Gli Arditi del Popolo a Palermo

Una targa affissa il 24 aprile scorso nel luogo dov’era la Camera del Lavoro sindacalista di via Lungarini, in cui si riunivano nel 1921 gli anarchici e i repubblicani rivoluzionari di Palermo, intende ricordare i 100 anni dal primo episodio di lotta armata al fascismo in quella città.

Nel Luglio di quell’anno, il fascismo in Sicilia era ancora debole (il mese dopo, anche tra le file della destra nazionalista, c’era chi scommetteva sulla sua imminente scomparsa) e alla ricerca di popolarità. Ancor più a Palermo, dove uno scossone bene assestato avrebbe potuto mandarlo all’aria. Da qualche mese, unitamente ai nazionalisti, in concomitanza con le elezioni politiche di Maggio, aveva iniziato a Palermo una campagna contro il caroviveri, che non ebbe particolare successo anche perché si limitava all’autoriduzione della spesa nei piccoli esercizi. Passò quindi, come in altre parti dell’Isola, alle aggressioni e alle insolenze squadristiche nei confronti dei militanti dei gruppi politici di sinistra. Alla vigilia del 1° maggio arrecò un duro colpo alle organizzazioni proletarie distruggendo la sede della F.I.O.M., contigua alla Camera del lavoro di via Lungarini. I fascisti, nonostante la presenza delle Guardie Regie, riuscirono a penetrare dal balcone e la incendiarono: la sindacalista socialista Maria Giudice ed una figlia, che ne erano ospiti, si salvarono calandosi in strada con delle lenzuola. Alcuni dei fascisti in fuga vennero tuttavia intercettati, bastonati dagli operai e consegnati alla polizia. L’indomani 1° maggio seguirono altri scontri che portarono all’arresto di quattro operai e allo sciopero generale che, il 2 maggio, paralizzò la città. Il 24 maggio c’era stato un altro tentativo di irruzione all’università, prontamente respinto dagli studenti comunisti. I fascisti avevano perciò ripiegato sui pubblici ritrovi dove emettevano grida, cantavano inni, imponevano alle orchestre di suonare Giovinezza, ecc… Chi protestava veniva malmenato. Il primo a farne le spese era stato un comunista, Romeo Castellana, che tuttavia, difendendosi a pugni e botte contro le rivoltelle puntategli contro, era riuscito da solo a mettere in fuga i suoi assalitori. L’episodio venne commentato dall’Artigliere (alias Paolo Schicchi) sul “Vespro Anarchico” del 20 agosto (che si pubblicò in ritardo per la carcerazione subita dal redattore responsabile, Gabriele Pappalardo, di cui diremo). L’Artigliere invitava i giovani comunisti di Palermo a collaborare con le forze antifasciste per organizzare gli “Arditi del popolo” anche a Palermo, come si stava facendo in altre città d’Italia e dell’Isola, “ma a condizione ch’essi siano l’espressione di tutto il proletariato in armi, i soldati della rivoluzione sociale, l’avanguardia di tutti i ribelli e non mai i giannizzeri d’una despotia orientale, i mammalucchi d’una dittatura militaresca, i cosacchi d’un conte di Culagna in sessantaquattresimo, i poliziotti di una fazione rossa”: come si espresse nel suo linguaggio immaginifico. “Persuadetevi una buona volta – continuava – che la rivoluzione sociale non sarà possibile se tutte le forze proletarie veramente ribelli non combatteranno unite”.

Nello stesso numero del giornale si dava conto di quanto nel frattempo era accaduto. Su proposta del gruppo anarchico palermitano, il 22 luglio era stata deliberata dai comunisti, nella Camera del Lavoro di via Maestri d’Acqua, da loro egemonizzata, la nascita di tre squadre d’azione, prima fase per la successiva costituzione della sezione degli “Arditi del popolo” (o “Arditi Rossi” – che però erano tutt’altra cosa – come titolava il giornale). Il 25 luglio vi era stato un primo scontro a fuoco in Piazza Alberigo Gentile, in seguito al quale due fascisti erano rimasti feriti. Così Paolo Schiccchi racconta l’episodio: “Un manipolo di giovani, di giovani ferventi d’ideali, non di criminali stipendiati, pensò di difendere e di difendersi (…), si costituì in numerosa legione, non per provocare ma per difendersi (…) Aveva affrontato i fascisti e li aveva messi in fuga come tante carogne a bastonate ed a sputacchiate. Vi furono dei feriti. L’indomani sera, dopo il conflitto di Piazza Alberigo Gentile, la P.S. circondò la Camera del lavoro. Quando i giovani entrarono, fece largo e li lasciò passare indisturbati; ma all’uscita tese loro l’imboscata, l’accerchiò (erano una ventina) e li portò in questura. Dopo perquisitili ed interrogatili, ne rilasciò una parte trattenendo i caporioni. Il compagno Gabriele Pappalardo, redattore responsabile del nostro giornale, venne arrestato dopo, da solo, mentre si avviava verso la Camera del Lavoro. Portato in questura e perquisito con esito negativo, fu ciò nonostante trattenuto e l’indomani tradotto in carcere (…) L’indomani dell’arresto del compagno Pappalado, gli fu perquisita la casa, pur con esito negativo. Ma il corpo del reato doveva trovarsi ad ogni costo: i libri. Fra questi ve n’era uno da me dedicato a lui in occasione delle sue nozze: Così parlò Zarathustra di Federico Nietzsche. Il reato c’era: il libro (…) La pubblica sicurezza lavorò quattro intere giornate per formulare l’accusa: i giovani Pappalardo, Drago, Corallo, Sturiani, Albegiani, Fardella, Librizzi (padre e figlio), Maramanni sono imputati, secondo la P.S., di mancato omicidio in persona dell’ex tenente Corrao, e per la magistratura inoltre per lesione reciproca con i fascisti (…) Alla questura importava, pur sapendo che verso gli arrestati non c’era luogo a procedere, di arrestarli, per incarcerarli e distruggere il movimento iniziato, e far subire loro un po’ di carcere preventivo”.

