Così vicina, così lontana

Chi si ricorda più del vertice di Palermo sulla Libia? Quasi nessuno. Eppure sono passate appena poche decine di giorni. Il governo italiano cercava di accreditarsi come il perno di una strategia internazionale protesa a rimettere la Libia sotto controllo, ristabilendo un ordine funzionale alle multinazionali del petrolio (ENI e Total in testa) e al controllo dei flussi migratori verso l’Europa.
Il vertice si è rivelato un fallimento totale, snobbato dai principali leaders da Macron a Putin, dalla Merkel a Trump, che hanno inviato solo oscuri funzionari governativi, con gli stessi rappresentanti qatarini e turchi che si sono allontanati. Haftar, il potente capo della Cirenaica, ha fatto una capatina solo in seguito alle preghiere di Conte relatori la sera prima in segreto a Bengasi. Al termine del flop annunciato, la Libia resta saldamente in mano alle milizie che controllano il territorio, e quindi giacimenti e affare migranti; con un governo “legittimo” senza potere reale, tenuto in piedi dall’ONU, in mano alle milizie integraliste in parte trasformate in forze di sicurezza governative, che esercita una dittatura psicopatica, omofoba, fascista, da fare rimpiangere quella di Gheddafi. Prospettive per l’immediato futuro? zero.
L’azzardo italiano di dotarsi di una strategia internazionale credibile è naufragato ancora prima di prendere il largo. Quel 12 e 13 novembre di Palermo è meglio fingere che non sia mai esistito. L’importante è che i migranti non arrivino più sulle nostre coste, per poter sbandierare ai quattro venti che la linea dura paga; non importa se migliaia di donne, bambini e uomini rimangono impigliati nel filo spinato libico, sequestrati nelle prigioni dell’accoglienza, vendute come mercanzia da una milizia all’altra, e sottoposte alle più truci condizioni carcerarie. E ancora più importante è che gas e petrolio libico continuino ad essere estratti, non importa se il pizzo da pagare vada al governo di Sarraj o a una delle tante milizie salafite o d’altro tipo che si spartiscono il controllo dei pozzi. Una Libia divisa, in effetti, è funzionale a chi ha interesse a controllarla, siano i signori della guerra o l’Egitto di Al-Sisi, la Francia di Macron o la Russia di Putin, o il Qatar e gli Emirati, padrini delle milizie musulmane. Compresa la compagnia petrolifera di stato italiana.
Fra poco le primavere arabe compiono 8 anni; il bilancio ovunque è tragico: se la Libia è nel caos più totale e nella guerra permanente, in Siria la pace è una chimera e la Turchia si appresta a sostituirsi all’ISIS nelle pratiche terroristiche verso le popolazioni curde, con Israele pronto a invaderla in funzione anti Iran (e anti palestinese); l’Egitto è ripiombato sotto il tallone di ferro di un regime poliziesco. Solo la Tunisia sembra avere ancora la forza di reagire, come ha fatto durante il periodo di natale, con nuove manifestazioni contro il carovita e la marginalizzazione delle aree rurali, che rivendicano laicità e libertà contro un regime illiberale, sospinte dalla tragica morte del giovane reporter Abderrazak Zorgui, datosi fuoco per protestare contro il governo e spingere la popolazione a dare vita a una nuova primavera di rivolte che riprenda da dove si era interrotta la precedente.
L’Italia resta prigioniera di una politica estera subalterna agli interessi degli Stati Uniti d’America, rafforzata dal vento di destra trumpiano, verso i quali il Movimento 5 Stelle ha giurato fedeltà e lo sta dimostrando coi fatti; contemporaneamente però è contaminata dalle interferenze russe veicolate attraverso la Lega e i suoi tentacoli clerico-fascisti-sovranisti. Per certi versi sembriamo ritornati alla situazione del dopoguerra, quando la penisola era campo di battaglia nella contesa tra USA e URSS, e ciò può solo produrre uno status quo in quanto al mantenimento degli impegni e degli accordi segreti, a tutto vantaggio degli USA, e una assenza di progettualità propria, che non sia il cercare varchi e spazi per l’esportazione di armi e tecnologie da parte di Leonardo, o di guidare qualche missione militare all’estero senza alcuna capacità di smarcarsi dagli equilibri stabiliti. La Libia destabilizzata è il monumento a questa situazione: i micro accordi con le tribù del Sud in funzione antiimmigrati, non intaccano, ma ne rafforzano il ruolo di polveriera, lasciando che sia la guerra l’unica protagonista in quest’area del Mediterraneo. Una guerra che ci coinvolge per il ruolo di isola-portaerei super armata ricoperto dalla Sicilia, e per la nostra capacità di stravolgerlo in chiave antimilitarista e antimperialista.

Pippo Gurrieri

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