IL CAMBIAMENTO E’ GIA’ IN MARCIA

Gilet gialli. Diffidare dalle imitazioni

Sono in molti a guardare all’esperienza di lotta dei “giubbotti gialli” in Francia come a una possibilità che settori della società rimasti emarginati dagli avvenimenti della politica, stretti all’angolo dall’attacco neoliberista degli ultimi decenni, si sono dati per poter rialzare la testa e rivendicare diritti e bisogni cancellati dalla ruspa capitalista. Qualcuno pensa di riprodurre in Italia la stessa modalità di lotta, cercando di lanciare scadenze e mobilitazioni, fino ad oggi però rimaste estremamente marginali. Diversi raggruppamenti sono nati sui social e si stanno muovendo in tal senso, qualcuno ha anche registrato il marchio Gilet Gialli; alcuni sono vicini ai 5 Stelle, altri si richiamano ai Forconi, altri ancora sono sovranisti anti euro, altri più di sinistra, qualcuno tutto questo ed altro ancora, con forti tinte antieuropeiste.
E’ nota l’irruzione nella questione “gilet jaunes” del ministro Di Maio, che, esprimendo solidarietà al movimento francese, ha cercato, nello stesso tempo di mettere un cappello alle proteste, presentandosi come il garante governativo di ciò che invece un governo “cattivo” (quello di Macron), in Francia nega. Del resto è in linea con quanto affermato da tempo sia da Beppe Grillo che da altri esponenti del partito 5 Stelle, e cioè che in Italia il Movimento andrebbe ringraziato per la sua funzione di diga istituzionale al dilagare delle proteste di piazza. Affermazione può essere intesa solo in nel senso: grillini pompieri e ricuperatori; quello che un tempo faceva il PCI ora lo fanno loro, naturalmente vendendoselo come l’avvenuta rappresentazione dei bisogni delle masse all’interno delle istituzioni, in linea con le sparate: “abbiamo abolito la povertà”,”abbiamo rimesso in piedi il welfare state” e amenità varie.
Ma si può pensare che un movimento dalle caratteristiche specifiche, come quello esploso in Francia (e già in fase di calo e in preda a divisioni) possa essere riprodotto in Italia? Certi automatismi vivono solo nel mondo dei sogni più che in quello delle possibilità reali. Questo, nonostante oggettivamente delle analogie tra la situazione francese e quella italiana esistano.
Il processo neoliberista particolarmente acutizzatosi dagli anni 80 del secolo scorso ha spazzato via dalla scena interi settori di classe, o se si vuole, popolari, ricacciati nell’anonimato di chi non si riconosce più nelle istanze di partiti e sindacati, sentendosi abbandonato a se stesso. Per questi settori sociali parole come “sinistra”,”sindacato”, “sciopero” e “politica” hanno progressivamente perso di senso. Si tratta di settori di classe media sospinta verso la povertà dalla crisi economica, di ampi ambiti di classe lavoratrice imprigionata in un precariato lavorativo trasformatosi progressivamente in precariato di vita, con la caduta verticale delle sicurezze sociali e delle speranze; di settori urbani di popolazione scacciati contro il muro della gentrificazione, la “liberazione” dei centri storici delle città medio-grandi che ha spazzato gli abitanti verso periferie anonime e tutte uguali, incubatrici di disperazione e solitudine, con servizi sociali scadenti o assenti, costringendole a una mobilità quotidiana verso le aree della “vita” (svago, lavoro, ecc.). Tanta gente che vive di pensioni e sussidi sempre insufficienti, non coinvolgibile negli scioperi generali, da chiunque vengano indetti, perché i pensionati, i disoccupati, le casalinghe, i precari, gli artigiani, i contadini, i piccoli commercianti, sono tagliati fuori da questa forma storica di lotta, un tempo arma per eccellenza del proletariato. E’ così avvenuta negli ultimi decenni una frattura sociale fortissima mentre nello stesso tempo la rappresentanza politico-sindacale si arroccava sui settori più garantiti lasciando alla sbando questa fascia crescente di popolazione. In Francia come in Italia, come quasi ovunque in Occidente.
