Lascia o raddoppia

PNRR. Niente miracoli, è la solita fuffa!

Lascia o raddoppia. Tra le due opzioni il governo Draghi ha naturalmente deciso di raddoppiare, almeno quanto a numero di pagine del Piano nazionale di ripresa e resilienza, rispetto alla versione del precedente governo. Da 172 pagine a 318, poi misteriosamente ridotte a 273, poche ore prima che il testo approdasse alla Camera. Il Pnrr, il progetto di impiego dei fondi europei previsti dal  programma Next Generation Eu che beneficerà l’Italia per complessivi 209 miliardi – 127 di prestiti e 82 a fondo perduto, ma si sono aggiunti anche altri fondi -, è in dirittura d’arrivo: è stato già sottoposto alle Camere e verrà a breve inviato alla Commissione europea. Dopo mesi di discussioni e polemiche –  cui sono seguite le dimissioni del governo Conte 2 e l’avvento del governo Draghi – l’atteso Piano, che dovrà risollevare l’economia nazionale e proiettarla verso i lidi della prosperità e della modernità digitale ed ecocompatibile, è ormai cosa fatta. Governi ed informazione in questi mesi hanno parlato di svolta epocale, di appuntamento con la storia, di occasione irripetibile, generando attorno a questo piano attese palingenetiche. Di miracoloso, tuttavia, ci sarà ben poco, a partire dall’ammontare reale della cifra. Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, due economisti noti nella sinistra italiana, si sono cimentati nel fare un po’ di conti e la loro conclusione è che, tra risparmi sui tassi di interessi e contributi netti da versare all’Europa, quello che arriverà dal piano europeo si aggirerà effettivamente sui 7 miliardi annui fino al 2026, quindi una somma molto minore rispetto alle cifre sbandierate. Risultato esposto dai due economisti in un articolo del 12 febbraio scorso sul Financial Times. Ma tant’è, la cortina fumogena della propaganda è in azione, il Pnrr calamita, nel bene e nel male, il dibattito pubblico e le aspettative crescono, anche quando si colorano di negativo e serpeggia la delusione per l’occasione sprecata. Draghi, sentendosi investito dell’aura del salvatore della patria, ha fatto precedere il Piano da una premessa firmata di suo pugno; non possedendo, tuttavia, la facondia dell’avvocato del popolo, si è limitato a snocciolare una serie di dati e cifre in modo asettico, concedendosi il massimo del pathos nella conclusione: “L’Italia deve combinare immaginazione, capacità progettuale e concretezza, per consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale”. Eppure, senza paura di contraddirsi, è lo stesso Draghi a mettere da subito le mani avanti e smorzare gli entusiasmi. Infatti nella stessa premessa, quando deve fare le previsioni  sugli effetti delle riforme e degli investimenti, afferma: “Nel 2026, l’anno di conclusione del Piano, il prodotto interno lordo sarà di 3,6 punti percentuali più alto rispetto all’andamento tendenziale. Nell’ultimo triennio dell’orizzonte temporale (2024-2026), l’occupazione sarà più alta di 3,2 punti percentuali”. Misero risultato, ammesso che lo si raggiunga, anche se definito significativo. Milioni di disoccupati, sottoccupati, precari possono attendere la prossima pandemia, per sperare in qualcosa di migliore. Infatti l’appuntamento è storico, non nel senso di voler realizzare una società più giusta ed equa, o più inclusiva, come spesso si ripete nel piano, ma nell’idea di raddoppiare la centralità dell’Impresa competitiva e concorrenziale che dovrà plasmare di sé l’intera società. Tutte le logiche economicistiche che hanno devastato le società e la natura negli ultimi decenni sono così ribadite e rafforzate: crescita economica senza limiti, realizzazione delle grandi opere e dell’alta velocità per favorire lo scambio forsennato di merci, completa riduzione delle persone ad ingranaggio del sistema, grazie agli algoritmi ed all’intelligenza artificiale. Non si tratta, pertanto, di un piano semplicemente economico e, in definitiva, non conta la quantità di denaro investito, se tanto o poco, è in gioco una visione della società del futuro, di cui questo piano rappresenta un tassello significativo. Alcuni passaggi sono veramente emblematici di un disegno che viene presentato, e forse da alcuni vissuto, come ordine naturale delle cose. A pagina 12: “Venendo alla crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, i Piani devono rispondere alle conseguenze economiche e sociali della crisi pandemica attraverso strategie economiche che portino ad una ripresa rapida, solida e inclusiva e che migliorino la crescita potenziale. Devono pertanto contribuire a migliorare la produttività, la competitività e la stabilità macroeconomica, in linea con le priorità delineate nella Strategia annuale per la crescita sostenibile”; a partire da pagina 72 si parla di concorrenza: “La tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – sono fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la  pandemia. Possono anche contribuire a una maggiore giustizia sociale. La concorrenza è idonea ad abbassare i prezzi e ad aumentare la qualità dei beni e dei servizi: quando interviene in mercati come quelli dei farmaci o dei trasporti pubblici, i suoi effetti sono idonei a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale”. Ma è forse da pagina 204, dove si affronta la questione del lavoro, che  emerge con chiarezza l’assunto di fondo di ogni sistema capitalistico, che non sa concepire l’uomo se non nella sua dimensione alienata di strumento della produzione: “ La componente “Politiche per il lavoro” mira ad accompagnare la trasformazione del mercato del lavoro con adeguati strumenti che facilitino le transizioni occupazionali; a migliorare l’occupabilità dei lavoratori; a innalzare il livello delle tutele attraverso la formazione. […]. Si ridefiniscono gli strumenti di presa in carico dei disoccupati con politiche attive che, a partire dalla profilazione della persona, permettano la costruzione di percorsi personalizzati di riqualificazione delle competenze e di accompagnamento al lavoro”.

Allora questo piano è da leggere, più che nei suoi aspetti economici e politici – le cui scelte principali sono dirette a favorire le grandi imprese nella riconversione verso l’economia verde e digitalizzata -, nel suo contenuto fortemente ideologizzato, di una rappresentazione della futura società proiettata nell’orizzonte del nuovo capitalismo interconnesso e pienamente automatizzato. Orizzonte che non viene messo in discussione neppure da chi si affanna a criticare le scelte compiute dal governo Draghi e propone una diversa e più ottimale divisione delle risorse.

Angelo Barberi

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