Anche Gladiator (alias Gaspare Cannone), in una corrispondenza inviata a “Umanità Nova” il 9 settembre, riteneva che il questore di Palermo stesse usando come pretesto lo scontro con i fascisti “per togliere dalla circolazione coloro che già da parecchio tempo sono presi di mira” a causa dello sviluppo considerevole che “a Palermo, il movimento sovversivo, da alcun tempo in qua prendeva (…) e la pubblicazione dei numeri del Vespro Anarchico molto vi contribuiva”. La polizia, in particolare, se l’era presa con Gabriele Pappalardo “nella sua qualità d’indomito difensore della classe dei sarti”, di cui aveva recentemente condotto uno sciopero vittorioso, e gerente del “Vespro Anarchico”, e contro “il giovane mutilato di guerra ex tenente Albiggiani (…) puro repubblicano”.

Le carte della Questura di Palermo, che riceveva notizie “confidenziali” dettagliate dall’interno della stessa Camera del Lavoro di Via Maestri d’Acqua, e le ricerche di Giuseppe Micciché, Marco Rossi ed Eros Francescangeli, rendono il quadro un po’ più complicato.

L’idea di costituire squadre di “Arditi del popolo” era venuta paradossalmente, fin dal 1° giugno, ai socialisti palermitani, che avevano pensato di far venire in Sicilia l’onorevole Mingrino, uno degli esponenti nazionali dell’organizzazione. Ma poi vi avevano rinunciato, essendo il partito socialista impegnato nella stesura del patto di pacificazione coi fascisti che sarà in vigore dal 3 agosto. Erano stati quindi gli anarchici a sponsorizzarla, trovando nei giovani comunisti un terreno favorevole, specialmente dopo che Antonio Gramsci, sull’ “Ordine Nuovo” del 15 luglio e dei giorni successivi – superando le diffidenze della direzione bordighista del partito -, si era mostrato possibilista nei confronti della nuova organizzazione. Il 17 e il 22 luglio i comunisti tennero sull’argomento due riunioni consecutive – i cui verbali furono successivamente sequestrati dalla polizia – dove si affrontarono tre linee divergenti, quella di Simone Fardella (favorevole alla costituzione degli “Arditi del popolo”); quella di Gaetano Canino (che proponeva di “infiltrarsi” nel movimento per trascinarlo su posizioni comuniste); e quella del segretario della sezione Filippo Greco che rimaneva legato alla linea ufficiale bordighista: si sarebbero dovute costituire “squadre d’azione” esclusivamente fra i comunisti. Alla fine, si trovò una formula di compromesso (“costituire le squadre d’azione comuniste; non ostacolare né disinteressarsi della istituzione degli Arditi del Popolo”) e s’indisse una riunione per lunedì 25 luglio per la definitiva costituzione delle squadre. Dei 95 tesserati che contava il Partito a Palermo, se ne presentarono alla riunione del 25 luglio, alle ore 20, circa la metà. A questi si aggiunsero i rappresentanti dei gruppi anarchici e repubblicani, che si era deciso d’invitare dopo le manifestazioni di protesta inscenate dai fascisti nel fine settimana a seguito dei fatti di Sarzana del 21 luglio, che, mentre da un lato avevano galvanizzato le forze popolari, dall’altro lasciavano presagire una recrudescenza di assalti alle sedi operaie. Dopo gli interventi, nell’ordine, di Filippo Greco, Simone Fardella, Angelo Drago, Gabriele Pappalardo, Gioacchino Di Liberto, Placido Corallo e Calogero Librizzi, fu decisa la costituzione degli “Arditi del Popolo”, “imitanto, in tal modo, ciò che si è fatto in diverse città del continente – si legge nella relazione trasmessa dal questore al prefetto di Palermo il 26 luglio -. Tali Arditi del Popolo sarebbero divisi in tre squadre dirette, ciascuna, da un comandante e da un sotto comandante. Ad incitamento del Fardella stabilirono di far guerra senza quartiere ai fascisti ed alla borghesia. Alla fine fecero qualche evoluzione nei corridoi della Camera del Lavoro, dopo di che si sciolsero allontanandosi a piccoli gruppi. Ma successivamente, sempre alla spicciolata, pervennero in circa trenta in Via Libertà, all’altezza di Via Notarbartolo, dove si riunirono dirigendosi verso la Piazza Alberico Gentile. Quivi poco dopo convennero pure piccoli gruppi di fascisti, come nelle sere precedenti: allora i comunisti, notato il movimento, si appiattarono dietro gli alberi in prossimità della via Cantieri, ciò che fu rilevato dai fascisti. I due gruppi allora impegnarono una violenta brevissima mischia, durante la quale furono esplosi dei colpi di arma da fuoco. Con l’immediato intervento della Forza Pubblica i rissanti si sbandarono e non fu possibile raggiungerli. Rimasero feriti i fascisti Corrado Achille, ex tenente degli Arditi, che riportò lesione di arma da fuoco alla spalla destra guaribile in giorni dieci e lo studente Dragotto Angelo di Carmelo, di anni 18, che riportò ferita lacero contusa alla regione parietale destra guaribile in giorni otto. Ignorasi se vi sia qualche altro ferito”. Il “Giornale di Sicilia”, che nel numero del 26-27 luglio dava notizia della costituzione del “primo gruppo degli Arditi del Popolo”, riportava anche che il conflitto, avvenuto alle 23, aveva prodotto quattro feriti tra i fascisti (ne verrà individuato solo un altro, Antonio Di Marco) ed uno tra i comunisti.

