Questione sociale e prigionieri politici

Perù. Intervista al collettivo Amauta

Dopo l’epidemia da Covid-19 ci sono state proteste nelle prigioni peruviane a causa del rischio di contagio?
Durante il mese di aprile ci sono state proteste nelle carceri per via dell’affollamento e delle insufficienti misure sanitarie di fronte all’incremento del contagio del Covid-19, che si è propagato nelle prigioni, specialmente nella Miguel Castro Castro dove – secondo i familiari dei detenuti – già c’erano stati 5 morti e 200 infettati, la maggioranza erano prigionieri politici, ai quali si negava il test, le cure mediche per i contagiati, forniture sanitarie, controllo e provvedimenti urgenti per diminuire l’affollamento nelle carceri; il governo di Martin Vizcarra ha represso questa protesta perpetrando una nuova strage nel carcere Miguel Castro Castro di Lima.

Come ha reagito lo Stato e qual è la situazione attuale nelle prigioni?
Lo Stato peruviano ha preso misure tardive e burocratiche per combattere l’attuale crisi sanitaria; non consegna l’occorrente per la protezione ai funzionari penitenziari, figuriamoci ai detenuti. Nel caso della protesta del carcere Miguel Castro Castro, la risposta dello Stato, attraverso l’INPE (Istituto Penitenziario) e la Polizia è stata quella di assassinare 9 reclusi, tra cui il prigioniero politico Natividad Bernardo Villar: tutti reclamavano un minimo di attenzione alla salute e di diritto alla vita. Ancora una volta la soluzione del governo è stata quella di reprimere nel sangue le richieste dei prigionieri; è questo il concetto del diritto penale del nemico ed è la continuazione della politica dello sterminio sistematico dei prigionieri politici; oggi approfittando della pandemia cercano di provocare la morte dei prigionieri politici che si ribellano allo sfruttamento capitalistico; lo Stato sta provando a convertire le carceri in centri di sterminio.

Dal punto di vista giuridico, il governo peruviano ha promulgato misure urgenti per depenalizzare con indulti umanitari e diritti di grazia che riguarderebbero 3 mila detenuti, escludendo i politici: nessuno di essi potrà godere di questi benefici essendo accusati del delitto di “terrorismo”. Questo svela l’intenzione di farli morire in prigione come unica soluzione.

Nelle carceri peruviane si contano al momento 15 morti  in diversi istituti e oltre 645 contagiati, ai quali si sommano 113 agenti penitenziari infettati. Rispetto alla situazione dei prigionieri politici, moltissimi di loro devono scontare tra i 20 e i 35 anni di carcere, sono sottomessi al regime di isolamento, crudeltà e tortura, a trattamenti degradanti e vessatori per essersi ribellati al sistema capitalista; nel caso delle prigioniere politiche, molte di loro sono anziane e soffrono malattie prodotte dalla detenzione. Attualmente si arriva a 50 prigionieri politici in diverse prigioni del paese, 12 di loro con sentenza all’ergastolo, la loro età va dai 60 agli 85 anni come il caso del Dr. Abimael Guzmàn, rinchiuso nella prigione militare navale del Callao, senza diritto alle visite, in cella d’isolamento. Poi c’è il caso della prigioniera Margot Lindo Gil e del prigioniero Osman Morote Barrionuevo di 75 anni, entrambi con 33 anni di carcere effettivo, i quali, nonostante avessero completato la loro condanna nel 2013, si sono visti condannare all’ergastolo in un nuovo procedimento imbastito dallo Stato.

Potete fornirci informazioni sullo stato dell’epidemia in Perù?
Fino ad oggi 1° maggio secondo le informazioni ufficiali del Ministero della Salute, la cifra dei deceduti in Perù per coronavirus è di 1.124, e i casi positivi hanno raggiunto i 40.459; il sistema sanitario ha già raggiunto il suo limite e se ne prevede il collasso. Il governo ha risposto con quarantene e buoni alimentari per la popolazione mentre concede misure protezioniste alla media e grande impresa, che viola i diritti del lavoro e i salari dei lavoratori.

Nelle carceri peruviane sono rinchiusi molti compagni che hanno combattuto contro lo Stato e il Capitale; esiste un movimento di solidarietà nei loro confronti?
Ci sono organizzazioni che solidarizzano con i prigionieri politici, cui partecipano familiari, amici ed ex carcerati; queste hanno formato gruppi attivi nella difesa dei diritti dei prigionieri, ma questi compagni e queste organizzazioni sono vittime di una campagna di criminalizzazione e persecuzione politica da parte dello Stato; un esempio di ciò è il MOVADEF, i cui membri sono arrestati e perseguitati dalla Stato per aver diffuso striscioni, manifesti e volantini per la libertà dei prigionieri politici; altro esempio riguarda i giovani studenti Cristobal e Laurenti, arrestati per aver distribuito volantini.

Esiste la possibilità che una mobilitazione popolare possa portare a un miglioramento delle loro condizioni e a una diminuzione delle pene?

La mobilitazione popolare è limitata dalla campagna di disinformazione dei mezzi di comunicazione e dalla criminalizzazione della classe politica dei vari partiti, che bollano i prigionieri politici come “terroristi”, aggettivo esteso alle organizzazioni o persone che lottano per i diritti dei prigionieri politici, così come a tutte le organizzazioni popolari che si oppongono allo sfruttamento capitalista.

