Atomiche, atomicchie e quaquaraquà

Siamo davvero alla vigilia di una guerra nucleare quale (il)logica conseguenza delle performances del dittatore nordcoreano Kim Jong-un e del suo alter ego statunitense Trump? Crediamo davvero che la piccola Corea del Nord possa sfidare sul serio l’Occidente nelle sue varie coniugazioni, dagli USA al Giappone passando per gli Stati filo NATO, lanciandogli addosso missili a testata nucleare?
Cosa potrebbe realizzare, quale scopo potrebbe avere uno Stato di appena 120.000 chilometri quadrati (quasi un terzo dell’Italia), con una popolazione di 25 milioni di abitanti, nel lanciare una guerra atomica? L’occupazione dei territori nemici? l’egemonia economia e commerciale? non mi pare che questi possano essere obiettivi che anche una mente apparentemente malata come quella del piccolo dittatore, possano coltivare. E allora perché scatenare una guerra al Mondo intero, mettendo in imbarazzo il suo vicino e protettore cinese e la stessa Russia? Piuttosto la continua menata sull’atomica, sul possesso di missili intercontinentali con testate atomiche, va vista in una logica di politica interna, di ricerca di una coesione nazionale attraverso l’individuazione di un Nemico, interpretato come il male assoluto (Stati Uniti e Occidente culturalmente omogeneo), utile a tenere il popolo sempre in stato di allarme, orgoglioso del suo Capo protettore e fiero di sacrificare i suoi bisogni più elementari e i suoi diritti alla causa dell’armamento continuo.
Fino a quando questo gioco potrà durare non ci è dato a sapere, ma è certo che non andrà molto lontano, causa penuria di risorse ma anche l’incoscienza di poter approfittare a lungo della bontà, della fedeltà, della subalternità e della remissività di un popolo.
Tuttavia non va dimenticato che è sempre la logica del Nemico a guidare la politica esterna e interna della Casa Bianca, e da sempre: i sudisti, chi minacciava i suoi interessi commerciali, i comunisti, i terroristi e così via dicendo. E con questa logica gli Stati Uniti spendono capitali enormi in armamenti e tecnologie militari, sfidano il Mondo ad essi non assoggettato, sacrificano i bisogni di milioni e milioni di persone a casa loro e fuori.
Si tratta di logiche speculari, anzi, di logiche legate alla natura stessa degli stati e soprattutto fondamenta ideologiche di qualsiasi forma di militarismo, necessarie a ché questo cancro possa continuare a divorare le cellule buone delle società. Un cancro che corrode quotidianamente perché condanna miliardi di persone alla povertà, alla guerra, ad una vita senza prospettive che non la violenza bieca e senza fine: in armamenti si spendono nel Mondo 1.676 miliardi di dollari (dati 2015) senza contare le spese militari infilate in altre voci dell’economia; come si vede dipendono da queste scelte la gran parte dei problemi che il Mondo ha, dalla miseria al degrado ecologico, alla mancanza di libertà.
Gli Stati in possesso dell’arma nucleare sono tanti; oltre agli USA, alla Russia e alla Cina, ci sono Francia e Gran Bretagna, e poi Israele, Pakistan e India, eppure nemmeno nei momenti caldi delle loro vicende storiche si è posta l’enfasi sul rischio di una guerra nucleare, eccetto in piena guerra fredda, quando, comunque, il nucleare era più che altro un deterrente verso il nemico. Se c’è una potenza che ha usato l’arma atomica questa è quella statunitense, a Giappone sconfitto, nell’agosto nel 1945, provocando subito circa 200.000 morti a Hiroshima e Nagasaki.
La guerra odierna potrebbe veramente scoppiare, ma solo per la follia di due capi di Stato narcisisticamente innamorati della loro posizione e assolutamente ubriachi di parole. Ma se dobbiamo coltivare una paura per le possibili conseguenze distruttive di un’eventuale azione militare, questa dobbiamo ricondurla all’attuale capo del governo degli Stati Uniti, per la gran quantità di armi distruttive, nucleari e non, in suo possesso e per il suo elevato grado di incoscienza e imprevedibilità.

Pippo Gurrieri

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