PIAZZE VUOTE

L’attenzione per la guerra in Ucraina vive di fiammate. Caduta nel dimenticatoio dei media per quasi tutta l’estate, è tornata ad occupare le prime pagine dell’informazione verso la metà di settembre quando si è dato molto risalto ad una controffensiva dell’esercito ucraino che sembrava dover sbaragliare quello russo respingendolo entro i suoi confini o addirittura ricacciarlo fino alle porte di Mosca. Tuttavia, dopo avere accreditato un più che imminente tracollo della Russia e di Putin, i giornalisti italioti si sono invece immersi nella propaganda per le elezioni politiche, per poi successivamente riprendere l’intricata questione ucraina in occasione dei referendum voluti da Putin per l’annessione delle regioni contese.
Questa schizofrenia informativa è uno dei segni di una società che macina rapidamente atrocità come euforie, sempre per tenere desta l’attenzione di un pubblico alla ricerca di continue emozioni, in una girandola da centro commerciale. Ad ogni modo una situazione fluida, con i suoi continui ribaltamenti di fronte e i suoi quotidiani orrori, che più che ad una soluzione qualsiasi sembra aprirsi al rischio di un ulteriore precipitare del conflitto dagli esiti imprevedibili e ancor più esiziali, viene contrabbandata da un’informazione per niente disinteressata come la santa crociata del bene contro il male, in cui il primo non può che alla fine trionfare.
Così ogni piccolo successo ucraino o quella che viene rappresentata come la resistenza di un intero popolo contro l’invasore diventano la dimostrazione certa che la scelta della guerra è stata necessaria e giusta. Il ragionamento è semplice e inoppugnabile: Putin è una minaccia per la pace e la stabilità mondiali, se nessuno avesse contrastato le sue mire espansionistiche le armate russe non si sarebbero fermate alla sola Ucraina e buona parte dell’Europa sarebbe oggi sotto il suo giogo. Di fronte a tanta protervia e determinazione non rimangono che le armi. Il popolo ucraino eroicamente si sta sacrificando per la propria e la nostra libertà. Solo la vittoria armata ci può mettere al riparo e riportarci ad un’epoca di pace.
Certo ammettono i soloni della libertà e della democrazia (quelle che sono negate anche da noi ma che si pretendono in casa altrui), Putin ha le armi nucleari e potrebbe ricorrervi, ma da navigati strateghi sono sicuri che non le userà. Si tratta, come è evidente, di una modalità di argomentare che cancella ogni premessa, semplifica i contesti e concentra l’attenzione solo su conclusioni che si autogiustificano. Non importa se il popolo ucraino magari avrebbe preferito non sottoporsi alla strage continua, non importa se una diplomazia inetta e complice non abbia neppure tentato di evitare la guerra, non importa se siano proprio gli Stati coi loro eserciti, le loro strutture autoritarie e oppressive a programmare e a fomentare le guerre. Stati, eserciti, armi sono premesse di fede, esistono e sono intangibili. Così i benpensanti – giornalisti, editorialisti, strateghi e politicanti -, trincerati dietro il realismo, possono costruire la perfetta narrazione della guerra, sicuri di avere la coscienza a posto di fronte a tutto il dolore e alla sofferenza che quelle strutture di cui sono servi fedeli provocano. 

Tuttavia quello che più colpisce in questo torno di tempo che viviamo non è lo schieramento di un’informazione di sistema per la guerra, ma l’assenza di una pur minima mobilitazione dell’opinione pubblica, della disparata galassia pacifista, incapaci di manifestare se non una vera opposizione almeno un sentimento di contrarietà, annegato, quando c’è, nell’assordante e irrilevante rumoreggiare di fondo che caratterizza il dibattito pubblico. Infatti nella democrazia dei sondaggi la maggioranza, nutrita oramai dai social e un po’ meno dalla televisione, si pronuncia per non inviare armi, ma le piazze rimangono desolatamente vuote. Forse anche perché nella democrazia distorta e asimmetrica che ci governa, le piazze anche quando si riempiono sono destinate a rimanere inascoltate o relegate a folclore e il potere sa di godere dell’impunità: ad ogni giro di elezione può garantirsi la verginità. 

Nel mondo della geopolitica e della geoeconomia, dove contano i rapporti di forza e i machiavellici calcoli dell’affermazione e della conservazione della potenza, l’idea di poter fare a meno di armi ed eserciti è bollata come mera ingenuità. Ma per chi ancora riesce ad immaginare un mondo diverso, senza guerre e senza armi, si dovrà cominciare a scardinare le precondizioni che armano i conflitti bellici: le istituzioni autoritarie, l’esistenza degli eserciti e delle polizie, la produzione delle armi, le logiche prevaricatorie e competitive. Altrimenti il ripudio della guerra e l’auspicio della pace diventano anch’esse articoli di fede.     

Angelo Barberi

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