Sotto la divisa, il niente!

Qualche giorno fa, in giro per Catania, mi sono imbattuto in un manifesto murale. Cerco di descriverlo fedelmente: su di un fondo rosso ci sono tre figure, anch’esse rosse. A sinistra una contadina con una falce, a destra un operaio con un martello e al centro, un poco più in basso un soldato con il fucile. Sono tutti giovani. Sul manifesto la scritta, Red Militant e poi un perentorio Attivati!

Il manifesto originale recitava НАРОД И АРМИЯ ЕДИНЫ! («Popolo e esercito uniti!»).

Penso subito ad un prodotto di consumo per la fascia giovanile, quasi sicuramente una birra, forse un soft drink, anche se quell’Attivati! mi ricorda una carta telefonica ricaricabile. Si sa che la promozione commerciale non adora certe icone , ma riesce comunque a farle sue privandole di ogni significato e riducendole ad un puro e decorativo involucro. È accaduto a Che Guevara, alla A cerchiata, a Gesù Cristo. E poi il “vintage” va fortissimo tra i ragazzi. Guardo meglio e, con grande sorpresa, mi accorgo che non è una trovata pubblicitaria: porta la firma di una delle tante sigle della galassia marx-lenin-stalin-maoista, una galassia che al calo abissale nel numero dei militanti supplisce con l’incremento esponenziale nel numero dei partiti. Un solenne elogio a quanti, senza aver fatto uno specifico dottorato di ricerca, sono in grado di elencare i partiti(ni) che, al giorno d’oggi, si dicono comunisti in Italia. Quel manifesto, in pratica, invita a diventare un militante rosso, ad attivarsi per seguire il luminoso esempio di quei giovani in divisa da kolkhoznitsa, da operaio, da soldato. Nostalgia di Terza Internazionale, di sfilate oceaniche, di donne e soprattutto di uomini vestiti tutti uguali, che marciano con passo marziale, cadenzato e all’unisono, sotto uno sventolar di bandiere rosse, verso il radioso sole dell’avvenire. Chissà che brivido di piacere correrà lungo la schiena di questi ideologi, al pensiero di poter muovere milioni di esseri umani, a loro piacimento, come pezzi di legno sulla scacchiera! È il momento in cui il mio ottimismo illuministico nei confronti dell’umanità comincia a vacillare. Qui non solo non si dubita che possano esistere poteri buoni ma, addirittura, si fanno proprie la cultura e la retorica del totalitarismo e del militarismo. La divisa delle guardie rosse (togliete il distintivo e vi sfido a distinguerla da quella dei nazisti, dei fascisti, dei falangisti…) è la negazione della rivoluzione così come la divisa, una qualunque divisa, è la negazione dell’umanità. Simbolo di omologazione, di appiattimento, di gerarchia, l’uniforme rappresenta l’esatto opposto di ciò che dovrebbe rappresentare la via verso l’emancipazione dei lavoratori e di tutta la “futura umanità”. In divisa ci può stare per scelta il lacchè, il portiere d’albergo, il calciatore, il cameriere, il prete, il soldato, il poliziotto. Si possono indossare per più nobili motivi i panni dell’infermiere o gli stracci di un clown, ma non si potrà dire che quei panni siano funzionali alla piena espressione della loro personalità. Insomma, per farla breve, la divisa sta all’essere umano come le catene stanno alla libertà. Nell’epoca aurea della sinistra extraparlamentare non era difficile distinguere i loden del “pdup-manifesto” dagli eskimo di “lotta continua”, dal completo giacca e cravatta di “servire il popolo”. Durante le manifestazioni era sufficiente dare uno sguardo alla piazza per identificare immediatamente la parrocchia di appartenenza dei gruppi emme-elle. E gli anarchici? Non volevano, come non vogliono, rinunciare alla libertà, fosse anche solo quella di scegliere come vestirsi, e non volevano e non vogliono accettare di identificarsi in uno stile di abbigliamento. Forse era la lezione della sconfitta della rivoluzione spagnola, iniziata nel momento in cui, “per causa di forza maggiore” le tute multiformi delle milizie popolari avevano ceduto alle uniformi militari dell’esercito popolare. Sarà per questo che le nostre bandiere sono nere, sono rosse e nere, sono nere e rosse, hanno la A cerchiata o non ce l’hanno, e nessuno si sogna di escludere ogni altra combinazione di colori. Per questo guardo, più che con sospetto, con tristezza e disappunto, alla divisa che gli stilisti del potere sbirresco hanno disegnato per un certo tipo di anarchici e che questi, con una sorta di compiaciuto orgoglio, ormai immancabilmente indossano in ogni circostanza. Anfibi, pantaloni neri e cinturone con borchia di (presunta) autodifesa; felpa nera e cappuccio nero con (presunta) funzione di occultamento. Se poi in una mano stringono una canna e nell’altra una birra da due terzi di litro, sono conformi al disegno. Sono perfetti. Mi chiedo: per chi?

Aesse

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