SENZA POVERI NIENTE RICCHI

Povertà. Statistiche e carità, perché nulla cambi

Il 16 giugno scorso l’Istat ha pubblicato le stime definitive sulla povertà in Italia nel 2020, anno come sappiamo funestato dalla pandemia. Come quindi era ampiamente prevedibile è stato riscontrato un incremento della povertà che segna il dato più alto finora registrato nella serie storica. I dati distinguono tra povertà assoluta e povertà relativa, la cui differenza è assolutamente intuitiva in più o meno poveri, anche se statisticamente si mettono in moto complicati calcoli per determinare chi è più povero e chi è meno povero, anche in base a dove vive, alla composizione familiare, ecc. Ad ogni modo il dato sul 2020 ci informa che vi sono oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, corrispondenti a 5,6 milioni di persone, cioè il 9,4% della popolazione, nel 2019 erano il 7,7%. Poveri relativi sono invece 2,6 milioni di famiglie, 8 milioni di individui, il 10,1% delle famiglie italiane, in diminuzione in questo caso rispetto al 2019, quando erano state l’11,4%. Gli esperti spiegano così questo risultato: “La diminuzione dell’incidenza di povertà relativa, nel contesto di forte crisi economica generata dalle misure di contrasto alla pandemia, si deve principalmente a due fattori: la marcata riduzione della soglia (1.001,86 euro da 1.094,95 del 2019) imputabile al consistente calo della spesa media mensile familiare per consumi registrata nel 2020 (-9,0%); il diverso andamento della spesa delle famiglie appartenenti alla parte alta della distribuzione dei consumi rispetto a quello della spesa delle famiglie che si collocano nella parte bassa”. Sostanzialmente ci informano, per queste persone non è cambiato nulla ma sono uscite dalla povertà perché tutti gli altri hanno consumato meno. E’ stato anche calcolato il valore dell’intensità della povertà, “che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè “quanto poveri sono i poveri”)”. Questo dato risulta in diminuzione dal 20,3% del 2019 al 18,7% del 2020, la ragione è dovuta al fatto che le misure intraprese per contenere gli effetti sociali della pandemia – Cassa integrazione, reddito di emergenza – hanno permesso alle famiglie di mantenere un livello di spesa non molto al di sotto della soglia di povertà. A sorprendere forse è invece un altro risultato, la maggiore crescita della povertà registrata al Nord, dove si passa dal 5,8% al 7,6% della povertà familiare; a livello individuale sono oltre 2 milioni e cinquecentomila i poveri assoluti residenti al Nord, il 63% nel Nord-ovest e il 37% nel Nord-est. A spiegare questo andamento sarebbe il fatto che la prima ondata di pandemia ha colpito di più le regioni del Nord. Se poi si scende più nel dettaglio si constata che tra i poveri se la passano peggio le famiglie con più figli – alla faccia della retorica sulla denatalità -, chi ha bassi livelli di istruzione, chi svolge un lavoro infimo, i minori – vi sono 1 milione e 337 mila minori poveri -, e gli stranieri, che in media sono più poveri degli italiani (del resto non si dice “prima gli italiani”?). A peggiorare il quadro è anche, per quasi la metà delle famiglie povere, il pagamento dell’affitto per l’abitazione, il cui ammontare incide sul loro reddito per il 35,9% della spesa totale (il 22,3% , quando non si è poveri).
Un quadro fosco che il perdurare della pandemia sta ulteriormente aggravando e si suppone che nei prossimi mesi si aggiungerà un altro milione di poveri, tanto più se verrà meno quel minimo di protezione sociale messo in atto in questo anno e mezzo, blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, tra gli altri.
Lo stesso 16 giugno il Servizio Studi della Camera dei deputati rendeva noto un documento dal titolo “Misure di contrasto alla povertà”, in cui viene tracciato un excursus dei provvedimenti legislativi degli ultimi anni per “abolire la povertà”, come tronfiamente proclamavano i 5 stelle in occasione delle legge sul presunto reddito di cittadinanza. Si parte dalla legge quadro sull’assistenza, n. 388 del 2000, che stabilisce i livelli essenziali delle prestazioni sociali; si analizza il sistema dei servizi sociali, su cui è intervenuta la legge 33 del 2017; viene presa in considerazione la Carta acquisti ordinaria, introdotta nel 2008 per un importo di 40 euro mensili utilizzabile per spesa alimentare, sanitaria e energetica; si arriva quindi al Reddito di inclusione del 2018, confluito nel 2019 nel Reddito di cittadinanza, i cui vincoli e limiti sono abbondantemente noti, tanto che nel marzo di quest’anno è stata istituita presso il Ministero del lavoro una commissione, presieduta dalla sociologa Chiara Saraceno, per una sua revisione in direzione di una maggiore universalità e dello sganciamento dalle politiche attive del lavoro. Al momento nulla si sa di quello che sta partorendo tale commissione.
