I NOSTRI PROPOSITI PER IL 2024

Il 2024 si presenta carico d’incognite. All’orizzonte nuove guerre e nuovi tentativi di coinvolgervi il nostro paese, la barbarie che ovunque avanza e miete vittime, l’utopia capitalista che supera le sue crisi grazie ai ritrovati della tecnologia digitale, l’umanità che, minacciata dal clima impazzito, dalle pandemie e dalle macchine intelligenti, scivola sempre più spedita verso l’estinzione.
In questo scenario deprimente quale funzione può ancora rivestire questo piccolo e forse un po’ antiquato giornale che avete tra le mani? Come può contribuire a invertire una tendenza all’illibertà che sembra consolidarsi ogni giorno che passa? Quale alternativa può ancora rappresentare alla disinformazione di regime e all’omologazione culturale?
Sulla soglia dei suoi 48 anni – età veneranda per un giornale e non solo anarchico – “Sicilia Libertaria” sente la necessità d’interrogarsi e interrogare collaboratori, lettori e simpatizzanti sul suo presente e soprattutto sul suo prossimo futuro. Una riflessione in tal senso si rivela tanto più necessaria quanto più latita nel movimento anarchico e tra i suoi organi di stampa.
”Sicilia Libertaria” ha sempre evitato di trasformarsi in mero giornale di opinione o, ancor peggio, in un prodotto politico-culturale da consumare un tanto al mese. Ha privilegiato il suo essere un organo di agitazione, di lotta e di proposta anarchica. Risulta però difficile mantenere oggi tale caratteristica se le posizioni di chi vi scrive, specialmente quando affrontano questioni nuove o controverse (come sovente avviene negli “speciali”), e addirittura quando emergono proposte d’intervento strategico, non vengono minimamente recepite, ancor meno dibattute all’interno del nostro stesso movimento, e quasi mai assumono un carattere operativo. Un giornale anarchico, se si presuppone tale, dovrebbe favorire la più ampia circolazione di idee, costituire una palestra di confronto e anche di scontro (pur nel reciproco rispetto) tra compagni, discutere delle novità nel nostro campo e nella società, scoprire o riscoprire modalità di lotta e saperi alternativi, sostenere ogni aspirazione alla libertà e al cambiamento dal basso. Non certo finire col tempo per atrofizzarsi in formule stantie o ripetitive e delegate a pochi e anziani scrittori.
Per fare ciò non basta l’impegno costante di chi fa uscire periodicamente il giornale: è indispensabile il contributo del più gran numero di compagni e lettori. Anziché utilizzare uno strumento che è a portata di mano, aggiornarlo e perfezionarlo anche tecnologicamente e nei contenuti, molti di loro preferiscono trastullarsi invece con i media pensati dai tecnocrati del digitale per annichilirne la capacità di riflessione e di discernimento critico. Alcuni si rifugiano nell’indifferentismo, nel disimpegno, nell’apatia: per costoro il giornale rappresenta semplicemente un alibi per sentirsi o continuare a sentirsi vivi. Altri ancora, pochi per fortuna, snobbano il lavoro dei compagni “giornalisti” dall’alto di una presunta superiorità intellettuale che però quasi mai pongono al servizio dei bisogni del movimento o traducono in progetti d’intervento politico e sociale ampi, comunitari e partecipati.
Il movimento anarchico, nel suo complesso, ospita numerosi militanti di valore e con competenze acquisite nei più svariati ambiti del sociale. Possibile che nessuno, o pochi di essi (a parte i like che di tanto in tanto ci inviano), riesca a esprimersi sulle sollecitazioni – talvolta delle vere provocazioni – che provengono dal nostro giornale? Che si tengano strette le loro competenze, ad esempio, solo per fare carriera nelle università, nelle istituzioni o nelle imprese?
Sono purtroppo in tanti coloro che si dicono anarchici e vanno dimenticando come l’intimo legame tra pensiero e azione, tra idea e progetto, tra fine e mezzo (nel nostro caso il giornale) costituisce una prerogativa fondamentale dell’anarchismo. Non è possibile concepire un giornalismo anarchico slegato dalla realtà, dalla società, dai territori e dalle lotte che vi si sviluppano. 

In passato, e in parte ancora oggi, “Sicilia libertaria” è stata scambiata per un giornale “localistico” semplicemente perché nelle sue analisi preferisce partire o ancorarsi alla concretezza di un territorio d’elezione, la Sicilia. Ma basta scorrerne le pagine per accorgersi che si tratta di un abbaglio: dalla Sicilia libertaria all’internazionalismo anarchico il passo è spesso immediato, come d’altronde avverte il motto sulla testata (“per la liberazione sociale e l’internazionalismo”). Chi contesta a “Si.Lib.” un carattere “localistico” finisce talvolta con l’imputarle anche la colpa di sottrarre risorse e lettori al settimanale nazionale e con l’alimentare una ridicola rivalità tra i due giornali. La polemica è antica (risale alla nascita di “Umanità Nova”, nel 1920) ma la ricerca storica l’ha da tempo sfatata dimostrando che, al contrario, il moltiplicarsi di giornali, stimolando l’attività dei gruppi locali, giova piuttosto alla diffusione del settimanale nazionale. Il problema è piuttosto un altro. È l’esistenza di compartimenti stagni tra i diversi giornali anarchici, dove lo scambio reciproco di temi, collaboratori e attività – che dovrebbe essere la regola – è divenuto residuale. Anziché alimentare un circuito virtuoso e solidale si può persino assistere a chiusure stupide e non addirittura a incomprensibili contese sulle virgole.
In un mondo che è sempre più ferocemente antianarchico, i nostri giornali, veri polmoni di libertà, non dovrebbero più ignorarsi o pestarsi i piedi a vicenda. Se non riescono più, come un tempo, a “fare fermentare gli spiriti” o a creare intorno agli anarchici una opinione pubblica simpatizzante, possono tornare tuttavia a rivestire una funzione indispensabile, quella di luogo privilegiato dove sviluppare analisi critiche e controcorrente, elaborazioni progettuali e scambio di relazioni solidali in un movimento che, per resistere e rinnovarsi, deve innanzitutto rigettare a partire da sé la deriva autoritaria e il conformismo dilagante. 

É questa, forse, una prima parziale risposta ai quesiti iniziali. Alla quale speriamo se ne aggiungano numerose altre nell’anno in corso.

Natale Musarra

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