La vera liberta’ e’ solidale

LIBERTÀ? LA DESTRA NEOFASCISTA NELLA MISCHIA

Non è cosa ricorrente una pandemia del tipo di quella che stiamo subendo in questo anno, in genere una volta ogni secolo, almeno per noi europei – in Asia e in Africa, ovviamente la pensano diversamente. In una società frenetica, comunicativa e altamente dinamica come le società avanzate di tipo industriale e dei servizi terziari, ridurre anche drasticamente i contatti interpersonali per sforzarsi di interrompere il contagio rappresenta una sfida ad ampia portata, alla quale probabilmente non siamo abituati né a maggior ragione attrezzati socialmente e persino psicologicamente.
Al di là degli aspetti epidemiologici e sanitari – sui quali comunque la certezza è poca stante i dissidi tra gli stessi virologi a telecamere accese, le contraddizioni delle indicazioni nelle varie fasi e l’epistemica per definizione probabilistica delle rilevazioni statistiche e delle verità esatte e definitive in un sapere come quello medico che scientifico non è – la pandemia ha origini anche sociali legate ad un letteralmente micidiale modello di sviluppo delle società capitaliste: sfruttamento intensivo delle materie prime, specie alimentari, industrializzazione irrispettosa dell’ambiente, insostenibilità della corsa spasmodica al profitto costi quel che costi, forza lavoro ormai ridotta a vuoto a perdere, e via dicendo. A osservare le discussioni scatenate dalla pandemia a livello mondiale, non sembra che tali cause siano al centro dell’attenzione delle società colpite, le quali si difendono come possono, secondo le direttive delle élites di governo e secondo lo stile politico dei vari regimi politici coinvolti (incluse le leadership negazioniste o minimizzatrici per non disturbare il business).
Una critica delle politiche di governo tese a contenere gli effetti diffusivi del contagio virale dovrebbe proprio muovere dal contesto capitalistico che è all’origine dell’attuale modello di sviluppo globale, nonché dai paradigmi della politica statuale che, in solitudine o concertata con altri partner, predica prudenza e razzola irresponsabilità. Era infatti ovvio che i tagli alla sanità, all’istruzione, ai trasporti, alla manodopera attuati con fermezza nei decenni scorsi di austerity funzionale all’accelerazione vorticosa dei profitti del finanz-capitalismo (secondo l’espressione incisiva di Gallino) non possano essere superati dalle promesse del Ricovery Fund di là da venire (se verrà) e degli altri strumenti di sostegno promessi dalle istituzioni europee nella loro complessa architettura, all’interno delle compatibilità politiche dell’Unione Europea, e con la pachidermica lentezza delle burocrazie statali. Peraltro in questi mesi tali risorse resesi disponibili in deficit sono state mal impiegate, sicuramente non dove servivano urgentemente, addirittura accumulate in funzione di lobbies economiche non ancora pronte ad accaparrarsele.
La crisi sociale innescata dall’interruzione di alcune attività lavorative, specialmente nel mondo dei servizi (come se nelle fabbriche industriali il virus non si diffondesse alla medesima stregua che nei bar o nei cinema), lascia sul lastrico intere famiglie alla mercé di sostituti di reddito quali la criminalità organizzata o lo strozzinaggio legale delle banche. Da qui la richiesta di un nuovo Welfare State con i fondi europei che diviene la parola d’ordine di ogni sommossa popolare (più o meno spontanea, più o meno infiltrata da mafie varie, più o meno strumentalizzata dall’estrema destra). Così si riafferma la legittimità dello stato a riproporre politiche che per nulla incidono sugli assetti politici e economici del sistema capitalista e, soprattutto, nulla fanno per porre un rimedio se non temporaneo e episodico, sino alla fine della crisi pandemica, quando tutto ritornerà come prima. Mentre sarebbe altamente auspicabile che nulla ritorni come prima, ma in una direzione di liberazione dal modello capitalistico e dai parametri di governo statuale, a favore di pratiche autogestionarie in ogni dimensione della vita collettiva. Ma si sa, gli anarchici sono utopici per definizione….
