Biden e noi

L’euforia che ha investito molti ambiti democratici e di sinistra nostrani in seguito alla faticosa elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti, scacciando l’incubo Trump, sta infettando come un nuovo virus, con “variante statunitense”, il senso critico e la capacità di analisi anche di chi ha mostrato in altri tempi un approccio intelligente alle questioni legate agli USA. L’uscente presidente ha fatto un gran favore alla nuova leadership, concedendogli la possibilità di presentarsi come l’incarnazione del bene e della vera democrazia, occultando la sostanziale affinità tra democratici e repubblicani su questioni fondamentali quali l’interventismo militare nel Mondo, l’asservimento alla grande finanza e alle lobby economiche (che pagano le campagne elettorali) e l’essere entrambe due facce, non molto dissimili, del neoliberismo.
E’ vero, Trump ha esasperato i tanti contrasti della società americana: la mancata integrazione delle popolazioni immigrate o delle “minoranze” di colore; il razzismo; il calo del reddito delle fasce sociali intermedie; la frattura tra aree rurali e metropoli; la lontananza della politica dalla realtà. Ha sfruttato anche malesseri reali dando copertura agli istinti più conservatori fornendo numerosi assist alla galassia fascista e xenofoba. Ma è anche vero che questa situazione era andata sviluppandosi nel corso degli anni, sotto amministrazioni anche democratiche, e la crisi pandemica non ha fatto altro che farla esplodere (complice anche la gestione del tutto inadeguata che ne ha fatto Trump).
Il giorno dell’insediamento del neopresidente, i cacciabombardieri USA scaricavano ordigni in Somalia, in una guerra di cui si parla poco, ma che gli USA alimentano anche con lo scopo di contenere la presenza cinese in Africa. Con questo messaggio Biden offre una garanzia di continuità alle strategie imperialiste, sicuramente più forte e coerente di quanto non abbia fatto Trump.
Tra parentesi, non dimentichiamo che il MUOS, contro cui lottiamo in Sicilia, è stato progettato sotto amministrazioni diverse (Bush padre, Clinton) ed installato sotto Obama, la cui amministrazione, di cui Biden è stato vicepresidente per otto ani, ha gestito la fase saliente dello scontro che abbiamo costruito.
Il neo presidente è stato entusiasta fautore dell’invasione dell’Iraq (2003), dell’occupazione dell’Afghanistan e dell’aggressione israeliana ai palestinesi. Questo spiega perché la “nuova” squadra di Biden nel Dipartimento della Difesa sia affollata da uomini provenenti da organizzazioni finanziate dalle principali industrie di armamenti come la General Dynamics Corporation, la Raytheon, la Northrop Grumman Corporation, la Lockheed Martin Corporation e da compagnie petrolifere, tutte società notoriamente esposte in prima linea nelle guerre in Afghanistan, Iraq, Somalia, Yemen, che rappresentano i loro più floridi mercati, dove, non a caso, i droni assassini e gli ordigni portano i loro marchi. Altre figure del team di Biden provengono dal Centro per gli studi strategici e internazionali (CSIS) e dal Center for a New American Security (CNAS), agenzie finanziate dalle industrie di armi e del petrolio; il secondo ha anche finanziato la campagna elettorale della vicepresidente Kamala Harris, su cui stiamo leggendo analisi raggianti solo per il fatto che sia una donna. Altri funzionari provengono da RAND Corporation, un think tank finanziato dall’esercito, altri sono al soldo di New America, una “Rete nazionale di problem-solvers innovativi”, che riceve finanziamenti da Raytheon, Northrop Grumman, General Atomics Aeronautical Systems e US Army War College; altri ancora da CACI International, che fornisce tecnologia informatica per i sistemi d’arma militari statunitensi. E ancora: personaggi provenienti da società di software militare, o di “prevenzione” di attacchi nucleari, o di aree schierate con il radicalismo israeliano.
Il fascismo fomentato da Trump, le sue prese di posizione contro la crisi climatica, il tracollo dell’occupazione, hanno permesso a Biden di presentarsi come l’alternativa, ma tutto ciò ha oscurato la questione militare, sempre centrale nelle politiche estere degli USA e fondamentale per le ricadute economiche e sociali nella stessa politica interna.
Noi, che siamo vittime delle strategie imperialiste degli Stati Uniti, da oggi dobbiamo essere consapevoli che la nostra resistenza avrà maggiori difficoltà a causa dell’entusiasmo imbecille che circonda la presidenza Biden-Harris.

Pippo Gurrieri

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