Il 26 luglio, alle 13, per rappresaglia, i fascisti (una ventina secondo la Questura) tentarono di assaltare la Camera del Lavoro di via Maestri d’Acqua (ironia della sorte: proprio mentre gli organismi direttivi delle due Camere del Lavoro, quella confederale di via Lungarini e quella di via Maestri d’Acqua, emanavano un comunicato in cui sconfessavano l’azione violenta del giorno prima), ma vennero “allontanati” dalla polizia (i fascisti che venivano “fermati” in quel periodo erano subito rilasciati a piede libero).

Per organizzare un’ulteriore risposta da parte delle forze di sinistra venne indetta d’urgenza una nuova riunione, quella sera stessa, alla fine della quale saranno arrestati dalla polizia e deferiti, il 29 luglio, all’Autorità Giudiziaria: “Fardella Simone, fu Paolo, agente postale, comunista; Pappalardo Gabriele fu Antonio, sarto, anarchico, Albeggiani Arturo di Giovanni, studente, repubblicano; Drago Angelo di Mariano, agente postale, comunista; Corallo Placido, fu Francesco, elettricista, comunista; Librizzi Calogero di Leopoldo, comunista; Rosciglione Antonio di Salvatore, disoccupato, comunista; Sturiano Giuseppe fu Sebastiano, avventizio presso la Delegazione del Tesoro, comunista; Maramaldo Giuseppe, fu Onofrio, venditore ambulante, comunista”. Il presidente del Consiglio Bonomi e il Guardasigilli Rodinò davano intanto agli organi periferici dello Stato e alla Magistratura precise istruzioni per reprimere e tenere in carcere il più a lungo possibile gli “Arditi del Popolo”; vi aggiungeranno il D.L. del 2 ottobre (“Proibizione dei corpi armati”) e la Circolare del 21 dicembre 1921 in cui ne ordinavano lo scioglimento. La sezione palermitana degli “Arditi del Popolo”, appena costituita, subiva per di più il boicottaggio del nuovo comitato esecutivo del partito comunista, diffidato a far ciò dalla dirigenza nazionale (conscia delle difficoltà che incontrava ogni suo tentativo di egemonia), seguita a ruota dai vertici dei socialisti terzinternazionalisti e dei repubblicani. Senza l’apporto dei comunisti, e con i suoi maggiori sostenitori in carcere o  perseguitati e minacciati di arresto, la sezione palermitana si sciolse da sé, a differenza di alcune sezioni della Sicilia orientale, animate perloppiù da libertari, come quella di Catania che giunse ad avere 400 componenti e durò, tra le più longeve in Italia, fino all’ottobre 1922.

Gli arrestati palermitani del 26 luglio vennero rilasciati il 26 ottobre, dopo tre mesi di carcere preventivo, per insufficienza di indizi. “Prima di lasciare il carcere – scrive il “Vespro Anarchico” del 6 novembre – i liberati furono fatti segno ad una grande ovazione da parte dei detenuti, memori delle difese che i nostri compagni prestarono in loro favore contro gli abusi degli aguzzini”. Tra questi ultimi vi erano altri due anarchici, arrestati mesi prima, Joe Russo, detto l’”Unico” e Gaetano Marino di Salemi. La redazione del “Vespro Anarchico” aveva attivato per l’occasione un comitato siciliano “pro-vittime politiche” (del fascismo), il primo del genere, di cui si occupò personalmente Gabriele Pappalardo, non appena uscito dal carcere.

Natale Musarra

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