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Democrazia. Summit autoreferenziale di Biden

Adesso tutti sono preoccupati per le sorti della democrazia, provata da mille difficoltà che la stanno facendo arretrare sul pianeta terra. Il più preoccupato di tutti pare essere il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, che per soccorrerla ha convocato, per un consulto sul suo stato di salute, i più autorevoli suoi rappresentanti, 110 tra capi di Stato e di governo, scelti con cura (ma non troppa), escludendo quanti sono notoriamente avversi alle regole della maggioranza e alla tutela delle minoranze: Russia e Cina in testa. Così il 9 e 10 dicembre scorsi si è svolto il Summit for Democracy, un vertice in videoconferenza in cui Biden, ammettendo che pure negli Stati Uniti la democrazia non sta proprio bene, ha puntato l’accento sulla necessità di agire per difenderla in un momento storicamente decisivo. Per questo motivo ha annunciato lo stanziamento di 424,4 milioni di dollari in aiuti all’estero, un progetto battezzato Presidential Initiative for Democratic Renewal per sostenere i media indipendenti, la lotta alla corruzione, le libere elezioni. Così dalle bombe per esportare la democrazia sembra si sia passati agli incentivi in denaro, ma ci pensa sempre il papà americano, anche se l’intreccio armi-soldi non è così facile da districare, come possiamo constatare continuamente. Al vertice è naturalmente intervenuto anche il nostro Super Mario che ha dichiarato: “L’Italia ribadisce il proprio impegno a rafforzare e a tutelare i diritti umani, soprattutto a favore dei più vulnerabili. Abbiamo stabilito dei piani d’azione nazionali per favorire ulteriormente l’uguaglianza di genere e l’inclusione sociale. E per combattere tutte le forme di intolleranza e discriminazione, comprese quelle fondate sull’orientamento sessuale”. Come è dimostrato ampiamente ad esempio dalla fine della proposta Zan! Siamo comunque certi, ha chiosato Draghi, che le nostre democrazie sono state “all’altezza” della sfida pandemica.
Nonostante lo sforzo profuso, l’operazione Biden non ha sortito l’effetto sperato e molti commenti, anche italiani, ne hanno colto la natura strumentale, all’interno della partita geopolitica tra regimi in competizione. Un articolo apparso su Limes è quanto mai esplicito: “Il summit non ha prodotto alcun provvedimento concreto. Piuttosto, è servito a Washington per catalizzare il consenso dei satelliti dell’impero americano e attirare potenziali partner. Così da colpire innanzitutto la capacità d’influenza all’estero della Repubblica Popolare e in misura minore di Russia, Iran e Turchia. Cioè delle potenze che attualmente rappresentano una minaccia agli interessi americani in Eurasia.”
Tuttavia la questione fondamentale è quale democrazia Stati, governi, forze politiche e intellettuali “dell’Occidente democratico” pensano di dover preservare dall’avanzare delle autocrazie, anche a voler credere alla loro buonafede. La democrazia liberale rappresentativa sta da qualche decennio segnando il passo, la crisi economica globale del 2007/08 ne ha accentuato tutti i limiti, ma si tratta comunque di una forma di governo che pure nella sua grande stagione d’oro, quella seguita alla fine della seconda guerra mondiale, si è rivelata una forma di dominio delle élites, capaci di controllare le società attraverso un dosaggio, per nulla perfetto, di forza e persuasione. E non è neppure necessario servirsi di analisi e studi, che pure ci sono, per dimostrare ciò; basta volgere un rapido sguardo al passato recente per rendersi conto di che cosa è stata la democrazia in Occidente. Per l’Italia sono sufficienti le plurime stragi che l’hanno insanguinata dal 1947 in avanti. Ecco questa è la democrazia per cui tanto si affannano oggi governi e benpensanti, che pure quando ammettono che le nostre sono democrazie imperfette e si impegnano a renderle migliori, stanno operando l’ennesima falsificazione, ancora una volta per tenere saldo il dominio.

All’inizio del 2020 è circolato, ripreso variamente da stampa e commentatori, uno studio dell’ong statunitense Freedom House che fin dal 1941 “monitora l’andamento della democrazia liberale nel mondo, attraverso una batteria di indicatori che vanno dalla libertà di stampa all’indipendenza della magistratura, oltre naturalmente alle libere elezioni”. Questo studio conferma che la democrazia indietreggia anche nei paesi “avanzati”, l’Europa sarebbe particolarmente in bilico, i casi di Ungheria e Polonia sono emblematici. Niente di sorprendente però, come sappiamo; la sorpresa può scaturire quando si guarda più da vicino la democrazia contrabbandata da tali organizzazioni. Per quanto riguarda l’Italia nello studio si afferma che: “I politici antiliberali hanno spostato i termini del dibattito e vinto le elezioni promuovendo un’identità nazionale di esclusione come mezzo per le masse per aggrapparsi a un mutevole ordine globale e interno”. Vero, ma di una verità superficiale, per cui seguendo questo schema avremmo nel Partito democratico, in Forza Italia e altri simili gli strenui difensori dei valori democratici, mentre Lega e Movimento 5 S le punte avanzate di una deriva antidemocratica. Insomma l’alibi perfetto per salvare strutture e istituzioni la cui democrazia è una maschera da indossare per ogni occasione. A rivelare la strumentalità e la falsità del dibattito sulle sorti della democrazia è anche un articolo del Post, risalente al 2014, che riprende uno speciale dell’Economist, in cui si trovano affermazioni di questo genere: “Benché ci capiti di abusare del termine “democratico”, […] una democrazia è tecnicamente un sistema di governo in cui a tutti i cittadini è concesso di votare per determinare le decisioni della comunità. Ma poiché questo da solo non garantisce un sistema efficace e corretto di funzionamento delle democrazie, associamo loro come imprescindibili anche una serie di garanzie e libertà: controlli e limiti sui poteri di chi governa, libertà di parola e associazione, tutela delle minoranze e delle loro scelte. […] Se fino a oggi la democrazia è stata un’aspirazione di milioni di persone e molti popoli che non ne godono, è perché i dati e la storia dicono che le democrazie sono in media più ricche, sono meno impegnate in guerre e sono più in grado di combattere la corruzione, e offrono ai loro cittadini libertà e opportunità per se stessi e per i propri figli. […].” Tra ovvietà e assurdità, in questo modo si propaganda la democrazia “de noantri”, quella che sta dalla parte giusta, dell’Occidente libero e aperto. Pertanto si può concludere in questo modo: che cosa c’è di più democratico di una democrazia che discute di se stessa? Anche se poi, gattopardianamente, ogni sforzo è teso a far rimanere tutto come prima.

Angelo Barberi

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