Non votare e oltre

A giugno si svolgeranno i referendum su acqua, nucleare e giustizia. La giustizia è tema tutto interno alla dialettica borghese della legalità; noi anarchici riteniamo il sistema giudiziario classista e di parte, volto a garantire l’ordine costituito, salvaguardare la proprietà e le ricchezze dei forti e calpestare i diritti dei deboli. Qualunque ne sia l’architettura giuridica, lo Stato sarà sempre una macchina di oppressione, e chiunque cerchi il proprio riscatto troverà sul suo cammino dei giudici e dei poliziotti pronti a fermarlo. Gli stravolgimenti effettuati dal governo Berlusconi alle leggi vigenti, e gli attacchi ai magistrati, non possono modificare il giudizio che diamo di questa macchina repressiva che schiaccia gli immigrati e i piccoli criminali, i sovversivi e le vittime della società, mentre offre alla borghesia ladrona e padrona ogni genere di garanzia.
Acqua e nucleare sono invece temi che ci interessano, perché siamo stati da sempre assertori delle battaglie contro la privatizzazione e la speculazione sull’acqua, e contro l’energia nucleare, pericolosa e al servizio delle lobby capitalistiche e militari. Nel novembre del 1987, sull’onda anche del disastro di Chernobyl, il 70% dei votanti al referendum disse no al nucleare. Il fatto che nel 2011 gli italiani siano chiamati ad esprimersi su una materia su cui hanno espresso chiaramente la loro opinione, ci dimostra solo che i referendum si possono anche vincere, ma che le vere vittorie sono quelle che si impongono con la lotta e si mantengono con una vigilanza e una conflittualità costante e delle alternative. Il referendum sul finanziamento pubblico ai partiti dell’aprile ‘93, vinto dai no con il 90,3% dei consensi, è stato aggirato con nuove leggi e norme, in primo luogo il rimborso elettorale, tramite le quali i partiti oggi incassano più di quando c’era il finanziamento pubblico. Bastano questi due esempi per concluderne che quello del voto è un terreno di sconfitta; che l’illusione che in una società borghese tutti, a prescindere da collocazioni di classe, ruoli, poteri posseduti, rispettino le regole, è una trappola letale per i movimenti. Spostare le battaglie e le energie profuse in esse sul piano del voto rappresenta un grave errore ed un modo per ritardare il conseguimento di determinati obiettivi, o di farli perdere del tutto.
A maggio, con tempi differenti tra Sicilia e continente, si svolgeranno le elezioni amministrative. Anche in questo caso assistiamo al riapparire di vecchie conoscenze della politica sempre pronte a cavalcare movimenti di lotta e di base, e a riscoprire i quartieri, il popolo, la società. Si approntano liste “civiche” in cui persone “pulite” e fuori dai partiti, presunte rappresentanti di una altrettanto presunta “società civile”, si lanciano nella mischia con la pretesa di portare aria nuova e progetti di cambiamento nella gestione della cosa pubblica. Costoro fingono di non capire (perchè altrimenti sarebbero dei puri idioti) che il livello decisionale delle istituzioni locali è pari allo zero; sono i salotti della borghesia, le banche, le curie vescovili, le associazioni degli imprenditori le vere sedi delle decisioni. Nei consigli comunali si svolge solo la farsa, dove delle marionette danno vita a commedie semiserie per avallare decisioni e ordini presi altrove. Le amministrazioni avallano le volontà dei vari pupari, e elargiscono elemosine e favori per simulare una parvenza di autonomia e di legami sociali, in realtà utili solo al perpetuarsi del clientelismo.
Purtroppo tutto questo avviene con una ripetitività esasperante ed in mancanza di serie alternative di contropotere, di democrazia diretta, dopo che in più di 60 anni i partiti tutti hanno espropriato i proletari della capacità di partecipare in prima persona alla gestione dei propri interessi. Ed è proprio da qui che bisogna ripartire: ricostruire reti di autogoverno, strutture di partecipazione, campagne e battaglie organizzate in maniera antiautoritaria, che abbiano obiettivi da raggiungere ma stiano molto attenti anche al mezzo per conseguirli, senza, cioè, eleggere capi, burocrati, gerarchie, cioè strutture e situazioni che le faranno naufragare.
Dietro l’indicazione anarchica del non votare ci sono questi valori, queste alternative, la certezza che cambiare la società è possibile, ma al di fuori dei bunker e dei santuari del potere. Meglio ancora se sulle loro macerie.

Pippo Gurrieri

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