IL TEMPO DELLA RIVOLTA

Libertà. Oltre la pandemia, lo Stato e il Capitale

La gestione della pandemia ha mostrato il servilismo di tutti i governi agli interessi del capitale; la principale preoccupazione è stata per le attività produttive: che non si fermassero o riaprissero al più presto. Del resto è stata sempre questa la loro missione: assoggettare ogni società, ovunque nel Mondo, alle logiche produttiviste, mercantiliste, liberiste, e spogliarla del diritto alla difesa da malattie, pandemie, disgrazie varie che le stesse logiche producono sottomettendo l’ambiente alla ricerca del profitto a tutti i costi e con ogni mezzo, precipitando la popolazione mondiale verso il disastro ecologico, oggi la minaccia più seria alla sopravvivenza della specie umana.
Se qualcuno dovesse essere accusato di negazionismo sono proprio loro: i governi, da quelli delle istituzioni internazionali ai più modesti delle Regioni, per aver posto in secondo piano gli effetti della pandemia sulla popolazione, truccando i numeri, facendo pressioni perché i profitti dei padroni venissero sempre davanti a tutto. E’ grazie all’opera di questi servi del capitale se oggi si contano centinaia di migliaia di morti nel Mondo, se il virus ha trovato le porte aperte per irrompere nelle vite di milioni di persone: ambienti inquinati, circolazione globale delle merci, strutture sanitarie chiuse o ridotte al minimo, attività produttive sempre attive.
Una pandemia gestita secondo le leggi economiche e finanziarie che governano il Mondo e che sono causa della pandemia stessa; di questa e delle altre che seguiranno. Essa è il campanello d’allarme (l’ultimo?) di una deriva forse irrimediabile.
Per questo è necessario e urgente avere una visione dei rimedi che vada oltre il presente, che ci porti a rifuggire da tutti quei provvedimenti prigionieri delle logiche economiche del sistema capitalistico, interni ai parametri di compatibilità con lo stesso, anche quando sembrano esserne alternativi. Il sistema ha dimostrato di sapere appropriarsi e digerire quanto gli si contrappone, figuriamoci se le risposte ai suoi danni si sviluppano già da presupposti omologati alle sue dinamiche, come l’uso più egualitario delle somme del “recovery fund”, o certi timidi interventi in materia di conversione ecologia, o addirittura l’innovazione tecnologica come risposta d’avanguardia alla crisi. Sostenere questo significa solo scavarsi la tomba con le proprie mani, autogestire la propria sconfitta e condannasi all’autodistruzione.
Su ambiente e disuguaglianze, i veri temi che la pandemia ha posto al centro dell’attenzione, non ci possono essere soluzioni tampone, compatibili col sistema. Questo riformismo dall’alto, questa illusione che le istituzioni (governi, banche, finanza, organismi internazionali) possano adottare misure radicali per “governare” il disastro che hanno compiuto, sono deleteri ed estremamente pericolosi. Le istituzioni, con i loro uomini e i loro strumenti, hanno massacrato società e popolazioni imponendo la feroce cura liberista che ha allargato la forbice tra ricchezze e povertà come mai nella storia dell’umanità era accaduto. Da cui non si esce con cure palliative.
E’ giusto partire da tutti coloro che in questo momento pagano il conto più salato, perché escano intanto dalla situazione disastrosa in cui si trovano. E perché vengano sottratti alle strumentalizzazioni che in questo momento forze falsamente antagoniste al sistema, in realtà ad esso contigue, esercitano con facilità e imponente dispiego di mezzi. Stare con gli ultimi significa contribuire alla rivolta sacrosanta di chi non ne può più, sforzandosi di indirizzarla contro i veri responsabili della loro condizione, mettendo al centro i bisogni e mostrando i rischi della cultura economiciste e produttiviste. Solo così si potranno spiazzare fascisti e populisti, lanciatissimi nell’opera di corruzione della rabbia popolare; rabbia che invece va nutrita di idee ed obiettivi sani capaci di spostarla su un terreno antisistemico non recuperabile dai cani da guardia del capitale.
La libertà che da molte parti si invoca non può essere confusa con quella egoistica, consumistica, individualistica, desolidarizzante e proprietaria della destra, emblema del liberismo classico. La stessa sinistra su questo terreno si trova in forte difficoltà, poiché ha sempre considerato la libertà un “pregiudizio borghese”, in virtù di una misera visione delle cose che l’ha portata ad essere più realista del re, più liberale dei padroni, e a gestire le miserie del presente con servile e miserabile senso del dovere. La sinistra in realtà ha paura della libertà. Ed è questo un punto fondamentale su cui si giocano gli equilibri dell’attuale questione sociale.
La nostra libertà è solidale e mutualistica, mette al centro l’eguaglianza sociale, ecologica e di genere, la critica dei privilegi e del potere e delle forme con cui si manifestano e impongono: stati, eserciti, polizie, istituzioni politiche ed economiche. Esigere questa libertà vuol dire combattere per questi obiettivi e contro questi avversari.
Ma occorre ricondurre tale metodologia e tale visione ad obiettivi strategici semplici, facili, comprensibili e radicali nello stesso tempo, capaci di far comprendere il legame indissolubile tra essi e la condizione specifica di ogni individuo o segmento di classe sociale. Perciò va messo in discussione il modello produttivo e le sue nocività, costruendo la consapevolezza che sull’ambiente non c’è più tempo da perdere. O forse, addirittura non c’è più tempo. Da qui l’urgenza di riappropriarsi di una concezione mutualistica della vita sociale, in cui i servizi tutti e i beni essenziali devono essere espropriati alle forze del capitale e ricondotti ad una gestione dal basso, popolare e comunitaria. Una rivolta, tante rivolte, per la riappropriazione del cibo, dell’acqua, dell’energia, dell’istruzione, della salute, degli alloggi, ed una loro gestione decentrata e federalista, è oggi il modo per affermare la libertà dei popoli contro il liberismo imperante, punto centrale di una “piattaforma” di lotta a questo sistema iniquo e distruttivo. Questo vuol dire rilanciare la necessità di un modello sociale antistatale, autogestito, come prospettiva di un percorso che oltre a portarci fuori dalla crisi pandemica ci spinga verso chiare soluzioni di cambiamento.
La scommessa oggi è inquadrare il generale nel particolare, leggere i problemi specifici come parti di un assetto sociale globale che va rifiutato, combattuto, cambiato; la questione tecnologica come minaccia alla libertà di pensare ed esistere; l’equilibrio del terrore fondato sulla rapina delle risorse altrui, portato avanti con guerre, trattati, imposizioni, che producono diseguaglianze, devastazioni, disastri ambientali e sociali; la concezione di un mondo senza frontiere (di cui il virus ha dimostrato l’inconsistenza) e senza militarismo; la consapevolezza di un internazionalismo dei popoli contro la globalizzazione del capitale e i suoi velenosi frutti distruttivi.
Il tempo della libertà coincide con quello della rivolta e dell’anarchia, cioè del coraggio dell’utopia e della pratica dell’indipendenza del pensiero e delle lotte da ogni influenza autoritaria, da ogni scoria statalista, da ogni forzatura che porti a confondere il processo di riappropriazione e di liberazione con una chiusura egoistica e localistica.
E’ il tempo del coraggio e delle scelte: di chiamare le cose col loro nome; dell’onestà di ammettere il fallimento di ideologie e progetti di liberazione improntati su miti totalitari, centralistici, produttivistici, patriarcali, e di considerare e fare proprio il grande patrimonio anarchico che ha sempre coniugato, nella prassi come nelle idee, libertà ed eguaglianza, rivolta e utopia.

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