Torna la questione settentrionale

Da anni i leghisti chiassosi, forti di una debolezza di fondo dei sostenitori sinceri della questione meridionale, sono riusciti a ribaltare i termini del discorso, imponendo la centralità delle rivendicazioni della borghesia ladrona padana. Oggi, con il vento in poppa al secessionismo mascherato da sovranismo, tentano di dare una sferzata che sancisca definitivamente la rottura del “patto di perequazione” che, sia pure in maniera assolutamente sbilenca e diseguale, aveva caratterizzato gli assetti sociali ed economici del paese e i suoi stessi principi fondanti a partire dal 1945.
Lungi da noi il voler gridare alla minaccia di rottura dell’Unità d’Italia, che già questa fu foriera di una rottura più grande quale l’annessione del Sud al Piemonte e l’instaurazione di una relazione di tipo coloniale durata fino ai giorni nostri. L’Italia unita è stata ed è la condizione necessaria, ancorché mistificante, della rapina che le popolazioni del Mezzogiorno hanno subìto, complici le classi politiche meridionali assoldate alla grande borghesia predatrice e ai signori della guerra che hanno fatto della colonia una grande base militare, un immenso serbatoio di manodopera, un’area per le loro industrie devastanti, un mercato per la loro mercanzia, appaltando alla criminalità organizzata il controllo sociale e l’ordine mafioso necessari per mantenere l’egemonia politica ed economica. Siamo convinti, pertanto, che la Lega e i suoi alleati-complici-padroni del Nord non intendano assolutamente mollare l’osso che hanno spolpato da un secolo e mezzo, ma che stiano semplicemente approfittando di una congiuntura favorevole per regolare ulteriormente i conti con un Sud che vedono bene in una condizione di ulteriore subalternità per farne loro territorio esclusivo di caccia.
La cosiddetta “autonomia differenziata”, o “federalismo fiscale”, agevolata dalla modifica costituzionale del 2011 (art. 119) voluta da un governo PD, giunta a imminente varo governativo, spinta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, regioni ricche che producono il 40% del Pil nazionale (ma che consumano il 50% del gas d’Italia e un terzo dell’energia elettrica), presto seguite da altre regioni, prevede non solo che il “residuo fiscale”, cioè la differenza tra quanto si paga di tasse in un territorio e quanto si riceve dallo Stato (che permette una distribuzione di risorse delle regioni più ricche su tutto il territorio nazionale), rimanga nella Regione, ma che le stesse assumano competenze oggi di stretta pertinenza statale, su materie come l’ambiente, la salute, i trasporti, il lavoro, l’istruzione, i beni culturali, i rapporti internazionali, ecc. Competenze che, a loro volta, abbisogneranno di ulteriori finanziamenti per potere essere attivate.
E’ chiaro che, allargando la forbice strutturale tra Nord e Sud, viene a saltare ogni meccanismo di compensazione, riducendone al minimo la disponibilità di risorse, quelle stesse che avevano assicurato l’assistenzialismo necessario a mantenere i consensi alle varie classi politiche e dirigenti meridionali. Le quali, davanti alla nuova condizione, indebolite da anni di subalternità e di attenzione solo al mantenimento dei loro privilegi, davanti al rischio di venire declassate al ruolo più impresentabile di guardie carcerarie di un Sud abbandonato alla deriva, potranno tirare fuori le unghie e riscoprire un rivendicazionismo di tipo regionalista finalizzato non tanto a risollevare il Mezzogiorno dalla condizione neocoloniale in cui viene sospinto, ma a garantirsi vecchi privilegi anche a costo di rotture o di minacce di rotture di stampo autonomistico spinto.
Per le popolazioni meridionali sarebbe come scaraventarsi dalla padella leghista e nordista alla brace di un meridionalismo strumentale e altrettanto dannoso. Nulla di nuovo sotto il bel sole del Sud.
Si tratta allora di prevedere alcuni passaggi per uscire fuori dal tunnel in cui ci vogliono spingere i cacciatori di terroni: demistificare la vulgata leghista che cattura consensi oggi sparando a zero sui migranti dai paesi poveri e sui meridionali fannulloni e parassiti; anticipare il rigurgito autonomista degli eterni complici e servi del capitale additandoli come nemici al pari dei loro colleghi del Nord. Rilanciare l’autonomia dei territori attraverso una caratterizzazione in senso comunalista e federalista dei movimenti dal basso esistenti, nonché extraistituzionale, per rivendicare un autogoverno del territorio, ampio e senza mistificazioni, che veda nei borghesi del Sud degli avversari, anche se mascherati da un linguaggio comune e da uno sventolio di bandiere regionali.
Forse non tutti i mali vengono per nuocere, e questo ritorno a gamba tesa della questione settentrionale potrà rappresentare l’occasione tanto attesa per regolare i conti con i traditori, i venduti, i vassalli e servi del gran capitale, e rimettere in marcia nuovi orizzonti di libertà.

Pippo Gurrieri

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