in una parte critica che mette in discussione le relazioni colonialiste tra Nord Italia e Sicilia, inquadrandole in un processo di affermazione capitalistica che assegna alle diverse aree ruoli differenti ma interconnessi; critica, di conseguenza, verso tutte le elaborazioni politiche ed economiche (ed i relativi miti) fondate sull’industrializzazione del Sud e sul suo preteso sviluppo (capitalistico) come condizione per uscire dalla subalternità economica e sociale al Nord.
La parte propositiva, concepiva una prospettiva di indipendenza dal forte stampo di classe, antistatale, federalista e autogestionaria, che passasse attraverso una riappropriazione della facoltà di autodeterminazione del popolo siciliano, fondata sulla centralità dell’agricoltura, sul ritorno degli emigrati, sul controllo dal basso dei servizi sociali e infrastrutturali, su relazioni di eguaglianza e collaborazione tra generi, etnie, aree territoriali. Il tutto proiettato in una forte dimensione internazionalista.
Che non si trattasse di semplici elaborazioni lo abbiamo dimostrato nelle innumerevoli battaglie in cui ci siamo immersi, spesso fungendo da apripista, e comunque cercando di essere sempre protagonisti e mai semplici comparse. Fra tutte annoveriamo l’incessante impegno antimilitarista, nelle sue diverse fasi, fra le quali spiccano i movimenti contro l’installazione della base missilistica di Comiso e quello contro il MUOS di Niscemi; il sostegno a importanti battaglie territoriali il cui elenco sarebbe troppo lungo da fare, ma che spaziano dalla difesa dell’ambiente alla lotta per l’acqua, le ferrovie, gli spazi sociali, ecc.; la riflessione e controinformazioine femminista, caratterizzata anche dalla pubblicazione per un lungo periodo della pagina specifica “Senza Capistru”; una chiara idea di lavoro pulito, utile, non sfruttato e non sfruttatore con il relativo supporto degli organismi di base e autorganizzati; l’impegno culturale coniugato attraverso varie forme: editoriali, teatrali, storiche, musicali, educative, ecc. Ovunque proponendo e praticando esperienze di autogestione.
In un documento uscito nel 1984, “Bozza di documento programmatico per l’intervento in Sicilia”, cercammo di aggiornare e rinforzare il nostro bagaglio teorico e strategico, a supporto dell’azione pratica di cui il giornale è stato strumento, con l’obiettivo di “Realizzare l’anarchia in Sicilia” . Con la nascita, nel 1997, della Federazione Anarchica Siciliana, con cui marciamo in fraterno mutuo appoggio, si è fatto un ulteriore passo avanti in termini strategici, confermando la prospettiva della costruzione di “una Sicilia anarchica in un Mondo anarchico”.
Pensiamo adesso sia giunto il momento di fare il punto su questi percorsi, di trarre le dovute conclusioni alla luce di quanto fatto e non fatto, e sopratutto del fattibile in rapporto alle nostre capacità e possibilità. Un bilancio che dovrebbe partire da una attenta disanima delle strategie attuate per far si che un progetto di cambiamento in senso libertario possa divenire effettivamente concretizzabile attraverso la definizione e costruzione di passaggi reali e tangibili.
Senza una definita strategia e un’altrettanta chiara tattica libertaria, si rischia di procedere a colpi di dichiarazioni, di critiche, di esposizioni magari esaurienti, o di pratiche organizzative la maggior parte delle quali limitate nel tempo e nello spazio, che non sedimentano nella società il fermento necessario allo sviluppo di basi, punti, organismi, reti rientranti nella nostra progettualità e proiettati verso la sua realizzazione.
Oggi questo si rende più che mai necessario perché il bagaglio di idee ed esperienze, e persino di donne e uomini dell’anarchismo militante siciliano, viene preso in prestito, utilizzato, forse anche saccheggiato, da movimenti che irrompono sulla scena dotati di forza e capacità attrattiva con i quali dobbiamo fare i conti. Movimenti che parlano di autogoverno territoriale, di federalismo, di comunalismo, di libere assemblee e persino di prospettive non statuali… ma evitano di connotarsi come libertari, perseguendo un’ambiguità politica di fondo connaturata alla loro natura autoritaria e alle loro strategie egemoniche.
Nel momento in cui idee portanti dell’anarchismo vengono fatte proprie da aree politiche che si rendono conto di doversi rinnovare dalla ruggine ideologica di stampo marxista, pur mantenendo una mentalità, una cultura politica e una prassi di quel tipo, a noi, dopo aver per l’ennesima volta constatato l’attualità e la vitalità del pensiero anarchico e antiautoritario, spetta il compito di far chiarezza e di mettere a confronto non tanto le idee e le chiacchiere ma i fatti e le pratiche concrete.
Il dibattito è aperto; attendiamo interventi e contributi che pubblicheremo a partire dal prossimo numero.

Questa voce è stata pubblicata in Editoriale. Contrassegna il permalink.