CI VUOL CORAGGIO

GOVERNO. A cannonate contro la libertà.

La pianta reazionaria seminata subito dopo tangentopoli con la discesa in campo di Berlusconi e la nascita della cosiddetta seconda Repubblica, che in quanto a corruzione, legami mafiosi, servilismo ai mercati e alle banche, foga guerrafondaia e livore antipopolare non aveva nulla da invidiare alla prima, sta producendo i frutti velenosi di un populismo di destra aggressivo e fascistoide. A renderla rigogliosa sono stati tutti i governi e soprattutto la pseudo sinistra, che da Prodi a Renzi, si è assunta il compito di varare le peggiori riforme e di cancellare i più importanti diritti conquistati dalle lotte operaie e popolari nei decenni precedenti, accentuando, con l’apporto dei sindacati concertativi, il vuoto dentro il quale è cresciuto il disagio sociale e si sono incancreniti i problemi di fette crescenti di popolazione: economici, di vivibilità urbana, di ambiente e soprattutto di frastornazione culturale, tutto humus per una frustrazione di massa generalizzata ed emotiva.
Su questo terreno così fertile, in mancanza di una risposta degna di questo nome da parte di formazioni anticapitaliste e antiliberiste, e nella grande difficoltà di estendere esperienze di lotta dal basso radicalizzate in determinati territori, la protesta, l’avversione al sistema, il disagio, vengono oggi in buona parte catturati dai partiti che formano la maggioranza governativa, all’insegna di un programma paradossalmente antisistema tutto interno allo Stato, che non ne mette in discussione le basi di fondo, e tuttavia facile sbocco (come la storia del resto ci insegna) alla frustrazione diffusa.
Mentre le contraddizioni quotidiane vengono occultate e confuse dalla propaganda di regime in tema di sicurezza, di lotta ai privilegi, di contrapposizione alle politiche dell’Unione Europea, si consolida la ramificazione della nuova casta nei gangli del sottopotere (televisioni, istruzione, economia, apparati).
Assistiamo a sparate nazionaliste affiancate da affermazioni liberiste che accontentano i potentati economici; si contrappone il sovranismo all’Europa, ma se ne accetta il modello di produzione capitalistico, gli assetti proprietari, su cui questa entità si fonda, desiderando solo conquistare le istituzioni UE secondo un modello che schiaccia l’occhio a Putin, basato su poteri centrali più forti, frontiere sbarrate, odio razziale, per nascondere i guasti del liberismo con politiche di orgoglio nazionalista e di fede assoluta in un capo carismatico.
Per sintetizzare, ciò cui stiamo assistendo è l’avvento di una nuova classe politica che ha solo fretta di sostituirsi alla precedente, accedere ai suoi privilegi, ritagliarsi fette sempre più grandi di potere dentro le pieghe di una globalizzazione che ha sottomesso interi territori alle sue ferree leggi liberiste.
E’ evidente come tutto ciò sia reso possibile dalla mancanza di una sfida da sinistra, anrticapitalista e antiliberista, alle politiche economiche europee; dal fallimento di quell’Europa dei popoli che si sarebbe dovuta contrapporre all’Europa delle banche, che in tanti abbiamo enunciato ma che non è stato possibile nemmeno abbozzare a causa della subalternità ideologica di gran parte della sinistra al capitalismo.
Ecco allora il decreto Salvini, feroce attacco ai diritti non solo dei migranti, ma di tutti i cittadini, ed in particolare verso chi lotta, resiste, si oppone, su cui getta una rete di norme repressive che sanno di vendetta e fascistizzazione istituzionale, come abbiamo scritto sullo scorso numero. Chi resiste, come i movimenti contro le grandi opere, chi sfida, come il sindaco di Riace, si trova intrappolato in questa rete.
Ecco il Decreto di Economia e Finanza, quello che avrebbe “abolito la povertà”, che rimanda sine die le promesse elettorali su reddito di cittadinanza e abolizione della legge Fornero mentre concede nuovi regali ai capitalisti: nessuna tassa sui grandi capitali e patrimoni, che anzi vengono detassati in maniera massiccia con la flax tax; condono fiscale agli evasori, con un aumento del debito pubblico che eleverà gli interessi da pagare alle banche scaricando sulla popolazione più povera i costi dell’operazione, sotto forma di tagli ai servizi sociali, mitigati, se e quando sarà, da un’elemosina “di cittadinanza”. Senza scordare il precedente “decreto dignità” che ha esteso i contratti a termine (precarietà) e confermato il jobs act (libertà per i padroni di licenziare).
