Il Mattarello e Il Manganello

Tanto rumore per nulla, direbbe Shakespeare. Dopo tanto tuonare, il previsto temporale purificatore sulla politica italiana non è arrivato. Sergio Mattarella ha dovuto accettare, per mancanza di alternative, una rielezione che, a 81anni, avrebbe forse veramente voluto evitare.
Il quadro è abbastanza chiaro: la politica vive un’impasse profonda e paralizzante, ed è incapace di gestire anche la normale amministrazione. Si va avanti a colpi di decreti legge, di veti incrociati, di tecnici a capo di governo o dicasteri, ed ora anche di un presidente riciclato.
A noi di tutto questo può importare ben poco; non amiamo le schermaglie governative, non tifiamo per nessuno e riteniamo i governi uno dei mali peggiori che si meritino i popoli. Riteniamo che in questa fase le redini dell’Italia siano saldamente in mano alla finanza internazionale, al Vaticano, alla NATO e ai padroni dell’industria tecnologica, che gestiscono direttamente o per interposta persona gli affari del paese.
Banche, Forze Armate, CEI e imperi tecnologici dettano le regole, i partiti obbediscono, scodinzolano, recitano le rispettive parti nel circo mediatico, poi corrono a mettersi in fila per ricevere lo zuccherino, premio al loro essere stati bravi e fedeli.
La paura di non poter più tornare tra i banchi di Monteciborio (come lo chiamava Paolo Schicchi) ha indotto i “grandi elettori” a preferire Mattarella al Quirinale con Draghi per almeno un altro anno al governo: un anno di stipendi, privilegi, bella vita, indispensabile anche a pensare ad un futuro che non faccia rimpiangere la lontananza dagli scranni parlamentari.
A scandire questa noiosissima elezione non è stata la musica del festival di Sanremo, il cui accavallamento è stato scongiurato in extremis, ma quella suonata dai manganelli della polizia sbattuti sulle teste e i corpi degli studenti che a Roma, Torino e Napoli manifestavano contro la morte dello studente Lorenzo Parelli, vittima della caduta verticale di ogni freno in tema di sicurezza sul lavoro, che non può che intaccare anche la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, ovvero la sottomissione dell’istruzione alle inique leggi del mercato capitalistico.
Quelle cariche della polizia hanno accompagnato la fine della farsa dell’elezione del nuovo-vecchio presidente della Repubblica, dimostrando come la politica pragmatica la facciano i vertici della polizia e gli sceriffi impiegati a tempo pieno nel ministero dell’interno.
La politica estera la determina da molto tempo l’ENI, a cui lo Stato affianca missioni militari in Africa a difesa di giacimenti, piattaforme, raffinerie, equilibri politici garanti di governi corrotti e subalterni, alla faccia della “pace” e della transizione ecologica con riduzione dell’energia prodotta da fonti fossili.
Spicca il costante supporto alle richieste della NATO e degli apparati industrial-militari, la sempre più sfacciata adesione alla linea reazionaria della Chiesa cattolica (dal decreto Zan ai regali sull’IMU), o la perseveranza maniacale nell’accanimento contro la minoranza dei non vaccinati.
Proprio in questo mese di febbraio entrano in vigore i nuovi provvedimenti (dalle multe agli ultra cinquantenni, al divieto di poter lavorare per chi non ha un green pass da vaccino, alle restrizioni sulla vita quotidiana) che danno la misura di quanto vendicativa e repressiva sia la politica del governo, motivata soltanto dalla necessità impellente di nascondere i propri fallimenti e la propria  volontaria servitù (ben remunerata) agli interessi delle multinazionali, quelle del farmaco in testa.
Politiche che trovano nel controllo tecnologico l’alleato principale.
C’è poco da star sereni. L’accozzaglia parlamentare si dimostra sono una inutile macedonia di parassiti; il governo effettivo del paese è in mano ai poteri forti, che lo gestiscono direttamente, senza finzioni o maschere, serviti da squadre di mazzieri (quelli in borghese che aggrediscono i picchetti operai o quelli in divisa che picchiano gli studenti) intenti a ridurre la massa ad un gregge di paurosi cacasotto o di spie.
Non ci resta che il tempo della rivolta, contro quello dell’assuefazione, del servilismo e della complicità. Scuole, fabbriche, luoghi di vita quotidiana debbono trasformarsi in ambiti di ribellione, di riappropriazione della volontà e della facoltà di decidere in prima persona e dal basso sui propri destini. Al governo del gran capitale, del Vaticano e degli apparati militari e tecnologici si deve contrapporre l’autogoverno dei subalterni, inconciliabile e prefigurativo di una società diversa perché migliore.

Pippo Gurrieri

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