Depredare gli africani a casa loro

Colonialismo Made in Italy. Il piano MelEni

Ci hanno scassato le orecchie per più di un anno con ‘sto piano Mattei. Ci hanno ripetuto in tutte le salse che dovevamo fidarci, che sarebbe stato un “nuovo modello di cooperazione non predatoria con l’Africa”, come l’ha definito la premier Giorgia Meloni. E noi abbiamo fatto finta di crederci, perché si sa che questa ignobile destra al governo ha davvero a cuore gli interessi del continente con la crescita demografica più tumultuosa del presente e del futuro. Mica sono razzisti e discriminatori, nooooo, i fascisti ripuliti di oggi si sono pure scoperti concilianti e collaborativi.
E invece il vertice Italia-Africa del 28 e 29 gennaio a Roma – come se si potessero sintetizzare in un’unica voce 54 stati differenti e, soprattutto, centinaia di popolazioni con culture e storie differenti – si è rivelato per quel che era facile prevedere, cioè un mezzo flop. Tutto qui ‘sto piano Mattei? È quel che si sono chiesti tanti analisti. Appena 5,5 miliardi di euro, tra l’altro soldi sottratti da altre finalità mica da poco come l’adattamento al collasso climatico, e manco uno straccio di programma vero e proprio, se non un elenco parziale di progetti già esistenti sulla cooperazione, coi ministeri dell’Ambiente e degli Affari Esteri che hanno palesato il proprio malumore per l’accentramento deciso da Palazzo Chigi.
Già nei giorni precedenti al vertice 80 organizzazioni della società civile africana avevano presentato una serie di richieste al governo italiano, tra le quali una maggiore trasparenza e una reale inclusione di chi vive in Africa. “Il piano Mattei è un simbolo delle ambizioni italiane in materia di combustibili fossili, un piano pericoloso e un’ambizione miope che minaccia di trasformare l’Africa in un mero condotto energetico per l’Europa” ha dichiarato Bean Bhekumuzi Bhebhe, responsabile delle campagne di Don’t Gas Africa. Parole con le quali viene individuato il reale senso del piano Mattei, vale a dire il solito accaparramento di risorse africane da parte dell’Italia. L’intitolazione al fondatore dell’Eni non arriva a caso.
Per la destra arraffona e securitaria si può tranquillamente tralasciare l’impegno partigiano di Enrico Mattei, che militò nelle formazioni democristiane e che proprio per questo motivo fu messo a capo dell’allora Agip (doveva essere un semplice commissario liquidatore per consentire a Usa e Gran Bretagna di papparsi il petrolio e il gas italiano e invece rilanciò l’azienda statale trasformandola nel cane a sei zampe che conosciamo), mentre il suo colonialismo dal volto umano viene preso come riferimento patriottico, dimenticando che la scelta di puntare sull’Africa (e sul Medioriente) fu perseguita da Mattei per una pura strategia aziendale di posizionamento: dato che le cosiddette “sette sorelle”, cioè le altre multinazionali petrolifere, erano troppo forti in determinati mercati, Eni scelse di concedere agli stati più deboli e ricchi di risorse condizioni di gran lunga migliori rispetto alle concorrenti. Ma sempre in un’ottica capitalistica di sfruttamento. Che è la stessa mira del governo Meloni, intenzionato a riempire il vuoto della Francia che, dopo secoli di oppressione, sta dismettendo la sua politica nota col termine Françafrique, cioè il controllo economico e politico delle sue ex colonie africane e delle molte regioni francofone del continente.
Siccome i veri messaggi vanno dati a chi ci mette i soldi, è stato il ministro Crosetto a rivelare questa intenzione nel corso di un evento riservato, organizzato dalla società di consulenza Ernst & Young e con una folta platea di imprenditori e manager. “Noi siamo il paese meglio accettato nelle nazioni dove siamo stati colonizzatori” ha detto uno dei leader di Fratelli d’Italia, sciorinando per l’ennesima volta la storiella degli italiani brava gente che col piano Mattei diventa un obiettivo politico. Da parte nostra, quella militante, non dobbiamo fare lo sciocco errore di sopravvalutare o alterare le intenzioni del governo. Lo scopo non è quello di contenere i flussi migratori portando lo sviluppo in Africa, come ho letto da qualche parte, né tantomeno Meloni aspira a diventare la statista che vuole risolvere i problemi dell’Africa intera. Anche perché l’Italia comunque gioca un ruolo insignificante rispetto a potenze come Russia e Cina, che nel frattempo hanno enormemente espanso la loro presenza nel continente. Semplicemente lo stato italiano vuole continuare a garantirsi i profitti che gli consentono le partecipazioni azionarie dentro colossi come Eni ed Enel.
Al di là della fuffa politicante, infatti, sono altre le parole che bisogna sapere ascoltare. Come quelle pronunciate da Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, alla trasmissione Rai condotta da Bruno Vespa. Una prima annotazione è che lo pseudo-confronto tra i due è avvenuto proprio il 29 gennaio, appena terminato il vertice Italia-Africa organizzato dal governo. “Loro hanno tantissima energia, tantissimo territorio, noi non abbiamo energia ma abbiamo un grande mercato” è stato il messaggio di Descalzi. Più chiaro di così…

Di fronte a tale disegno va rigettato in toto l’intento riformista di provare a migliorare il Piano Mattei. Non soltanto perché è il progetto sul quale si fonda l’idea folle e antistorica dell’Italia come hub del gas, non soltanto perché sminuisce il settore della cooperazione, non soltanto perché nella sua prima stesura l’Africa non è stata manco consultata (come ha affermato al Senato il presidente dell’Unione africana, quello vero e non quello interpretato in uno storico scherzo ai danni di Meloni da due comici russi qualche mese fa) ma perché è appena un’altra gabbia, neppure dorata. Al netto delle alleanze e delle collaborazioni che dobbiamo consolidare e avviare con chi vive in Africa, è qui che dobbiamo scalfire il predominio dei “nostri” colossi energetici. La lotta alle multinazionali è da sempre anche una lotta antistatalista. 

Andrea Turco

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