Tra giganti e nani

La nostra posizione sul referendum costituzionale l’abbiamo espressa sullo scorso numero; ora, a cose fatte, che la casta ne sia uscita rafforzata (come titolavamo) ci sembra un fatto assodato. Più forte, più arrogante, più bugiarda di prima. Se non altro perché, oltre alla sferzata centralizzatrice che la vittoria del Si imprime al sistema politico parlamentare, a scapito di quei brandelli di autonomia rappresentativa residuali in un contesto dominato dalle grandi potenze dell’economia mondiale e del militarismo planetario, siamo davanti al fatto incontrovertibile che quella parte “maggioritaria” di società che ha votato per il taglio dei parlamentari, è stata infettata dal virus della mistificazione populista. Secondo il messaggio tossico in circolazione la classe parlamentare è stata punita, sono state tagliate le poltrone, insomma, dal 22 settembre 2020 viviamo in un Paese migliore.
Lungi da noi il dire che l’altra casta, quella sconfitta, sarebbe stata il toccasana ad una situazione incancrenita: l’infausto minestrone di garantisti di lungo corso, di destrorsi lealisti, di leghisti impauriti, di indefessi difensori di una democrazia e di una Costituzione da tempo malate terminali, sulle cui disgraziate sorti hanno tutti delle immani responsabilità, non poteva che partorire un blando risultato, autoconsolatorio quanto inutile.
La partecipazione al referendum, trascinata dalle elezioni in alcune regioni e dalle amministrative qua e là, ha superato di poco il 50%. Magra cosa vista la posta in gioco, segno che al “popolo” di una nuova riforma (o controriforma) istituzionale, ben poco importa.
In Sicilia, dove non si votava per la Regione, si sono recati alle urne appena il 35% degli aventi diritto; il Si ha raccolto la percentuale più alta d’Italia (il 75,9), ma pur sempre in relazione ad una minoranza di votanti.
Sintetizzando: un paese più autoritario di quanto già non lo fosse; una opinione pubblica più drogata in senso falsamente livellatore; una massa (che non fa opinione) tagliata fuori (o autoesclusasi) dai giochi, forse perché consapevole che, comunque la si giri, la fregatura è sempre in agguato. Nessuna modifica costituzionale in campo parlamentare fino ad ora ha spostato in meglio di un millimetro la condizione della popolazione meno abbiente, numericamente in costante aumento.
Se poi si vuol ragionare un solo minuto sull’esito del voto regionale, appare chiaro come esso rispecchi quel “decentramento” politico in atto che fa sì che la maggior parte dei governatori, in virtù della loro vicinanza al territorio, acquisiscano maggiori consensi. Sembra quasi una risposta alla vittoria del Si, che proprio sull’allontanamento della politica dal territorio fonda la propria ragion d’essere. Possiamo solo prevedere che nella grande bagarre che si va preparando per la spartizione dei fondi europei del Recovery Fund (e anche per contare di più nelle stanze del potere), questi governatori potranno fare voce grossa sbattendo sul muso dei concorrenti i plebisciti elettorali realizzati.
Proviamo a mutare prospettiva. Giù in basso, dove si agita la “plebe in catene” (distanziata e mascherata, tamponata e quarantenata) la ricerca della sopravvivenza quotidiana rimane la principale occupazione: reddito di cittadinanza, cassa integrazione, pensionabilità, meno precarietà, sussidi (110%, bonus, sconti, assegno di disoccupazione, ecc.) sono al centro dell’interesse quotidiano, e tutto il resto passa in secondo piano. A dicembre scade il blocco dei licenziamenti, e si prepara già una carneficina nei luoghi di lavoro: cifre ufficiali parlano di quasi 4 milioni di posti che chiuderanno. L’economia reale arranca, solo la Borsa trionfa, anche in virtù degli aiuti di Stato, europei, internazionali ricevuti dai padroni, stornati nella speculazione finanziaria.
E’ qui che dobbiamo puntare il nostro occhio sovvertitore per cercare di capire se può esistere ancora una speranza di cambiamento. E’ nei bassifondi della società che si subisce l’olezzo di una società in putrefazione; che si coniuga disperazione sociale e inquinamento, povertà e controllo poliziesco, vuoto culturale e valanghe di cazzate vomitategli addosso per riempirlo. Questo è il punto di osservazione per comprendere quanto la grande politica (del Si e del No) sia estranea ma responsabile, rea, complice del disastro individuale e sociale che tutti si subisce. E quanto la piccola politica dei tanti nani alla ricerca di potere e legittimità (che godono per un 1,30% alle regionali, o che riducono il loro antagonismo al lamento verso il “fallimento” di un tal governatore o all’incazzata richiesta di risposte dalla politica), nel suo piccolo faccia da argine democratico e legalitario alla giusta rabbia non ancora cosciente e organizzata, che cova nel corpo sociale.

Pippo Gurrieri

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