C’è da sostituire il Pil con un indicatore di benessere e solidarietà

Il coronavirus, un esserino costituito da un singolo filamento di RNA, è entrato prepotentemente nelle nostre cellule, le ha colonizzate e le ha piegate al suo volere utilizzandole per fare tante copie di se stesso. Microscopico e inconsapevole ha anche disarticolato una per una tutte le attività umane: il lavoro, l’economia, la vita sociale, la cultura, i viaggi, lo sport, il tempo libero, la cura, il commercio, lo studio, la comunicazione, la difesa. Ha anche sequestrato gli habitat che l’uomo si è costruito: le strade, le città, i paesi, gli aerei, i treni, i parchi, le scuole, le palestre, gli uffici, gli ospedali, le carceri. E si è anche impossessato del nostro pensiero, aprendo tuttavia spazi di riflessione, che, liberati dal rumore e dal riverbero di una quotidianità finora considerata ineluttabile, hanno lasciato filtrare dubbi, fragilità e interrogativi sul senso della vita. Provvedimenti che fino a ieri sembravano improponibili (blocco della mobilità, del lavoro, della produzione e del commercio) sono stati presi. Scelte che da anni sono state perseguite con determinazione e coerenza (depotenziare il sistema sanitario pubblico, ignorare il fabbisogno di nuovi medici, sottovalutare la necessità di turnover per gli operatori sanitari, ridurre fino all’esaurimento i percorsi formativi, ecc.) sono state rapidamente sovvertite. Finanziamenti che non sarebbero stati mai stanziati sono stati deliberati. Navi da crociera che mai è stato possibile mettere in discussione (nonostante abbiano causato inquinamento, danneggiato Venezia e stravolto il concetto stesso di viaggio, riversando nei luoghi di approdo folle insostenibili) sono state fermate. Ritmi di lavoro frenetici che, soprattutto in Cina, ma non solo, hanno destabilizzato la vita delle persone, sono stati sospesi.

La mobilità frenetica che tutti i giorni porta i cittadini da un paese all’altro, da una città all’altra, da un capo all’altro e che rende l’aria irrespirabile si è completamente arrestata. Gli aerei si sono fermati. Lo smart working che tante donne e uomini avevano richiesto senza che venisse loro concesso è diventato quasi un obbligo.

Beh, sembra ovvio:siamo di fronte ad un’emergenza! Si, ma le scelte erano tutte sbagliate e tutti lo sapevamo! Che saremmo arrivati ad un collasso del sistema sanitario pubblico, anche senza coronavirus, era previsto. Che questa produzione e questa mobilità forsennate rendono l’aria inquinata e che questa provoca in Italia più di 80.000 casi di mortalità evitabile all’anno, anche questo sappiamo. Che il riscaldamento del clima sta sciogliendo ghiacciai, che porterà ad un esaurimento delle fonti di acqua e di cibo, che peggiorerà la qualità dell’aria, che porterà fame, sete e nuove malattie infettive potenzialmente molto più pericolose di questa da coronavirus, sono tutte informazioni che gli scienziati di tutto il mondo ci hanno già fornito. Ma adesso, “grazie” al coronavirus, sappiamo che tutto si può fermare, che di tutto possiamo fare a meno e che la vera cosa che ci mette in crisi è la mancanza di relazioni e di cure. Solo che queste cose non generano Pil! E allora non ci rimane che sostituire il Pil con un indicatore di benessere, solidarietà e livello di conservazione dei beni naturali. Anche perché la crisi climatica non si potrà né “isolare” né “curare”, né “vaccinare”, le nostre tecnologie e la nostra scienza non potranno esserci d’aiuto, la crisi climatica si può solo prevenire intervenendo adesso.

Non vale la pena di provare a cambiare tutto?

Maria Grazia Petronio

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