Proprio il criterio della liberazione dalle origini reali della crisi pandemica serve da discrimine per capire come mai, paradossalmente e ironicamente, ma anche amaramente, sia l’estrema destra nel suo complesso arcipelago a farsi portavoce rumorosa dell’istanza di libertà dalle restrizioni imposte dai Decreti governativi, di libertà di circolazione, di libertà dai vari coprifuochi, di libertà di impresa, di riunione, di associazione, di protesta. Insomma una istanza “libertaria” a prima vista, che contrasta fragorosamente con l’insufficiente contrasto “da sinistra” della crisi pandemica, anch’essa da anni degradata a inseguire i ritmi del Giano stato-capitale, spesso cercando di orientarlo in senso progressista. Invano, beninteso, visto che le politiche neoliberali sono state condotte anche dai governi cosiddetti di sinistra (Mitterand, Clinton, Craxi, Amato, Prodi, D’Alema, oltre ai governi di destra di Reagan, Thatcher e compagnia varia).
La destra neofascista ha una idea di libertà tutto irreggimentata nel binomio “Law and Order”, per cui la richiesta a gran voce di “libertà” è meramente strumentale, non solo in chiave elettorale di consensi per eventuali prossime elezioni, ma anche per tessere un consenso sociale utile per colpi di mano, per pericolose avventure liberticide, caso mai lo schieramento di centro-destra dovesse ritornare al governo. Peraltro, nel pensiero se vogliamo astratto del liberalismo e nelle sue pratiche, la libertà nata dalle rivoluzioni anti-assolutiste nell’Inghilterra del XVII secolo e nella Francia del XVIII secolo è inquadrabile nel contesto di liberazione delle monarchie che drenavano capitali e risorse verso rendite fondiarie non più appetibili per una nuova classe emergente, la borghesia mercantile e industriale, per la quale la libertà di sfruttamento di intere nazioni colonizzate, di vaste materie prime inorganiche, di immani vite schiavizzate si conciliava puntualmente con il nuovo business capitalista che necessitava di nuove élites di governo e quindi di nuove forme di governo. Allora libertà innanzitutto dal passato politico da relegare in soffitta, anche al prezzo di rivoluzioni e teste mozzate, e poi libertà di poter organizzare la vita sociale entro leggi di mercato funzionali al profitto, allo scambio mercificato anche del lavoro vivo, dei traffici coloniali e via continuando. L’unico soggetto a godere di tale politica è l’individuo sovrano, dotato di diritti e obbligazioni nei confronti del potere legittimo. È storia nota.
Ben diversa la libertà intesa a sinistra dalla parte antiautoritaria, giacché quella autoritaria si prefiggeva unicamente di sostituire la borghesia con una nuova élite di governo redistribuendo oneri e onori e soprattutto poteri e privilegi economici in favore di ceti politici che unificavano a sé le forze economiche. Anche questa storia è nota, e per di più attuale se osserviamo le politiche cinesi del Partito unico che regge le fila del governo e dei processi economici e finanziari. La nostra sinistra anarchica invece ha una idea ben diversa di libertà: la libertà del singolo individuo si nutre di una libertà solidale a livello collettivo e plurale, essa si rivela responsabile nei confronti del proprio simile al quale si rapporta non uti singuli indifferente ai legami associativi, bensì proprio solidalmente perché ognuno è anche altro a sé stesso e al proprio simile. La libertà anarchica è conflittuale verso l’esistente illibertario, non si accontenta di monetarizzare le proprie istanze (tipica mossa da Welfare State), ma le rivendica in senso qualitativo come radicale trasformazione della forma di vita in cui produzione e redistribuzione di risorse, reddito, servizi siano concepite in modalità differenti, partecipative, autogovernantisi, orizzontali nelle decisioni e secondo un federalismo dal basso verso l’alto che si rivela inconciliabile con l’attuale relazione statuale tra governo centrale e entità di governo locale, nonché tra governo e rappresentanze istituzionali delle parti sociali coinvolte nella governance statuale della società.
Insomma, una idea ben diversa di libertà da annodare insieme nella pratica conflittuale del quotidiano, differenziandosi dalla concezione strumentale della libertà legata al business compatibile con lo status quo.

Salvo Vaccaro

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