Delitto di lesa umanità

Vaccini. La proprietà dei brevetti è un furto

Molteplici sono le incertezze che caratterizzano l’attuale pandemia, con notizie e dichiarazioni che si susseguono amplificandosi, salvo poi venire smentite dai fatti. Tra tante incertezze, riguardanti la campagna vaccinale e i vaccini, ci sono però almeno due certezze.

La prima, sui vaccini c’è chi ci sta guadagnando ed anche parecchio. Il profitto legato alla sola vendita delle dosi nel 2021 si prevede che si aggirerà tra i 50 e i 100 miliardi di dollari, tenendo conto del fatto che la popolazione mondiale è di circa 8 miliardi di individui che avranno bisogno di due dosi (per la maggior parte dei vaccini e forse anche tre per coprire le varianti) e che il costo delle singole dosi oscilla dai pochi dollari di AstraZeneca ai 15-20 dollari di Pfizer e Moderna. Poi c’è il giro d’affari legato ai valori azionari, le borse mondiali a novembre 2020 hanno registrato un rialzo mensile record proprio grazie ai vaccini; in particolare AstraZeneca a novembre ha segnato un + 11% e Pfizer un + 10% mentre Moderna ha un titolo che in un anno è passato da 19 a 127 dollari e un fatturato trimestrale che da 17 miliardi è arrivato a 158 miliardi.
Inutile dire che i guadagni sono stati sostanziosi anche per gli amministratori delegati, i manager delle case farmaceutiche e gli investitori. Il fondatore e amministratore delegato di BioNTech, Ugur Sahin, ha guadagnato, come riportato da Cnbc, 4 miliardi e 8 miliardi ciascuno hanno guadagnato i fratelli Strungmann, primi investitori di BioNTech. Secondo un’analisi dell’Institute for policy studies il patrimonio di 650 miliardari statunitensi è cresciuto di mille miliardi rispetto al marzo 2020, cioè del 34%, tra questi anche il presunto filantropo Bill Gates. Il mondo è dunque in bianco e nero solo per alcuni di noi, per altri continua ad essere a colori … e che colori!

La seconda certezza è che nascere in uno stato o in un altro può fare la differenza e la pandemia ha reso ancora più palese, oltre che tragico, questo fatto. Negli stati privilegiati infatti si discute su come ottenere dalle case farmaceutiche le dosi di vaccino promesse e di come fare per somministrarle nel più breve tempo possibile; anche se non tutti gli stati sono nelle stesse condizioni, infatti si va dal 115,19% di vaccinati di Israele, all’82,24% degli Emirati Arabi Uniti, al 51,82% del Cile, al 50,26% dell’Inghilterra e al 43,6% degli USA per poi passare al 17,15% dell’Austria, al 16,19% della Spagna, al 15,98% dell’Italia, al 15,36% della Germania e al 15,34% della Francia (dati al 29/03/2021, secondo Our World in Data). Nelle nazioni svantaggiate invece la somministrazione non è ancora cominciata o le dosi distribuite sono irrisorie, tanto che si prevede che, nel migliore dei casi, a metà anno si potrà vaccinare solo il 3% della popolazione e il 20% a fine anno. Tutto questo mentre il vissuto quotidiano dimostra che nei casi di pandemia la chiusura dei confini, siano essi regionali o nazionali, non blocca la diffusione del virus e la soluzione o è globale o non esiste.
Come se non bastasse è del 12 marzo il rifiuto della conferenza ministeriale del WTO di concedere una deroga alla brevettabilità dei vaccini e delle terapie anti-covid e di sospendere i diritti di proprietà individuale; richiesta avanzata, il 2 ottobre 2020, da Sudafrica ed India più un altro centinaio di stati e appoggiata da moltissime associazione e organizzazioni umanitarie oltre che ribadita dal presidente dell’Oms, Adhanom Ghebreyesus. Tra gli stati che hanno bocciato l’istanza ci sono: USA, Gran Bretagna, Unione Europea compresa l’Italia, Svizzera, Giappone, Australia, Canada, Norvegia, Brasile. Cioè quegli stati che si sono assicurati, salvo poi dover fare i conti con la mancata produzione, il 70% delle dosi di vaccino. Si sa anche che sono state esercitate pressioni, dalle associazioni industriali del settore farmaceutico con in testa Pharma, Pfizer, AstraZeneca e Johnson&Johnson, sul governo statunitense affinché la richiesta venisse rigettata, adducendo come motivo il fatto che i vaccini sono stati messi a punto grazie all’innovazione e l’innovazione è possibile solo in virtù dei diritti di proprietà individuale. Invece la richiesta di Sudafrica ed India, di rendere una risorsa pubblica i vaccini e tutte le informazioni riguardanti l’attuale pandemia, si fonda sulla constatazione che pubblica è stata la ricerca che ha permesso di individuare il virus e pubblici sono stati i finanziamenti che hanno consentito ai laboratori farmaceutici privati di produrre le tecnologie che oggi rivendono, facendoseli pagare una seconda volta.
La lobby del farmaco ha ottenuto infatti, secondo uno studio della fondazione senza scopo di lucro Kenup, 93 miliardi di fondi pubblici di cui il 32% dagli USA, il 24% dall’UE e il 13% da Giappone e Corea del Sud; 86,5 miliardi di questi sono serviti, tramite l’advance market commitment (impegno di mercato anticipato), a finanziare la messa a punto delle terapie vaccinali. La richiesta deriva inoltre dalla consapevolezza che agli interessi economici si dovrebbe anteporre la tutela della salute della popolazione mondiale e dalla constatazione che agire su un fronte comune è l’unico modo per cercare di arginare questa pandemia. Del resto anche il WTO prevede la possibilità, per i paesi in via di sviluppo e in caso di necessità, di derogare ai brevetti ed è ciò che si è già fatto per le cure anti-AIDS.
Al punto in cui siamo le domande urgenti che non trovano risposta diventano sempre di più. Riusciranno le terapie vaccinali a farci uscire dall’attuale situazione di emergenza, come da più parti si affannano a dirci? E se veramente i vaccini sono la soluzione, perché non li si rende disponibili al maggior numero di persone possibili? E perché non si sta facendo quasi niente per la messa a punto di terapie che possano per lo meno diminuire il numero di morti? E, cosa ancora più importante, perché nessuno parla né tanto meno agisce per affrontare le cause che hanno scatenato la pandemia?

Brunella Missorici

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