Infine in piena prima ondata covid 19 è stato istituito il Reddito di emergenza. Nel documento si fa pure cenno alla nascita nel 2012, nell’ambito del Fondo di aiuti europei agli indigenti, di un programma per la distribuzione gratuita di derrate alimentari agli indigenti. Così si apprende che, ad esempio, nel 2016 sono stati spesi 2 milioni di euro per acquisto di latte crudo da trasformare in latte UHT da dare agli indigenti, nel 2017 sono state acquistate mele da trasformare in succo di mela naturale e nel 2019 sono stati spesi 14 milioni di euro per l’acquisto di formaggio Dop, rigorosamente da latte di pecora e da ottenere con un’attenta lavorazione riguardante la stagionatura, l’umidità, il contenuto di proteine.
Se ci si è soffermati su questo documento è perché la sua lettura risulta istruttiva per comprendere come tutta la normativa sulla povertà risponda a criteri assolutamente emergenziali ed è frutto di molta improvvisazione. Senza dimenticare che sottotraccia si riscontra la classica rappresentazione della povertà riducibile al binomio pietismo caritatevole e riprovazione per furbi, scansafatiche o al massimo incapaci di adattarsi alle nuove esigenze del lavoro. Questo è ad esempio l’impianto di fondo della legge sul cosiddetto reddito di cittadinanza.
Ora mentre i dati sulla povertà, da oramai un decennio almeno, fanno segnare un continuo incremento determinato anche da un mercato del lavoro sempre più precarizzato – per cui si è poveri non solo perché si è disoccupati ma anche quando si lavora sottopagati, ripristinando così condizioni ottocentesche –, di povertà si è parlato soprattutto nei mesi più duri della chiusura a causa della pandemia. I poveri sono diventati oggetto di una carità diffusa o anche di una solidarietà spontanea, ma anche soggetto pericoloso per le classi dirigenti che paventavano rivolte generalizzate. Un problema quindi di ordine sociale da prevenire nelle sue derive più pericolose, con distribuzione di cibo (il fondo di cui si diceva prima è stato incrementato per il 2020 di 50 milioni così suddivisi: 14,5 milioni di euro per l’acquisto di formaggi DOP; 4 milioni di euro per conserve di verdure appertizzate ottenute da prodotto fresco; 2 milioni di euro per zuppe di legumi da verdura fresca; 2 milioni di euro per minestrone da verdura fresca; 2,5 milioni di euro per succhi di frutta; 2 milioni di euro per omogeneizzato d’agnello; 9 milioni di euro per prosciutto DOP; 4 milioni di euro per salumi IGP e/o DOP e 10 milioni di euro per carne bovina in scatola) e di reddito. Niente invece che mettesse in collegamento le grandi disuguaglianze con le disparità nella distribuzione del reddito, per cui in Italia – dati Oxfam 2019 – “La ricchezza dei primi 3 miliardari italiani della lista Forbes2 (fotografata a marzo 2019) era superiore alla ricchezza netta detenuta (37,8 miliardi di euro a fine giugno 2019) dal 10% più povero della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone”. E quando qualcuno timidamente lo ha fatto notare al fine di introdurre una qualche forma di riequilibrio e di redistribuzione del reddito nazionale, si sono sollevate voci allarmate e scomposte che accusavano di voler mettere le mani nelle tasche degli italiani e di spaventare gli investitori.
D’altronde anche per la fantomatica Alleanza contro la povertà –ne fanno parte sindacati confederali e il variegato mondo dell’associazionismo cattolico– la povertà va affrontata, oltre che col rafforzamento del reddito di cittadinanza, con “un’adeguata presa in carico della popolazione e l’attivazione di percorsi di inclusione sociale che rispondano ai bisogni delle persone accompagnandole fuori dalla condizione di povertà, anche attraverso una più attenta analisi delle necessità dei nuclei familiari coinvolti, oggi più che mai opportuna per garantire una loro adeguata valutazione multidimensionale e per meglio individuare le priorità per contrastare la crescente povertà assoluta in tutte le sue componenti”. Che solo a leggerlo c’è da preoccuparsene per quell’immagine di una società tutta organizzata e strutturata attorno al fine supremo della produzione e del “benessere” che evoca.
Tuttavia, a dispetto dei 5 stelle che credevano di abolire la povertà, qualsiasi sistema che come il nostro si fonda sull’oppressione e sullo sfruttamento non può fare a meno dei poveri.

Angelo Barberi

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