Il fervore elettoralistico è una costante della politica italiana
(d’altronde ci sono elezioni con una successione impressionante), cosicché
sembra che i partiti facciano qualche movimento, siano attivi e impegnati
sui problemi che la *nazione *deve affrontare. Un po’ meno infervorati sono
gli elettori che non vanno più a votare, tanto che la platea dei votanti si
è ridotta in questi ultimi anni a meno del 50% degli aventi diritto:
convincere le persone a recarsi alle urne sta diventando un’impresa sempre
più ardua per i partiti. Che però non si scoraggiano e proseguono il loro
impegno con abnegazione. Sempre certo per il bene del *popolo *e della
*nazione.*
Ad essere particolarmente infiammati in questi mesi sono i partiti della
sinistra, già orfana di un Draghi, di un Monti o di un Prodi, pervasi da un
afflato che li fa apparire seriamente intenzionati a mettere mano alle
questioni urgenti che ci affliggono. Così li vediamo tessere reti,
inventare le più ardite alchimie pur di riconquistare il favore degli
elettori e poter ritornare a governare in nome del popolo sovrano per
garantirne benessere e prosperità. In questo non si risparmiano, percorrono
lo stivale in lungo e in largo, accorrono in ogni dove è in corso una sfida
elettorale, vagliano candidature, interpellano personalità di provata
dirittura morale, a volte litigano, si separano e poi si riaggregano, ma
tutto sempre per il bene supremo e nell’interesse dei cittadini e delle
cittadine. C’è poi un’aggravante che rende ancora più impellente la
necessità di un’affermazione elettorale della sinistra (o almeno del
centro-sinistra): il governo di destra-destra straordinariamente incarnato
dalla prima donna italiana presidente del consiglio. E se questo governo,
in cui risuonano echi di un fascismo che fu e che nuovamente si invera
sotto i nostri occhi, ci trascina sempre più nel baratro di un
autoritarismo senza freni, spetta alla sinistra salvarci. Ecco!
Bene, tuttavia a questa sinistra, che adesso ha anche imbarcato il
movimento 5 stelle non più autodichiarantesi né di destra né di sinistra,
si potrebbe chiedere qual è l’idea di società che vuole contrapporre alla
destra-destra. Quali sono le sue proposte rispetto alle questioni veramente
fondamentali che oggi dovrebbero essere affrontate: guerra, ambiente,
clima, migrazioni, cui sono legate, e non certo in posizione subalterna,
tutte le altre: lavoro, uguaglianza, diritti, e via discorrendo. Ora
sarebbe troppo facile dimostrare per il recente passato come le politiche
dei governi di centro-destra si siano poste in perfetta continuità con
quelle del centro-sinistra, e viceversa, in una sorta di rincorsa alla
sottrazione dei diritti, all’indebolimento della classi lavoratrici e al
controllo degli sfruttati. Anzi, anche sul piano linguistico tali
espressioni sono bandite dalla comunicazione ufficiale: non esistono più
classi o sfruttati, né tantomeno padroni o sfruttatori, solo imprenditori
di se stessi e start up.
In un’intervista di qualche settimana fa al quotidiano La Stampa il
senatore Pd Graziano Del Rio, persona rispettabile, interpellato sugli
accordi del governo italiano con l’Egitto per fermare i migranti, alla
domanda su quali sono le proposte del Pd ha risposto: “Presto presenteremo
una proposta di legge: bisogna favorire canali di ingresso regolari e
nominativi. Chi vuol venire in Italia dovrebbe iscriversi a una lista con
nome e cognome, in modo che sappiamo chi entra nel Paese. Solo così puoi
scoraggiare le partenze e avere ingressi legali. Intendiamoci, nessuno ha
la ricetta magica in tasca per governare un fenomeno come questo, né noi né
la destra, ma insieme si potrebbe ragionare come un grande Paese europeo”.
E’ questo solo un esempio di una visione che rappresenta il migrante come
un potenziale pericolo (in cosa quindi si differenzierebbe dalla destra?) e
offre soluzioni risibili.
Nelle recenti elezioni regionali della Sardegna la candidata della
“sinistra”, Alessandra Todde, si è presentata con un programma infarcito di
tutto il consueto frasario modernista che crede di poter conciliare
capitalismo e giustizia, un riformismo tecnocratico capace di garantire la
transizione verso il nuovo mondo sostenibile e integrato, ecologista e
industriale, locale e globale. Eccone un estratto:
“Il mercato sardo del lavoro mostra un alto livello di precarietà e una
massiccia emigrazione giovanile, aggravata dall’invecchiamento demografico.
La strategia proposta punta a invertire l’emigrazione e attrarre talenti,
valorizzando l’alta formazione e l’inserimento lavorativo con un focus su
innovazione e smart working. Vanno coordinati gli sforzi per integrare
politiche attive, formazione, e servizi per l’impiego. È cruciale adattare
il mercato del lavoro alle dinamiche globali, promuovendo l’occupabilità e
l’integrazione dei migranti, con un occhio attento alla qualità e alla
dignità del lavoro”.
“Fare della Sardegna una Regione competitiva e attrattiva”, è scritto nel
programma. Quale destra non sottoscriverebbe tale affermazione?
Non si vuole qui dire che destra e sinistra sono la stessa cosa (ma è certo
che questa sinistra non ha una reale visione alternativa alla destra), e
non si starà qui a sostenere che le elezioni sono una truffa e che se
veramente contassero qualcosa le avrebbero abolite, cosa peraltro
intuitiva, tuttavia dal momento in cui oramai da qualche decennio
assistiamo ad una crisi irreversibile della democrazia rappresentativa,
della sua deriva verso forme autoritarie, tanto che si parla da più parti
di democratura, perché non avviare una riflessione profonda sul ruolo delle
elezioni e su modalità alternative di mettere in atto processi decisionali,
che promanino veramente da quel popolo che la politica istituzionale
utilizza come paravento e feticcio? Se non la sinistra-destra -che
spadroneggia sui media, si propone come valida alternativa alla
destra-destra e certamente non ha alcun interesse a modificare lo statu
quo, almeno quella che qualche anno fa veniva definita come sinistra
radicale dovrebbe avere più di un motivo e più di una ragione per sottrarsi
alla pantomima elettoralistica. A meno che non voglia rimanere prigioniera
in un sistema dal quale è già stata esiliata.
Angelo Barberi