Esiste una solidarietà internazionale in questo momento?
Si, da parte di organismi sociali di Argentina, Cile, Messico impegnate nella difesa dei diritti dei prigionieri politici; ma c’è un assedio informativo da parte dei grandi mezzi di comunicazione contro il quale da 4 anni si è formato il Coordinamento Internazionale per la libertà dei prigionieri politici del mondo, cui aderiscono organizzazioni di Perù, Cile, Argentina e Messico, che stanno sviluppando una campagna di difesa dei diritti dei prigionieri politici

Potete farci un quadro della situazione politica nazionale peruviana e delle relazioni tra il governo del Perù e gli altri governi dell’America Latina?
Il Perù da 40 anni è governato da governi di destra e dal 1992 subisce un rigoroso regime neoliberale. Nel 1980 iniziò una guerra interna diretta dal Partito Comunista contro lo sfruttamento capitalista che cessò nel 1992, lasciando problemi irrisolti come quello dei prigionieri politici, degli esiliati, dei trasferiti o degli scomparsi. Attualmente governa, per l’Sr, Martin Vizcarra, rappresentante dell’ultradestra finanziaria.

Nel 2018 in Perù la disoccupazione raggiunse il 3,9% con un 46,3% di forza lavoro sottoccupata. Con la pandemia il 42% dei peruviani ha perso il lavoro e non sta percependo entrate durante la quarantena: circa 8 milioni sono gli inoccupati. Questo aggravamento della disoccupazione dipende, da un lato dalla politica sul lavoro del governo, che sta favorendo il Gran Capitale, e poi perché con la sospensione dei contratti di lavoro hanno legalizzato i licenziamenti in massa dei lavoratori regolari. Ora, in una sola settimana di applicazione del blocco, 7124 imprese hanno sollecitato la sospensione di 84.345 lavoratori e si stima che 3,8 milioni di impiegati (il totale del settore regolare) finiranno per essere inclusi in questa mobilità. Dall’altro lato, nel paese, 9 milioni e mezzo di lavoratori hanno un posto di lavoro irregolare, per la maggior parte sono senza lavoro. L’incremento della disoccupazione non è un effetto “naturale” della pandemia, al contrario ci dimostra che la vera pandemia è il capitalismo, poiché l’oligarchia mondiale e la grande borghesia peruviana per non perdere i propri capitali scaricano la crisi sui proletari.

Nel nostro paese circa il 50% della forza lavoro ha entrate pari o inferiori al reddito minimo vitale, si tratta di salari di fame che non coprono il fabbisogno familiare; inoltre, su 10 giovani, 6 ricevono salari inferiori al reddito minimo di sussistenza. E nel caso delle donne la differenza salariale è del 21%.

La stabilità lavorativa nel paese è praticamente scomparsa e solo i 17,1% dei lavoratori salariati ha questo diritto. Senza contare il numero dei lavoratori autonomi che nel quadro statistico non è contemplato. In più, si osserva che, del totale di lavoratori e operai nel 2018, il 27,4% non gode di assicurazione per le malattie e il 64,5% non possiede contributi per la pensione.

Solo un settore minoritario ha il diritto alla pensione, per quanto sarà una cosa irrisoria. Senza dubbio i pochi risparmi di costoro saranno consumati se avranno perso il lavoro, per disposizione del governo. Ancora una volta è il proletariato che subisce le conseguenze della crisi.

Con la pandemia il pericolo che il proletariato perda la propria salute e la sua stessa vita si è aggravato. Nei grandi campi minerari che han continuato a funzionare, decine di minatori denunciano contagi, come nel caso di Antamina, Cerro Verde e Buenaventura. Inoltre si registrano contagi in imprese come Backus e Coca Cola le cui produzioni di bibite alcoliche e gasate sono state considerate “alimenti” da continuare a produrre.

I governi di destra han manovrato in loro favore durante gli anni di applicazione del neoliberismo lasciando al proletariato lavoro precario, senza copertura di disoccupazione, secondo un quadro giuridico capitalista. Hanno spremuto come limone il proletariato, accumulando ingenti guadagni, e ora non vogliono garantirgli un mese di salario “senza lavorare”, gettandolo con disinvoltura in mezzo a una strada, a morire di fame.

In quanto alla relazione del governo peruviano con America Latina, il Perù è un paese sottomesso all’imperialismo nordamericano e oggi fa parte del gruppo di Lima, formato dai governi di destra e ultradestra del Sudamerica.

Cosa possiamo fare noi in questo momento per contribuire alla vostra lotta?
In questo momento siamo all’interno di una campagna internazionale per la difesa della vita e della salute dei prigionieri politici del Perù, e gradiremmo molto un’ampia diffusione delle notizie e dichiarazioni sulla situazione dei prigionieri politici nei mezzi di comunicazione e nelle reti sociali; provocare il pronunciamento di un gran numero di organizzazioni e scrivere lettere all’ambasciata peruviana esprimendo il rifiuto della repressione contro i prigionieri politici, e che questi vengano inclusi nelle leggi di depenalizzazione dei detenuti.

Collettivo Amauta

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