Ma mentre nella società transalpina l’esplosione della ribellione dei gilets jaunes ha un collante formidabile nell’odio verso Macron e il suo governo, e, a  cascata, contro la finanza, le banche, la borghesia parassita e ricchissima, in Italia non possiamo dire che il governo goda di altrettanta impopolarità, anzi, proprio la sua componente più reazionaria e fascistoide sta registrando un picco di consensi che aprono, semmai, scenari differenti e molto pericolosi. Ecco quindi che non si può pensare a un decollo di una protesta di gilet gialli se prima non si fanno i conti con la politica e i personaggi di questo governo, i loro inganni e i loro successi, smontandoli, denunciandoli e mobilitando la società contro. Dobbiamo ammettere che aveva ragione Beppe Grillo nel considerare il suo movimento una barriera contro le proteste; così, mentre in Francia la lotta partita dalle rotatorie su un tema come l’aumento delle tasse sui carburanti, e non rinnegando alcun metodo di lotta, nemmeno quelli più violenti, ha strappato importanti concessioni al governo dell’odiato Macron, e, nonostante questo, non si è fermata, come non lo ha fatto davanti ai due morti e alle centinaia di feriti, agli arresti e alla repressione violentissima; mentre in Francia avviene questo, qui da noi il governo sta capitalizzando un consenso elettorale che ha scompaginato l’assetto politico tradizionale a destra e sinistra, su parole d’ordine “popolari” come reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni, e su altre artificiose ma altrettanto “popolari”, come la paura dell’immigrato e la chiusura verso politiche di solidarietà e di apertura sull’immigrazione, considerata una causa delle difficoltà sociali diffuse, e non uno degli effetti.
A condizioni diverse si danno strategie diverse. Nei blocchi stradali francesi, nelle aggregazioni di lotta, oltre alla inevitabile confusione tipica dei movimenti nati spontanei, perché privi di storie di lotta, assieme a simboli discutibili (ma che in Francia hanno comunque valori aggreganti diversamente che in Italia), si sviluppano contenuti egualitari, percorsi assembleari e di azione diretta gelosi della propria autonomia e diffidenti verso il mondo della rappresentanza istituzionale; alla quasi inevitabile comparsa di cenni di razzismo e simpatie destrorse, fa da contraltare una crescente visione meno individuale e più sociale. In Italia tutto questo lo abbiamo visto in tempi non molto lontani, ma politicamente già antichi, con il movimento dei Forconi del 2011: stesse dinamiche: blocchi alle rotatorie, largo coinvolgimento popolare, difetto di rappresentanza tramutatosi in autorappresentanza, confusione e determinazione. Oggi il sovranismo istituzionale e l’harakiri dei Forconi per le suicide scelte di costruire un partito (inevitabilmente frammentatosi in vari partitini) e di scalare la via parlamentare, con esisti a dir poco disastrosi, rendono le condizioni italiane differenti. In Italia bisogna guardare altrove, alle lotte e alle realtà resistenti nei territori: No Tav, No Tap, No Hub del gas, No Triv, No Muos, No Mose, No Grandi Navi, No Pedemontana, No Tav Terzo Valico ed altre Tav da Firenze al Trentino, e decine e decine di situazioni radicate, cariche di esperienze, coinvolgenti settori sociali estesi, disilluse dalle politiche dei partiti e dei governi, con le idee chiare non solo sulle rispettive battaglie ma sul sistema che ha generato il disastro ambientale e sociale: il capitalismo e i suoi lacchè, come si diceva un tempo. Oggi queste forze, che stanno praticando il superamento del particolare dentro il generale e percorsi aggregativi che avranno nella “marcia per il clima, contro le grandi opere inutili” del 23 marzo a Roma, l’occasione per mostrare a tutti l’opposizione reale al governo e al sistema partitico tutt’uno col sistema economico-finanziario-militare, rappresentano l’alternativa reale che può dare avvio a un cambiamento concreto, positivo, anticapitalista e antiliberista e nello stesso tempo ambientalista antisessista, antigerarchico. Perché questo fa già parte del loro patrimonio genetico e della loro pratica di lotta e di autorganizzazione.

Pippo Gurrieri

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