Tra immigrati e carogne

Non c’era alcun dubbio che il Governo di Destra-destra avrebbe cavalcato la questione immigrati secondo una consolidata politica carognesca utile a nascondere le contraddizioni sociali con sporche operazioni di distrazione di massa improntate al più bieco razzismo, in piena in continuità con le attitudini dei governi precedenti. Tanto è vero che lo scorso 2 novembre è stato tacitamente rinnovato l’accordo con la Libia, sottoscritto a suo tempo dal centro sinistra, per continuare a foraggiare di miliardi i carcerieri e torturatori libici, i loro lager e la Guardia Costiera libica che, se non è composta dagli stessi trafficanti, ne è quanto meno complice. Eravamo certi che su questo versante nulla sarebbe cambiato, semmai ci sarebbe stato un incancrenimento dell’accanimento istituzionale.
Che non ci sia nessuna emergenza immigrazione lo sanno benissimo gli abbaiatori ufficiali. L’unica emergenza è per i morti in mare: 1.400 quelli censiti ufficialmente quest’anno non ancora terminato. La paventata invasione è smentita dai fatti. Se l’Italia è il primo paese europeo per approdi (90.000 sbarchi a metà novembre), le navi delle Ong ne hanno salvato solo 10.000, tutti gli altri sono stati recuperati dalla Guardia Costiera italiana e una minima parte è arrivata in modo autonomo. Ma gran parte degli immigrati che arrivano non hanno alcuna intenzione di fermarsi qui, come attestano i numeri delle richieste d’asilo: 190.000 in Germania, 120.000 in Francia, 65.000 in Spagna, 53.000 in l’Italia. Rispetto alla popolazione residente l’Italia è al 15° posto con un richiedente asilo ogni 1.308 abitanti; al primo posto troviamo Cipro con uno ogni 68 abitanti, mentre i numeri delle “rivali” sono: Germania 1 ogni 561 abitanti e Francia 1 ogni 652 abitanti.
In Italia, poi, a dispetto della propaganda di regime, il 50% della popolazione immigrata è europeo (rumeni e albanesi), mentre solo il 22% è di origine africana e altrettanto di origine asiatica (in prevalenza cinese). Alla faccia dell’invasione.

Il governo in realtà è in pena crisi schizofrenica: da una parte ha necessità di individuare un capro espiatorio su cui scaricare le angosce e il malcontento degli italiani, dall’altra, deve accontentare (ma senza farne pubblicità) gli industriali del Nord che da tempo rivendicano una diversa politica sui flussi migratori, per via del fabbisogno di manodopera (si parla anche di 4 milioni di immigrati), anche a causa della denatalità. Ha ricevuto un’investitura da parte di Confindustria, e specie nelle regioni padane ha visto spostare una massa di voti dalla Lega a FdI, e sa che non può non accontentare i padroni, nonostante sul tema immigrati sia incalzato dalla concorrenza leghista. In questo contesto si inseriscono i giornali “progressisti”, di proprietà del gruppo Fiat (La Stampa e la Repubblica), che, illuminati da impeto umanitario, attaccano il governo a sostegno delle richieste degli industriali.
La questione migranti si viene così a trovare al centro di svariati interessi e giochi di potere, come se poi tutto ciò non si trasferisse sui corpi, le vite, le aspirazioni, le ferite, le umiliazioni, i sogni di milioni di persone costrette ad abbandonare le loro terre per l’invivibilità sociale, politica, bellica, ambientale provocata dalle fameliche politiche dei paesi ricchi.
Non potendo negare l’evidenza di un forte fabbisogno di forza lavoro, la canea reazionaria rispolvera la vecchia patacca del “ci rubano il lavoro”, o dei migranti parassiti che si arricchiscono col reddito di cittadinanza. Per poi spruzzarci lo slogan salviniano “la pacchia è finita”.
Non è una novità che una parte di migranti è costretta a svolgere lavori che pochi italiani farebbero a quelle condizioni; in particolare nei comparti agricoli, dove il loro sfruttamento è agevolato dalla diffusa posizione di clandestinità per mancanza di documenti, provocata dalle leggi italiane volute da tutti i governi. Ma esiste un crescente numero di lavoratrici e lavoratori italiani che, per bisogno, per impoverimento, sono impegnati nelle stesse attività. Tuttavia la maggior parte degli immigrati è occupata in attività assieme a colleghi e compagni italiani, e sarebbe ora di finirla con la distinzione, in cui cadono anche esimii esponenti della sinistra e del volontariato, tra autoctoni e stranieri: sono tutti lavoratori e la loro situazione va piuttosto affrontata da un punto di vista di classe, pur senza sottovalutare i tanti problemi che sottostanno alla condizione di un operaio che, oltre ai tanti problemi sociali tipici della sua condizione, ha da risolvere anche quelli di un permesso di soggiorno in scadenza, di un ricongiungimento familiare, di un contratto regolare d’affitto, ecc.
Impostazione di classe vuoi dire considerare la solidarietà non un’elemosina pelosa ma un sentimento di affratellamento e di complicità per la conquista di diritti negati, e serve a non cadere nella trappola umanitaria tanto cara alla chiesa, e così ben vista dal padronato.
Non che i problemi umanitari non esitano: da essi deriva la necessità di prestare soccorso in mare o alle frontiere terrestri, o di impegnarsi contro l’applicazione dei decreti sicurezza e dei provvedimenti polizieschi e razzisti del governo; ma è la prospettiva ad essere differente, non più improntata ad un “noi e loro”, ma ad un’affermazione dell’unità degli sfruttati al di là delle frontiere e delle nazionalità, contro i nemici comuni.
Infine, qui nel Profondo Sud abbiamo attraversato i sentieri dell’emigrazione clandestina e poi codificata nei flussi imposti dal capitale internazionale. I nostri paesi si sono spopolati e continuano a farlo per le stesse ragioni che inducono molti abitanti di altri continenti più poveri a partire. Il loro approdo nelle nostre terre può senz’altro rappresentare un modo per combattere l’abbandono ed il degrado dei paesi su basi egualitarie e con prospettive comuni. Tutto ciò accentua l’estrema attualità di una visione internazionalista e solidale, per l’abolizione di tutte le frontiere.

Pippo Gurrieri

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