La promessa di portare a quota 100 la legge sulle pensioni, al di là delle ipoteche che conterrà, rappresenta una bufala propagandistica: a parte quei lavoratori che vi potranno accedere, essa non ha alcun senso per i tanti lavoratori precari di oggi che non arriveranno mai a 38 anni di contributi; né si intravvedono politiche per il lavoro, riduzioni d’orario per liberare posti ai disoccupati: solo aria fritta per tirare a campare coi consensi oggi scaricando sulle generazioni future i costi del debito; l’aumento dello spread sarà l’ennesima pacchia per le banche; ecco a cosa si riduce la politica economica del governo populista. Che invece è in perfetta linea con gli odiati governi precedenti in tema di spese militari: dall’opposizione i grillini gridavano di volerle abbattere di 10 miliardi; ora hanno confermato l’acquisto dei cacciabombardieri F-35 e accettato il diktat di Trump di elevare il “contributo” alla NATO, che infatti farà salire entro il 2014 al 2 % del PIL l’insieme delle spese per la Difesa: 40 miliardi l’anno, 100 milioni di euro al giorno. Da dove prenderanno questi soldi? Dalle grandi rendite? dalla voragine della corruzione e dell’evasione? O dalle tasche dei cittadini, “prima gli italiani”, ovviamente. Politiche di guerra che confermano anche il MUOS, che gridavano di voler smantellare in una campagna elettorale che sembra avvenuta secoli fa. E sancite dalla voglia di guidare una coalizione militare per la nuova occupazione coloniale della Libia a difesa degli interessi di ENI e dei petrolieri internazionali.
Siamo di fronte ad un governo reazionario all’attacco delle condizioni di vita delle classi più deboli, dei diritti civili e dell’autodeterminazione della donna, orchestrato nelle segrete stanze del clerico fascismo e della destra vaticana, da sempre fonti ispiratrici del leghismo. Dai matrimoni omosessuali alle adozioni, alla 194, le cannonate governative squarciano la navicella delle conquiste e si preparano ad affondarla.
Chi nutriva illusioni verso il Movimento 5 Stelle (e sono stati in tanti) deve ricredersi: su migranti e sicurezza, su grandi opere e questione militare, su Ilva di Taranto e diritti delle donne, dei bambini, delle coppie gay, il Movimento è perfettamente in sintonia con il livore salviniano e con i padroni e il capitale, e il suo “reddito di cittadinanza” risulterà un’ulteriore regalo alle aziende, una card castrante e concessa dall’alto a suon di ricatti.
Nella voglia di strafare per non soccombere all’avversario, i due partiti al governo gareggiano a chi è più arrogante e a chi riesce a vendere più fumo. Per adesso il giochetto pare funzionare. In Sicilia cresce il consenso attorno alla Lega, ma in perfetta continuità politico-mafiosa in essa si riciclano esponenti del sistema democristiano e post-DC, in un repentino cambio di casacca che scompagina il quadro del centro-destra.
E’ possibile fermare chi oggi sembra avere il vento in poppa? E’ possibile prosciugare il lago populista infondendo la speranza di un riscatto sociale non più legato alle promesse di un uomo solo al comando, bensì alla fiducia nella lotta per maggiori diritti e per la dignità?
La domanda contiene già molte risposte. Non a caso l’azione governativa è protesa a spegnere la protesta sociale. Dal basso oggi si muovono tante situazioni, molte resistenze continuano, sempre più disilluse dall’ennesimo fallimento del parlamentarismo amico. E’ qui che vanno ricercati gli interlocutori di un percorso di cambiamento reale e migliorativo della condizione delle masse popolari e della società nel suo insieme, e che va perseguita l’unità nel rispetto della diversità.
Anche in campo sindacale ci si deve rendere conto che la lotta ristretta all’ambito lavorativo sarà sempre più perdente. In questo senso lo sciopero generale del 26 ottobre, il primo dell’era fasciostellata, è già un segnale da cogliere positivamente, nonostante il suo carattere fortemente minoritario. Ma le riscosse partono sempre dalle minoranze.
Puntare su un populismo di sinistra, come fa una nuova aggregazione che si richiama allo slogan Potere al Popolo, è ripercorrere una strada demagogica che brucia ogni conflittualità nei meandri del piattaformismo paraistituzionale. Richiamarsi al neosovranismo di sinistra, come fanno frange di Autonomi siciliani che sventolano la bandiera dell’indipendentismo, è gareggiare su un terreno viscido, contaminato, interclassista. Proporre la scorciatoia elettorale, la via del cambiamento offerta dal sistema democratico-borghese, è andare a sbattere contro il muro della rappresentanza falsa, che giustifica le politiche dei partiti e ne avalla i metodi autoritari.
Bisogna avere il coraggio, anche se si fosse soli contro tutti, di costruire fortini di resistenza nei territori, di sgomberare il campo dalle ambiguità e mirare direttamente al problema: lo Stato, ogni Stato, ci fotte; anche quello ipotetico declamato dai populisti dell’estrema sinistra e dai sovranisti di casa nostra che sventolano l’effige di Che Guevara. Alle sue logiche di sfruttamento, guerra, mercantilismo, vanno contrapposte la democrazia diretta assembleare, e la battaglia, anche minoritaria, contro un sistema capitalista e borghese, consapevoli che esso si abbatte e non si cambia.

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