STATO DI GUERRA

Escalation. I popoli devono salvarsi da soli

 

All’inizio del film L’odio di Mathieu Kassovitz una voce fuori campo recita: “Questa è la storia di un uomo che precipita da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete -Fin qui tutto bene, fin qui tutto bene, fin qui tutto bene-. Il problema non è la caduta ma l’atterraggio”.
Questa pare essere la condizione in cui governi, Stati e classi dirigenti tengono in ostaggio le proprie popolazioni e il mondo intero, prima con la pandemia, adesso con la guerra in Ucraina, attizzata, non si sa quanto ad arte, da logiche imperialistiche ed egemoniche, scatenata da un autocrate, convinto di possedere frecce sufficienti per farsi valere nel consesso internazionale. Così precipitiamo sempre più nel baratro, ma le élite rassicurano che ciò è per il bene e il futuro del nostro modello di vita, per la difesa dei nostri valori e della nostra libertà. Libertà, parola così oramai abusata che persino gli autoritari ne fanno un proprio vessillo, ecco per cosa stanno combattendo gli ucraini, per la loro e la nostra libertà, con armi, eserciti, generali, strateghi, consiglieri. Perché questa libertà, così cara anche agli Stati, è una libertà che si oppone, si scontra e si elide, non si espande o si compenetra. La nostra libertà da contrapporre a quella altrui. Almeno i contadini della verghiana novella Libertà si sollevarono violentemente per qualcosa di concreto e preciso: la terra; adesso, qui, si propaganda un’idea astratta di libertà, un mito impalpabile e con ogni probabilità irraggiungibile per la stragrande maggioranza.
Non è certo facile provare a districarsi nel profluvio di proclami e convinzioni; non è per niente facile provare a ragionare mentre un’intera popolazione vive quotidianamente sotto il giogo delle bombe – anche se delle altre 60 guerre, più o meno, in giro per il mondo ce ne disinteressiamo con ostentata indifferenza-, eppure è fondamentale affermare con tutta la chiarezza possibile che ogni guerra combattuta dalla criminale efficienza, arroganza e supponenza degli Stati è una guerra contro i popoli, propri e altrui.
Della guerra che si sta combattendo in Ucraina sarebbe possibile – come qualcuno ha fatto – ricostruire tutti i passaggi che l’hanno fatta precipitare proprio per la volontà e le logiche oppositive degli Stati-nazione che perseguono obiettivi di potenza e di supremazia. Qui sta l’origine delle guerre moderne, non nella malvagità o follia di qualcuno. Si potrà anche dimostrare che ci sono maggiori o minori responsabilità nell’innescare la miccia del conflitto, ma ciò non ha alcuna influenza sui meccanismi bellici che sono fondanti degli apparati statuali. La grande operazione che gli Stati compiono – attraverso l’informazione e la propaganda – è quella di fare apparire gli armamenti essenziali e le guerre necessarie, di presentarsi dinanzi ai propri cittadini come i fautori della pace, mentre fomentano le guerre non meno degli altri. Nessun governo e nessuno Stato sfugge a ciò, pena la sua stessa esistenza. Questo vale tanto per l’Ucraina quanto per la Russia o per l’Italia e ogni altro Stato.

E’ vero però che proprio questa guerra in Ucraina sta cambiando qualcosa di profondo nella competizione imperialistica degli Stati e rischia di innescare automatismi irreversibili nello scontro geopolitico.  Che governi di ogni colore stanno, con estrema disinvoltura, perseguendo come non vi fosse alcuna alternativa e i media principali stanno sostenendo con una miopia e una piaggeria mascherate da senso di responsabilità. Così gli Stati Uniti, per bocca del loro presidente, proclamano che questa guerra deve essere vinta e stanziano miliardi su miliardi in armamenti da fornire all’esercito ucraino; il governo tedesco non solo aumenta in maniera spropositata il suo arsenale bellico, ma invia – come del resto hanno fatto tutti gli stati europei – ulteriori armamenti in Ucraina, in ultimo carri armati; i governi finlandese e svedese, finora neutrali, premono per entrare nella Nato, contribuendo così ad inasprire ancora di più una situazione già tesa e ad incentivare la contrapposizione tra blocchi; il governo russo continua a macinare la sua assurda guerra e a minacciare continuamente un’escalation del conflitto che non escluderebbe il ricorso al nucleare; il governo ucraino si erge a paladino della libertà e della democrazia da difendere armi in pugno a costo di ogni umano sacrificio; il governo italiano si arma e fornisce armi, trincerandosi dietro il simulacro della resistenza di un popolo all’invasore. Tutto questo attivismo sta disegnando un mondo sempre più instabile e conflittuale che, semmai si dovesse arrivare ad una qualche forma di pace per lo scontro ucraino, diventerà presupposto di ulteriori e forse più devastanti conflitti. La posta in gioco non è, quindi, la già drammatica e disumana situazione ucraina, ma il futuro assetto globale in cui tutti gli Stati si ritroveranno più armati e più contrapposti, in un contesto in cui le già tenui ed evanescenti relazioni diplomatiche lasceranno spazio solo alla forza.
In questi due mesi di guerra in Ucraina sono stati fatti riferimenti alla storia del passato per enfatizzarne la gravità, dal parallelo Putin-Hitler al richiamo alla Resistenza all’occupazione nazi-fascista. Si è invece parlato meno della corsa agli armamenti e dell’irrigidimento di alleanze contrapposte che furono, tra le altre cose, all’origine della prima guerra mondiale. In un saggio di qualche anno fa di Anna Bravo – La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato –, in cui la storica cerca di dimostrare come nel passato si sia riusciti a non fare precipitare i contrasti in guerre, possiamo leggere a proposito dello scoppio della prima guerra mondiale: “Il punto è che la corsa agli armamenti funziona come un piano inclinato: l’aumento degli arsenali bellici in un paese provoca un aumento in altri. […] Questo inseguimento non è un effetto perverso: è la conseguenza prevedibile del principio si vis pacem para bellum. […] Le scelte politiche sono decisive, ma non da sole. Nel 1914 il piano inclinato della corsa agli armamenti e la tecnologia della violenza avevano sviluppato una dinamica propria, trasformandosi da questione politica a problema sistemico – in altre parole , l’Europa era oramai avvolta in una rete militarizzata che i leader non erano in grado di controllare. […] La responsabilità dei governanti nello scoppio della Grande Guerra sta appunto nella presunzione di padroneggiare quella dinamica – quasi che la violenza sia semplicemente un mezzo da usare se necessario, anziché una potenza capace di cambiare chi la subisce e chi la pratica”.

Preoccupante e inquietante. Politici, giornalisti e intellettuali che tanto discettano di geopolitica forse farebbero bene a leggere questo testo della Bravo. C’è però da dubitare che possano coglierne qualcosa dal momento che il loro orizzonte è quello del prevalere, dell’imporsi, del competere, non certo quello di salvare vite umane. Pertanto rimane come sempre che i popoli e gli individui se vogliono devono salvarsi da soli.

Angelo Barberi

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