Tutti giù per terra

Pacifondai. “L’Italia NON ripudia la guerra”
Finirà come finirà la guerra in Ucraina – dopo avere massacrato bambini, donne, uomini, distrutto città, bombardato strade, infrastrutture, seminato terrore e angoscia tra la popolazione, cacciato dalle proprie case milioni di profughi, dopo che gli strateghi della geopolitica riusciranno o falliranno nelle loro pretese di egemonia e di dominio regionale o globale all’interno dello scontro imperialistico, e sempre auspicando che nessuna scintilla, provocata, scaturita, la faccia precipitare in un conflitto generalizzato – ci ritroveremo, più e a differenza di altre guerre in atto o del recente passato, sulla china del precipizio guerrafondaio, nel bellicismo perseverante brandito dalle politiche statuali per sottomettere popolazioni e incutere paura dentro e fuori dai propri confini, nell’esaltazione nazionalista e patriottarda. Anche la cautela e quasi il pudore – più di facciata che reali – con cui si sono fin qui nominate le guerre sono caduti del tutto e la guerra è diventata giusta, rivendicabile, necessaria.
Questo nuovo clima ha permesso al ministro della difesa Guerini di indirizzare una lettera pubblica, apparsa sul quotidiano La Stampa, in cui rivendica, senza alcun pudore, anzi investito da una necessità storica, la giustezza dell’incremento delle spese militari dagli scandalosi 25 miliardi attuali ai quasi 40 miliardi da raggiungere al più presto. “Qual è lo stato delle nostre spese e dei nostri investimenti nella difesa e quindi nella nostra sicurezza? E’ tutto ascrivibile solo al rispetto di un vincolo esterno (l’impegno del 2% assunto in sede Nato) o ci sono anche altre valutazioni che riguardano il livello e l’efficienza del nostro strumento militare? E tutto ciò, in termini di analisi e decisioni conseguenti, può permettersi di non tener conto della contingenza attuale e delle conseguenze che avrà negli scenari del medio periodo? Le risposte sono talmente evidenti che le domande che ho posto rischiano di essere considerate retoriche”.

Sulla guerra giusta in questi mesi si sono prodotte analisi raffinate e rozze argomentazioni; i principali quotidiani, i telegiornali, i programmi televisivi ci hanno travolti e quasi annichiliti con parole e immagini devastanti di una guerra necessaria ed eroica. Non si tratta più solo di esportare la democrazia o rispondere ad una minaccia contingente o potenziale, viene investita direttamente la nostra sopravvivenza, il nostro modo di vivere e di percepirci: gli ucraini siamo noi. E quando si è aggrediti in modo così violento e prepotente non rimane che la risposta armata, la lotta corpo a corpo. Ogni altra opzione è negata. Scompare persino il contesto, le condizioni che hanno condotto ad un epilogo così drammatico, scompare soprattutto la responsabilità dei governi e degli stati che creano i presupposti per cui le guerre si verificano e la guerra si trasforma in senso dell’onore e scelta di libertà, anche a costo della vita. La guerra si personalizza, non dipende più da apparati militari, da strategie politiche, da scontri tra potenze che lottano per l’egemonia. Anzi pare proprio che gli stati (s’intende, democratici, liberali e civili) la subiscano, siano anch’essi impotenti a respingerla. Perché la guerra ha radice nel male, che alberga sì nell’uomo, ma mai in noi, sempre nell’altro. E l’altro in questo caso è Putin, o se vogliamo il russo in genere.
Ecco questo mi pare sia lo slittamento di senso che questa guerra porta con sé: non essere più un conflitto armato strutturato, organizzato, perseguito anche da istituzioni e organizzazioni, ma una resistenza al male, un atto di libertà. Dunque accettabile e sostenibile. Ma questo slittamento di senso che attribuisce al male, all’altro la responsabilità della guerra finisce per trasformare la guerra, ogni guerra, in atto necessario, in condizione permanente delle relazioni umane; finisce per giustificare le armi e gli armamenti, unico baluardo alla barbarie, ai nuovi barbari che ci assediano. In un continuo e irriducibile contrasto tra noi e gli altri.
“ Non abbassare mai la guardia di fronte alla tutela della dignità umana come limite invalicabile anche nelle situazioni di conflitto armato. È una prospettiva di cui oggi più che mai dobbiamo essere garanti rispetto ai tanti scenari di crisi che il quadro geopolitico globale ci presenta”, ha dichiarato la presidente del Senato Casellati in occasione della commemorazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Un’affermazione di per sé agghiacciante che diventa però senso comune quando la guerra viene legittimata e accettata.

Tuttavia perché tutto questo sia credibile premessa fondamentale è costruire una narrazione in cui ci sia l’invenzione e la degradazione di un nemico, in cui lo scontro avvenga tra soggetti portatori di valori inconciliabili e la guerra (di difesa) si trasformi in eroismo. Proprio quello che la propaganda dei media italiani ha apparecchiato in queste settimane, raggiungendo punte di cinismo e di gesuitismo notevoli. Putin naturalmente è stato additato come male assoluto, quasi proiettato in una dimensione metafisica, sottratto alle dinamiche delle relazioni di potere tra stati, al calcolo spregiudicato che appartiene a qualsiasi stato, a qualsiasi governo. Questa degradazione del nemico fa da contraltare alla bontà o al buon senso dimostrato da chi gli si oppone, cioè noi, i nostri governi. Che infatti sono portatori di valori umanitari e imprescindibili: libertà, democrazia, civismo, giustizia, secolarismo. Al contrario Putin e per esteso la Russia rappresentano autoritarismo, illiberalismo, misticismo irrazionale, prevaricazione di diritti. Non c’è pertanto possibilità di dialogo tra due mondi così contrapposti, valgono solo le armi, in azione o come deterrenza. Chi invece in questo momento si deve opporre al “Grande Dittatore del Cremlino” assurge a eroico difensore della libertà. Il popolo ucraino così si trasfigura nel combattente che lotta per la propria patria e la propria dignità, scegliendo la morte alla salvezza, la morte lo fa eroe, la salvezza lo degrada a codardo. La guerra che oggi si combatte in Ucraina porta con sé l’alone delle imprese dei cavalieri antichi: Davide contro Golia, le Termopili. Non un’assurda carneficina da evitare a tutti i costi, una mostruosità cui si soggiace con riluttanza e paura.
Ci troviamo così schiacciati tra l’esaltazione ideologica della guerra giusta e la realpolitik di chi come Lucio Caracciolo, direttore di Limes, scrive: “Questa sfida ci coglie impreparati. Per tre generazioni abbiamo vissuto nella quasi certezza della pace. […] Abbiamo perciò trascurato le nostre Forze armate, che pure sono seconde solo alla Francia – davanti alla Germania – nell’ambito continentale. Soprattutto ci siamo disabituati a ragionare in termini strategici, a considerare l’importanza della nostra collocazione geopolitica, a valutare il peso della storia e della geografia nella dinamica delle potenze”.

Come se ne esce da una così forte accentuazione del militarismo, da questa corsa al riarmo intrapresa da tutti gli stati, prodromo come la storia dovrebbe insegnarci, anche a Caracciolo che così cinicamente la scomoda, di guerre e disastri, dal nazionalismo rivendicato ed esaltato, dentro la babele di una comunicazione che disorienta?
Con ogni nostra capacità e intelligenza, consapevoli che la guerra è estranea all’uomo e l’uomo è straniero nella guerra.

Angelo Barberi

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